«STONE WALL» degli OSTINÀTI, la costruzione di un’idea musicale, in equilibrio tra mondi vicini e lontani

I muri a secco sono la metafora di un’improvvisazione jazzistica in perfetto equilibrio, libera da legami, chiusure e limiti di genere, ma forti di un surrettizio groove rappresentato dalla pietra.
// di Francesco Cataldo Verrina //
«Stone Wall» degli Ostinàti è la rappresentazione estetica e tematica del jazz nell’era del Web 4.0, dove il costrutto sonoro si nutre di stimoli molteplici. Attraverso un percorso costituito da dieci tappe, la band siciliana delimita stilisticamente un vasto territori che dalla fusion anni Settanta e Ottanta, passa attraverso lo smooth jazz, il blues, il rock, il funk ed ambientazioni arricchite da elementi etnico-mediterranei. «Stone Wall è un album dedicato alla Sicilia quale mood ispirativo; il titolo si riferisce a quelle particolari recinzioni in pietra che si vedono nelle campagne del Sud e significa letteralmente «muro di pietra», ma più sicilianamente «mura a siccu», perché le pietre non sono legate, cementate o tenute insieme da sostanze addensanti ma, sovrapposte con maestria, si mantengono ugualmente in equilibrio, soprattutto lasciano filtrare l’acqua: un’antica tecnica che fa parte del bagaglio di molti agricoltori del Meridione d’Italia.
Proprio la metafora del titolo potrebbe essere una chiave di volta dell’architettura musicale dell’album che si caratterizza come un multistrato a maglie larghe, attraverso cui filtrano differenti situazioni ed ambientazioni sonore. I muri a secco sono la metafora di un’improvvisazione jazzistica in perfetto equilibrio, libera da legami, chiusure e limiti di genere, ma forti di un surrettizio groove rappresentato dalla pietra. Dice Sergio battaglia, leader e motore mobile del gruppo: «I brani sono nati in questi anni nei momenti più improbabili; insieme al batterista avevamo anni fa, un progetto musicale chiamato «Malacuscenza» dove suonavamo musica popolare siciliana riarrangiata in chiave moderna; alcuni brani in scaletta erano mie composizioni strumentali inspirate ai luoghi che ci circondano. Ad esempio «Stone Wall» è la traduzione di «mura a siccu» ovvero i muretti di pietra che contornano e caratterizzano il nostro territorio e che a vederli sono delle opere d’arte».
A parte la rivisitazione di «Speak No Evil» di Wayne Shorter», tutte le composizioni sono farina del sacco di Sergio Battaglia, il quale ha lasciato spazio per gli arrangiamento ai suoi sodali, creando un collettivo di lavoro capace d’innestare nell’impianto sonoro i semi di esperienze e vissuti artistici individuali. L’eterogenea collegialità operativa ha regalato a «Stone Wall» una ricca gamma di sfumature e tonalità che produce un susseguirsi di emozioni ed un costante rilascio di tensione, in grado di tenere il fruitore allo stato di veglia per l’intera durata del disco. La tecnica compositiva è costantemente tesa a favorire il processo improvvisativo, pur partendo da un tema base, rispecchiando le tipiche regole d’ingaggio della fusion anni ’70 e ’80. Il tributo a Shorter, mente dei Weather Report, o la fascinazione del Miles Davis elettrico non sono del tutto casuali.
Il quintetto, composto oltre che da Sergio Battaglia al sax, da Riccardo Drago alla chitarra, Carmelo Rendo alle tastiere, Adriano Denaro al basso e Giovanni Cataldi alle percussioni, operando in maniera sincrona, è riuscito a sviluppare in studio un sound diretto e naturale, privo di intermediazioni artificiose, ricreando, grazie alla presa diretta la calda atmosfera di un live. «Non abbiamo mai pensato di registrare in multi traccia, perché questa musica va suonata rigorosamente live» – sostiene Battaglia – «altrimenti si perde la magia dell’improvvisazione, rischiando di perdere l’interplay fra i musicisti, elemento fondamentale per la musica jazz».
Perfino la scelta del nome, Ostinàti, diventa una sorta di manifesto programmatico. Le parole di Battaglia sono alquanto eloquenti. «Il nome Ostinàti è stata un idea del batterista, in quanto oltre al riferimento musicale (l’ostinato in musica è un frammento melodico-ritmico che si ripete molte volte) presente nella nostra musica, c’è anche un riferimento umano che ci riguarda, perché, dopo anni di musica, ci siamo «ostinati» a percorrere un cammino verso la situazione sonora che più ci piace e ci appartiene». L’uso di una strumentazione semi-acustica consente alla band di implementare un costrutto armonico dinamico e complesso, ma prontamente diluito da una melodia a presa rapida. Le citazioni stilistiche e formali sono molteplici ma l’originalità compositiva è preservata in ogni traccia. Precisa ancora Battaglia. «Suonare brani propri è una grande responsabilità, in questo ambiente è una scelta coraggiosa ed è per questo che ci chiamiamo Ostinàti. Tutto ciò è il frutto di tanto studio sui grandi maestri che negli anni sono stati una guida».
Il disco si apre con «Syncro», sicuramente uno dei brani di punta, dove il quintetto dimostra di aver assimilato bene la lezione shorteriana, ricollocandola in un contesto ambientale contemporaneo. «St. James Street» è un ottimo esempio di jazz-funk dal groove incisivo, magnificato dall’interscambio costruttivo tra sax e chitarra. La cover di «Speak No Evil» trova il suo break-even-point nell’originalità esecutiva e per nulla pedissequa o di maniera. «Smooth Lava» è una ballata mid-range molto lineare e dal sapore mediterraneo, sostenuta da una melodia quasi retrò e scaldata da lapilli di lava siciliana ad alta intensità emotiva. «End Of Horizon», un dei momenti più attrattivi dell’album, si sostanzia come un solido costrutto dai contrafforti funkified, che ricorda la colonna sonora di un poliziesco americano, ricco di cambi di passo e colpi di scena. La title-track, «Stone Wall», costituisce un perfetto anello di congiunzione tra fusion leggera e smooth jazz, in cui un melodia, a tratti struggente, disegnata dal sassofono e ridisegnata dalla chitarra, diventa la vera padrona di casa.
«Runner Mode», di cui si potrebbe dire «nomen omen», è un una corsa ad ostacoli tra gli anfratti di sonorità urbane calibrate su un ottimo groove scandito dalla retroguardia ritmica. «Settembre» si materializza come una ballata crepuscolare adagiata su un ordito sonoro dai colori attenuati, tra nuances mediterranee e bruniti sprazzi di vernice soulful. «Zu Monucu House Blues», con un ardito connubio anglo-siculo nel titolo che si potrebbe tradurre letteralmente «la casa blues dello Zio Monaco», è forse un omaggio indiretto a Thelonius Monk. In verità il componimento racchiude in sé tutte le regole scritte ed orali del soul-jazz a tinte gospel, con le tastiere che secernono fiotti di acido a PH funk, mente la chitarra riflette l’humus tipico del blues metropolitano suonato ad un angolo di strada nella Chicago degli anni ’70. In conclusione «Last Song» espone un altro quadretto melodico incastonato in una cornice smooth-jazz e corroborato da una liricità melodica che raggiunge profondità emotive abissali. Prodotto da IsulaFactory e distribuito da Lizard, «Stone Wall» degli Ostinàti», trova la sua sintesi descrittiva nella citazione riportata sul retro della copertina: «Serpenti di pietra. Mosaici da strada. È un gioco d’incastri la vostra esistenza. Amo in voi la sincerità dell’imperfezione, il senso del rigore intrappolato nella durezza che vi appartiene.». (Muretti a secco di Vincenzo Paolicelli).
