Francesco Sensi Quartet con «In Abstracto», analisi e sintesi un un jazz multistrato

un lavoro di analisi e di sintesi, di riflessi e di riflessioni, uno scendere in profondità e un risalire, un guardare indietro ed un tornare in avanti fino a trovare il nucleo gravitazionale di uno stile personale e distintivo.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Nel cammino evolutivo del jazz del dopoguerra la chitarra ha una storia contrastata e travagliata, dapprima strumento di contorno in ambito soul-jazz o, come una «Cenerentola», usata sovente in luogo del pianoforte: Sonny Rollins fu il primo a riconoscerne le potenzialità in ambito bop. Nonostante taluni modelli andassero imponendosi, da Wes Montgomery a Grant Green, la svolta elettrica e l’arrivo della fusion offrirono alla chitarra una maggiore visibilità ed una propria autonomia espressiva, mentre musicisti come Pat Metheny e John Scofield, sempre borderline fra jazz, tentazioni rock e metalinguaggi vari, stabilivano inedite regole d’ingaggio e precisi punti di ancoraggio, che ancora oggi sono fasci di luce lungo il cammino creativo di molti giovani e modelli ispirativi per chiunque abbia un plettro fra le dita. Francesco Sensi, chitarrista di talento con studi regolari ed approfonditi, si muove sugli assi cartesiani del processo evolutivo della chitarra jazz, il cui punto di riferimento sembra essere un musicista-ponte, di quelli dislocati sulla traiettoria che collega il passato ed il futuro del jazz nell’accezione più larga del termine, ossia Kurt Rosenwinkel, classe 1970, pilastro strutturale della scena newyorkese e portatore sano di un jazz di confluenza, basato su istanze molteplici, tipico degli anni Novanta. Per un certo periodo, il chitarrista di Filadelfia instaurò un valido rapporto di collaborazione con un pianista, di qualche anno più giovane, ma dotato di vivaci demoni creativi, tale Aaron Parks, memore anche dell’ottimo sodalizio strumentale tra Pat Metheny e Lyle Mays.
Il Francesco Sensi Quartet, in piedi dal 2021, sembra reggersi su tale assioma, ossia una stretta relazione fra chitarra e pianoforte, la cui titolarità, nello specifico, appartiene a Diego Albini, senza sminuire il sostanziale apporto della retroguardia ritmica: Enrico Palmieri al basso elettrico e John De Martino alla batteria. L’album «In Abstracto», è un lavoro di analisi e di sintesi, di riflessi e di riflessioni, uno scendere in profondità e un risalire, un guardare indietro ed un tornare in avanti fino a trovare il nucleo gravitazionale di uno stile personale e distintivo. Il tracciato sonoro si dipana attraverso otto composizioni – tutta farina del sacco di Francesco Sensi – le quali sembrano legate da un filo immaginario. Siamo sul piano inclinato di un concept compatto ed uniforme, dove appare nitida la volontà del quartetto di mantenere l’effluvio ritmico-armonico a temperatura costante. Basta ascoltare l’opener «Ex Machina», un costrutto progressivo fatto di ambientazioni ed umori cangianti, fra inquietudini e risoluzioni, dove il Deus (Ex Machina) diventa proprio il rapporto e lo scambio tra chitarra e pianoforte, in cui spesso quest’ultimo assume il ruolo di guida, ma soprattutto estrinseca un’attitudine a favorire i cambi di mood della chitarra, complice basso e batteria che non fanno sconti sul tempo. «Vail», ha uno svolgimento più brunito e meditativo, in cui la chitarra si cimenta in una melodia a tratti struggente, ma che rivela una sottile ansia legata alla quotidianità terrena, specie quando il piano insiste sul registro più basso. «Exile» ha un andamento più narrativo e più vicino ad una certa fusion classica, per struttura e svolgimento, dove inizialmente Sensi alimenta il suo naturale spirito rock, mentre il pianista arricchisce i contorni con un idioma più vicino al jazz, condiviso, in seconda istanza, dalla chitarra che rispolvera un fraseggio, quasi d’altri tempi. Tutto ciò non è una deminutio capitis, ma piuttosto consapevolezza e conoscenza dello scibile sonoro pregresso e padronanza della tecnica strumentale. «27» è uno dei numeri vincenti dell’album con quel crescendo melodico a presa rapida e la sua dimensione quasi cinetica e documentaristica. «Collide» è un altro piccolo gioiello di fusion contemporanea, forte di un corollario jazzistico di spessore, dove l’intreccio strumentale diventa sopraffino ed il gioco delle parti diviso quattro diventa un case-study.
Per essere un’opera prima, «In Abstracto», nel suo genere, appare frutto di una lunga elaborazione; non mancano rimanti a modelli precedenti, ma l’insiemistica costruttiva, a cui affluiscono differenti stilemi, è modellata ad immagine e somiglianza del quartetto di Sensi. «Eidolon», forgiata su una ballata intensa e progressiva, è la prova del nove di questa capacità del line-up interpolare ed espandere con il proprio apporto inventivo situazioni che richiamano vissuti precedenti. Qui, chitarra e pianoforte si spartiscono amabilmente la torta, spesso a parti invertite, sicuri del pulsante apporto di basso e batteria. «Shimmer» è un altro momento di esuberanza, una scintilla creativa ed esecutiva (facendo riferimento al titolo), in cui sia la chitarra che il pianoforte accennano a qualche linea di febbre esotica o eterodiretta verso mondi altri. In chiusura «Beneath The Twilight», una ballata brunita e crepuscolare, spalmata su una melodia dal sapore retrò; di certo il tema più romantico dell’album, poiché al momento della separazione, perfino i guerrieri si abbandono a mille tormenti nel contemplare un tramonto. «In Abstracto», è un coacervo di idee brillanti, qualcuna ancora da rifinire: l’esperienza farà il resto. Il citazionismo, per quanto non calligrafo e pedissequo, si avverte ma è solo un condizionamento subliminale, Sensi e soci posseggono capacita improvvisative, espositive ed espressive non comuni, e meritano tutta la vostra attenzione.
