DivanoXX3

// Gianluca Giorgi //

The Heath Brothers, Marchin’ On! (1976 ristampa 2017)
È l’album di debutto degli Heath Brothers ed è considerato il loro migliore, senza dubbio un capolavoro ed un disco molto ricercato. Con la sua ricchezza di riff è molto apprezzato dai beatmaker ed è stato campionato da vari artisti contemporanei. È stato originariamente pubblicato nel 1976 su Strata-East, un’etichetta all’epoca di proprietà di Stanley Cowell, che si unì come pianista nell’album. Combinando la brillantezza lirica di Jimmy Heath al sassofono, la presenza di Percy Heath al basso e il ritmo dinamico di Albert “Tootie” Heath alla batteria, insieme al pianista e cofondatore dell’etichetta Stanley Cowell, l’album ha unito le radici hard bop degli anni ’50 con la musica spirituale degli anni ’70. Il lato A di questo album è un piacevole LP di jazz tradizionale, con il caldo flauto di Jimmy Heath, la ricca linea di basso di Percy Heath e il compagno di etichetta Stanley Cowell come cammeo al pianoforte e alla mbira. Girando il disco nel lato B troviamo le quattro parti della suite “Smilin’ Billy Suite” che fanno raggiungere alte vette al disco, così da farlo diventare uno dei più grandi album della Strata-East. Certo, ha aiutato il fatto che Q-Tip abbia campionato “Suite II” per il classico hip-hop di Nas “One Love”, introducendo così l’album al resto del mondo…. Tutta la forza di questo disco è racchiusa in due brani: “Watergate Blues”: con una costruzione atipica, partenza affidata al contrabbasso di Percy Heath che, solitario, scandisce ogni nota, gli altri strumenti si vanno ad aggiungere solo successivamente, ma la linea melodica (improvvisata sul momento) rimane nelle mani del contrabbassista. “Smilin’ Billy Suite”, che con la sua precisone compositiva assembla una nuova costruzione da jazz spirituale. L’uso di Cowell del pianoforte a pollice mbira su questa melodia è semplicemente incredibilmente fantastico, dando all’intera canzone un’atmosfera diversa dalla strumentazione jazz tradizionale. Gli Heath Brothers sono stati formati nel 1975 dai fratelli Jimmy, Percy, Albert Heath e dal tanto celebrato pianista Stanley Cowell a Filadelfia. La band continuò più tardi con i fratelli e nuovi membri, con a un certo punto il talentuoso Mtume che è il figlio di Jimmy Heath, che si unì. L’eredità degli Heath Brothers risiede nella loro eccezionale musicalità e nel loro impegno per il jazz come veicolo sia per l’espressione personale che per il dialogo culturale. Questo disco è diventato una pietra miliare nella loro illustre carriera e un’influenza sulle future generazioni di artisti, anche al di fuori della scena jazz. Il disco è una miscela magistrale di tradizione e innovazione che ha catturato lo spirito di una scena jazz in evoluzione.

L’Antidote (Bijan Chemirani / Redi Hasa / Rami Khalifé), L’Antidote (2025)
Primo capitolo di un viaggio dal sapore mediorientale, nato dall’incontro di un trio formato dal violoncellista albanese Redi Hasa, dal maestro dello zarb e delle percussioni persiane, l’iraniano Bijan Chemirani e dal pianista libanese Rami Khalifé. Il loro primo album vuol essere un antidoto sonoro ai “veleni” del nostro tempo: un viaggio sensoriale che unisce mondi e culture geograficamente distanti in una sinergia musicale potente e originale. Nato da un incontro avvenuto poco prima che la pandemia fermasse il mondo e registrato nell’autunno del 2024 in uno studio in Puglia, “L’Antidote” è un’opera di rara finezza strumentale, costruita sull’ascolto reciproco e sull’improvvisazione. Un incontro tra sonorità, mondi e culture geograficamente distanti tra loro si traduce in una sinergia musicalmente inedita, un viaggio sensoriale. Un insieme di sonorità ricercate, a tratti estatiche, per certi versi ipnotiche e leggermente cupe vengono sapientemente esplorate attraverso gli strumenti del trio. I tre “alchimisti” hanno prima riversato il loro eccezionale dono fatto di improvvisazione, elemento chiave nella composizione di questo disco, che fa a meno di schemi, formule e partiture e poi, mettendo da parte ogni egocentrismo, sono riusciti a tessere insieme paesaggi sonori che evocano un Oriente plurale, in perfetto equilibrio tra le loro geografie native. Dalle melodie levantine e meditative, alla trance estatica e danzereccia, l’album attraversa una vasta gamma di suoni donando forti emozioni all’ascoltatore. Bijan Chemirani, maneggia zarb, daf, calabash e saz lafta con umiltà ma saggiamente, Rami Khalifé dà voce alla sua arte utilizzando un pianoforte a coda, creando strutture ipnotiche, mentre Redi Hasa, fa cantare il suo violoncello. Sperimentazione e tradizione si fondono grazie a un sapiente uso dell’elettronica, della distorsione e di vari effetti applicati allo strumento acustico. Nella prima traccia dell’album, “Pomegranate” (primo singolo) Redi Hasa si direbbe intento ad eseguire intriganti arpeggi di chitarra ed invece non c’è nessuna chitarra. Redi Hasa imbraccia il violoncello come una chitarra. In “The Orchard” (secondo singolo) i suoni si rincorrono e si intrecciano in una danza ossessiva e Rosée (terzo singolo) racchiude in sé un’atmosfera che trascina l’immaginazione verso i più lontani e misteriosi angoli dell’Oriente. “Na Na Na” (quarto singolo) ha segnato un punto di svolta verso sonorità più uptempo, fondendo tensione e dinamismo in un perfetto equilibrio. Questo nuovo slancio creativo ha portato alla realizzazione di tre remix in collaborazione con DJ di fama internazionale. In “Desert Plant” il lavoro al pianoforte di Rami Khalifé crea una sensazione di suspense, stemperata poi da altri interventi sulle note più acute, sostenute queste da gravi bordoni del violoncello. Episodio molto suggestivo, questo. Il brano più bello del disco. “L’Antidote” dell’omonimo trio invita alla contemplazione, ma anche alla liberazione fisica, dove la tradizione si fonde con una sapiente sperimentazione elettronica. La musica come antidoto al mondo: di questi tempi, questa è la concezione più saggia dell’arte dei suoni. A maggior ragione se priva di parole, strumentale.

Ami Taf Ra, The Prophet & the Madman (2lp 2025)
L’album di debutto della cantautrice nordafricana Ami Taf Ra, con sede a Los Angeles, “The Prophet and the Madman” è un album jazz spirituale prodotto da Kamasi Washington, che combina perfettamente le tradizioni arabe, come il Gnawa marocchino, con il jazz e il gospel, con un ampio uso di chitarre funk e intricati organi. L’album, ispirato all’opera seminale del poeta libanese-americano Khalil Gibran “The Prophet”, esplora i temi del viaggio della vita – dualità, guarigione e memoria ancestrale. Ra, un’artista nordafricana, concentra la sua esperienza personale come figlia di immigrati marocchini, evidenziando temi della memoria ancestrale e dell’esperienza degli immigrati. Un disco in cui troviamo la fusione di tradizioni e la voce maestosa e svettante della Ra. Alcuni trovano che l’ampio uso del registro vocale superiore della Ra porti a un senso di “piattezza” (brani che si somiglino molto) e a una mancanza di variazione dinamica dell’intero album. Altra critica che viene mossa è sugli arrangiamenti musicali di Washington, sebbene ricchi e fascinosi, a volte sembrino sopraffare la cantante. “The Prophet And The Madman” è una dichiarazione audace di una cantante radicata nelle tradizioni dei grandi arabi che cerca di raggiungere senza paura un nuovo territorio sonoro. Un lavoro che canalizza il jazz spirituale vintage su un disco che sembra fresco, letterario ed estatico. Un disco particolare, stravagante, da ascoltare con attenzione, ma molto bello.

Pharoah Sanders, Africa (1987 ristampa “Timeless Jazz 45th Ann. Series” 2lp 2022)
Questo disco fa parte della nuova serie jazz della Music On Vinyl che celebra i 45 anni della Timeless Records di Wim Wigt. La serie, iniziata ad essere stampata nel 2021, presenta album che fanno parte dell’eredità dell’etichetta. La Timeless Records è un’etichetta discografica olandese fondata nel 1975 da Wim Wigt che si è specializzata nel bebop, anche se ha realizzato una sotto-serie di pubblicazioni di registrazioni Dixieland, Swing e Classiche. Ad oggi la Timeless Records, insieme alle sue tre sottoetichette, ha pubblicato oltre 900 album. Tra le uscite degne di nota ricordiamo Dizzy Gillespie Meets Phil Woods Quintet, Bon Voyage di McCoy Tyner, Forgotten Man di Lou Donaldson, Eastern Rebellion e album del George Adams-Don Pullen Quartet, Chet Baker, Bill Evans, Art Blakey’s Jazz Messengers e molti altri. “Africa” di Pharoah Sanders è stato ristampato, sia in edizione limitata in 1000 copie numerate individualmente su vinile trasparente copertina “textured” fronte retro, pressoché identica alla rara prima tiratura, che in vinile nero, ma con i brani distribuiti su due vinili invece che su uno solo e con due bonus tracks (“Heart to heart” e “Duo”, poste sulla quarta facciata). La confezione include, inoltre, un inserto con gli altri titoli della serie “Timeless Records 45th Anniversary Jazz” e contiene note di copertina di Kevin Whitehead. Originariamente pubblicato nel 1987 dalla Timeless in Olanda, questo album fu inciso allo Studio 44 nella cittadina olandese di Monster, l’11 marzo dello stesso anno, da Pharoah Sanders (sax tenore), John Hicks (pianoforte), Curtis Lundy (contrabbasso) ed Idris Muhammad (batteria). Con “Africa”, Sanders fece un sentito tributo al suo mentore, il grande John Coltrane, la cui influenza è evidente nei lunghi brani di questo lp. È un disco soul con un forte groove, in cui si respira un’atmosfera intensa, carica di tensione spirituale, un sound sassofonistico che sa farsi sia squarciante e dirompente che morbido ed avvolgente, legato ancora ad un approccio melodico ma non alieno ad esplosioni dissonanti. Il sassofonista Pharoah Sanders, proveniente dallo stato dell’Arkansas, è stato uno dei nomi più apprezzati del panorama jazz. Sanders si fece notare negli anni ’60, collaborando con il grande John Coltrane negli ultimi e sperimentali lavori di quest’ultimo ed indubbiamente risentì dell’influenza di Trane, oltre che mostrare affinità con un altro grande del free jazz, Albert Ayler. “Il Faraone” possiede uno dei suoni di sassofono tenore più distintivi del jazz, che gli ha fatto guadagnare lo status reale tra i musicisti del jazz libero, i critici e i collezionisti. Il suo suono può essere il più crudo e abrasivo possibile, comunque armonicamente ricco e pesante e sempre pieno di sfumature.

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