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// di Francesco Cataldo Verrina //

«Tornerai» non costituisce un semplice aggregatore di canzoni, ma un dispositivo poetico e musicale che interroga il concetto stesso di appartenenza stilistica. In un’epoca in cui la categorizzazione tende ad irrigidire le pratiche artistiche, questo album si propone come spazio aperto, dove le coordinate si moltiplicano e si ridefiniscono, senza mai smarrire il senso dell’orientamento.

Laddove le frontiere tra generi si dissolvono e la musica si fa territorio di transito e di dialogo, «Tornerai» emerge come mappa emotiva e linguistica di una voce che non teme la complessità. Siamo alle prese con un lavoro di notevole coerenza interna ed, al tempo stesso, di spiccata apertura stilistica. L’album, pubblicato da Emme Record Label, si srotola come una tessitura musicale che rifugge le semplificazioni e si affida ad una pluralità di linguaggi, timbri e registri per costruire un discorso sonoro stratificato e consapevole. La biografia di Erika Petti, nata a Campobasso nel 1990, rivela un percorso formativo solido: dagli studi di chitarra classica presso il Conservatorio «L. Perosi» alla pubblicazione, nel 2023, di «Sophisticated» – omaggio a Michel Legrand, Burt Bacharach e Duke Ellington – fino all’approdo a questo primo lavoro di composizioni originali. Il suo itinerario artistico si caratterizza per una costante tensione verso la sintesi, intesa non come compromesso ma come ricerca di un linguaggio personale e riconoscibile.

La voce e la chitarra classica di Erika Petti, ora anche autrice delle musiche e dei testi (con l’eccezione di «Amar y Vivir», firmato da Josè Carlos Morgana), fungono da fulcro espressivo attorno al quale si condensa un line-up di musicisti di marcata sensibilità: Miriam Fornari (pianoforte e sintetizzatori), Damiano Lanciano (basso elettrico e contrabbasso), Giuseppe Venditti (batteria e percussioni), affiancati da ospiti quali Manuel Petti alla fisarmonica, Luca Tozzi alla chitarra elettrica, ed un coro femminile che impreziosisce «Through Endless Time» con le voci di Chiara Piccione, Katia Valente e Giulia Antonelli. Il contributo degli archi, affidato a Francesca Messore e Tiziano Baranello, conferisce ulteriore luminosità cromatica al progetto. Il titolo stesso, «Tornerai», evoca una stagione musicale ben precisa – quella della canzone italiana degli anni Sessanta – ma non si limita a un gesto nostalgico. Piuttosto, si tratta di un riferimento che funge da punto di partenza per un’esplorazione sonora che attraversa territori molteplici, i quali vanno dalle trame acustiche alle incursioni elettroniche, dalle strutture jazzistiche alle suggestioni latine, passando per il blues e la tradizione cantautorale italiana. La varietà non è mai dispersiva, ma si organizza secondo una logica interna che privilegia la fluidità e la coesione. I testi, specchio di esperienze vissute e di stati emotivi cangianti, si collocano in una dimensione narrativa che evita l’enfasi e predilige la misura. Non vi è traccia di retorica, ma piuttosto di una scrittura che si affida alla ricchezza evocativa delle immagini ed alla precisione lessicale. La scelta di includere lingue diverse e di modulare le atmosfere in funzione del contenuto lirico testimonia una competenza non solo musicale, ma anche culturale e linguistica. Dal punto di vista formale, l’album si distingue per un equilibrio raro tra spontaneità interpretativa e rigore compositivo. La presenza di sintetizzatori e percussioni elettroniche non intacca la dimensione intimistica di molte tracce, ma anzi ne amplifica la portata espressiva, creando un dialogo fecondo fra tradizione ed innovazione.

In apertura, «E ti canto» si delinea come dichiarazione d’intenti: la voce si fa gesto affettivo, quasi epistolare, in cui il canto assume la funzione di custode della memoria. Il brano richiama la poesia di Szymborska, dove il quotidiano si carica di risonanze universali. La scrittura musicale evoca un interno domestico, una stanza in penombra, come nei dipinti di Vilhelm Hammershøi: silenzio, attesa e presenza. In «Smokey Bar» il paesaggio sonoro si trasforma in ambientazione cinematografica simile ad un bar avvolto nel fumo, forse a metà tra Edward Hopper e Wong Kar-wai. Il cbasso pulsa alla medesima stregua di un cuore insonne, mentre la voce si muove tra i tavoli come una figura di Tennessee Williams. Il tempo si dilata, la notte diventa luogo di sospensione, dove il desiderio e la solitudine si sfiorano senza mai coincidere. Con «PalamaElla», titolo enigmatico, quasi dadaista, la cantante si apre ad una dimensione ludica e surreale. La struttura musicale suggerisce un collage, una stratificazione di elementi che rimanda alle tele di Miró o ai versi di Apollinaire. Il motivo gioca con la fonetica, con le assonanze, come se la lingua stessa fosse materia da scolpire. È una danza verbale e timbrica, che sfugge alla linearità. «Tornerai» rappresenta il cuore pulsante del disco, echeggiando la tradizione melodica italiana, che si carica di una valenza metalinguistica, tanto che il ritorno non è solo tematico, ma anche formale. Il componimento si muove tra malinconia e lucidità, come nei romanzi di Natalia Ginzburg, dove l’affetto risulta sempre attraversato da una consapevolezza tragica. Le armonie suggeriscono un paesaggio interiore, un ritorno non tanto a qualcuno, ma ad una parte di sé.

In «Through Endless Time» la lingua cambia, e con essa la temperatura emotiva. Il tempo non è più cronologico, ma cosmico. La tematica si avvicina alla scrittura di Rainer Maria Rilke, dove l’eternità viene percepita come vibrazione sottile. Gli archi ed il coro femminile costruiscono una dimensione sacrale, quasi liturgica, che richiama le architetture di Tadao Ando: spazio, luce e silenzio. «Sono un soldato» si fa forte di un testo che si apre a una dimensione politica e esistenziale. Il soldato non incarna una figura bellica, ma una metafora dell’attraversamento e della resistenza. Il brano potrebbe dialogare con la pittura di Anselm Kiefer, dove la materia è insieme ferita ed memoria. La voce appare scarna, diretta, come nei versi di Paul Celan, al punto che ogni parola pesa ed ogni nota è scelta con perizia. In «Hai deciso e…» la sospensione del titolo assume già il valore di gesto poetico. Il costrutto si muove tra esitazione e accettazione, come nei racconti di Alice Munro, dove le decisioni non sono mai nette, ma sempre attraversate da dubbi e ripensamenti. La musica accompagna questo movimento interiore, con una scrittura che sembra respirare, lasciando spazio al non detto. «Amar y Vivir» è l’unico brano non scritto da Petti, ma perfettamente integrato nel tessuto dell’album. La lingua spagnola introduce una nuova temperatura emotiva, in cui l’amore viene vissuto come necessità ed urgenza. Il contenuto richiama la poesia di Pablo Neruda, dove il sentimento risulta sempre incarnato e mai astratto. La voce si fa corpo, la musica si fa sangue. «Tornerai» non costituisce dunque un semplice aggregatore di canzoni, ma un dispositivo poetico e musicale che interroga il concetto stesso di appartenenza stilistica. In un’epoca in cui la categorizzazione tende ad irrigidire le pratiche artistiche, questo album si propone come spazio aperto, dove le coordinate si moltiplicano e si ridefiniscono, senza mai smarrire il senso dell’orientamento.

Erika Petti
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