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Lungi dall’essere confinato all’anonimato di una carriera da sideman, il contributo Hal McKusick alla scena jazzistica newyorkese meriterebbe una più ampia trattazione, nonché un’attenta rivalutazione sotto il profilo critico e storico.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Il periodo compreso tra il 1956 e il 1958 vede la collaborazione, occasionale ma significativa, tra Hal McKusick e Art Farmer, culminata nella produzione di tre album incisi rispettivamente per Victor, Decca e Coral. Pur non essendo un sodalizio continuativo, il loro incontro nei contesti di registrazione ha dato vita a un linguaggio musicale raffinato e in costante equilibrio tra diverse correnti stilistiche del jazz dell’epoca. Farmer e McKusick, tra i più sofisticati interpreti degli anni ’50, hanno registrato frequentemente in grandi formazioni, ma solo 19 tracce in formato quintetto. La loro collaborazione, seppur limitata, ha lasciato un’impronta indelebile nel jazz dell’epoca. Va precisato che la serie MCA Jazz Heritage ha visto la ristampa di alcuni preziosi album Coral, ma spesso con modifiche discutibili, come la rimozione di tracce senza una chiara motivazione. L’edizione del 1983, ad esempio, ha escluso una versione di «When Your Lover Has Gone», riducendo il valore complessivo della ristampa. Sei di questi brani sono stati successivamente ripubblicati nel CD Decca «Now’s The Time», garantendo una nuova vita a questa sessione particolarmente libera e spontanea.

Ciò che colpisce maggiormente nella poetica e dell’estetica sonora del quintetto è la sua posizione liminale rispetto alle principali scuole jazzistiche degli anni Cinquanta. Esso si colloca come un punto di convergenza tra il bebop e il cool jazz, ponendo in dialogo elementi apparentemente opposti e generando una sintesi linguistica non prevedibile. Con un fraseggio sul sax contralto che evoca Charlie Parker e l’effluvio sonoro del clarinetto che oscilla tra Lester Young e Buddy DeFranco, McKusick diviene il fulcro concettuale dell’ensemble, articolando un discorso espressivo radicato nella tradizione ma proiettato verso sperimentazioni timbriche ed accordali più moderne. L’influenza di Miles Davis su Art Farmer è evidente, così come il suo approccio melodico, caratterizzato da un lirismo delicato ed un senso di costruzione armonica estremamente sofisticato. La predisposizione genetica nel sapersi adattare a contesti musicali eterogenei (da Horace Silver a Gerry Mulligan) testimonia la versatilità di un poliedrico interprete che è riuscito ad introiettare le molteplici evoluzioni del linguaggio jazzistico. Non da meno, la sezione ritmica composta da Milt Hinton ed Eddie Costa, i quali aggiungono circolarità e dinamismo all’interplay collettivo. Hinton, con la sua esperienza nelle orchestre di Count Basie, apporta una solida architettura ritmica, mentre Costa, tragicamente scomparso nel 1962, si distingue per un pianismo incisivo e articolato, permeato tanto dall’influenza di Bud Powell quanto dalle circonvoluzioni armoniche più cerebrali di Lennie Tristano.

Ogni passaggio dell’album attesta l’unicità del piccolo ensemble, che pur non appartenendo ad una precisa scuola di pensiero, riesce ad implementare un plot musicale polimorfico ed assertivo, fitto di contrasti e di proterva sperimentazione timbrica. «Pon-Su» è una composizione di Art Farmer che si distingue per la fluente struttura melodica e l’articolata interazione tra tromba e sax. «Isn’t It Romantic», evergreen di Richard Rodgers e Lorenz Hart, viene rimodulato con un’eleganza formale e sostanziale che esalta la sensibilità armonica del quintetto. «For Art’s Sake», a firma Al Cohn, fa emergere immediatamente la versatilità del line-up, con un interplay misurato, ma efficace, tra sezione ritmica e fiati. «Gone With The Wind», classico senza tempo, restituito al mondo degli uomini con una sensibilità che pone sotto i riflettori l’approccio neoclassico del quintetto. La tromba di Art Farmer dispensa una suadente melodica, quasi cinematografica, mentre McKusick s’innesta nell’humus esecutivo con un fraseggio sobrio e calibrato, foriero di un’atmosfera sospesa ed eterea.

«When Your Lover Has Gone» sottolinea la dimensione lirica della compagine. McKusick al sax alto assume un ruolo centrale, con un’esecuzione che richiama la scuola cool jazz. Il pianismo di Eddie Costa aggiunge sfumature armoniche intriganti, mantenendo il costrutto melodico-armonico in equilibrio fra tradizione e modernità. «Down And Dirty» è forse il momento di maggiore tensione ritmica, dove il drumming di Gus Johnson si fa più incisivo. Ad abundantiam, il dialogo tra Costa e Farmer costruisce un’architettura sonora vibrante, in cui il walking swingante di Milt Hinton al contrabbasso aggiunge solidità strutturale. McKusick sfrutta la sua versatilità per oscillare tra calorosi fraseggi bebop e inserti più raffreddati. «Criss Cross», tema di Manny Albarn, si distingue per la complessità delle linee melodiche e la precisione degli incastri ritmici. Art Farmer modula il fraseggio con una padronanza tecnica non comune, dimostrando una sensibilità armonica degna del Miles Davis del periodo bop. Il contrappunto tra sax e tromba sancisce un perfetto esempio di interazione dinamica tra i solisti. «Makin’ Whoopee» è una perifrasi ironica e leggera che permette ai sodali di giocare con le variazioni stilistiche. La vivacità ritmica e la signorilità esecutiva di Costa al pianoforte apportano una vertiginosa impronta swing. Dal canto suo, McKusick alterna interventi incisivi con momenti più lirici, determinando un punto di equilibrio tra tecnica e espressività.

L’aspetto più interessante di questo quintetto risiede nella sua predisposizione a muoversi con disinvoltura tra neoclassicismo orchestrale e perlustrazione innovativa, evidenziando una tensione estetica che non si risolve nella mera adesione a uno stile definito, bensì nell’instaurazione di un dialogo continuo tra tradizione e avanguardia. La musica del gruppo si distingue dunque per un equilibrio tra complessità strutturale e spontaneità interpretativa, caratteristiche che conferiscono al catalogo di Hal McKusick un fascino discreto ma duraturo. Attraverso questa serie di registrazioni, il sassofonista si afferma non solo come musicista raffinato o di maniera, ma anche come libero pensatore jazz, desideroso di integrare le lezioni dei grandi maestri con un’inedita ricerca personale personale, almeno nei propositi. Lungi dall’essere confinato all’anonimato di una carriera da sideman, il suo contributo alla scena jazzistica newyorkese meriterebbe una più ampia trattazione, nonché un’attenta rivalutazione sotto il profilo critico e storico.

Hal McKusick

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