«Benny Goodman at Carnegie Hall», più che un concerto una rivoluzione epocale

L’evento rappresenta un’occasione unica per studiare non solo le caratteristiche idiomatiche del genere, ma anche il suo contesto socio-culturale, mettendo in luce la rilevanza del jazz come strumento di cambiamento, aggregazione ed integrazione sociale.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Il concerto di Benny Goodman al Carnegie Hall del 16 gennaio 1938 rappresenta un evento cruciale nella storia del jazz, trascendendo la mera performance musicale per assumere un significato socio-culturale di rilievo. L’evento, ampiamente celebrato come il concerto jazz più importante della storia del jazz, segnò non solo un apice nella carriera di Goodman, ma anche un momento di svolta nell’integrazione razziale nel mondo dello show-biz americano dell’epoca. La presenza di musicisti afro-americani di calibro internazionale, in un contesto prestigioso come la Carnegie Hall, rappresentò un atto di rottura con le convenzioni sociali dell’epoca, aprendo la strada a future collaborazioni interrazziali nell’universo musicale tout-court. Il meeting ebbe un successo inaspettato. La sala era stracolma in ogni ordine di posti, tanto che lo stesso Goodman per garantire l’ingresso ai suoi familiari dovette acquistare i biglietti da un bagarino.
L’aspetto documentale del concerto è altrettanto significativo. La più recente ristampa integrale, che include brani precedentemente esclusi e ripristina le performance complete, offre una prospettiva più completa sull’evento. L’analisi delle scelte di programmazione, che spaziano da brani orchestrali a performance di piccoli gruppi, evidenzia la versatilità di Goodman e la vastità del repertorio jazzistico dell’epoca. L’inclusione del segmento «Twenty Years Of Jazz», con omaggi ad altri artisti e stili, sottolinea l’intento di Goodman di tracciare una panoramica storica di un genere musicale, fino ad allora considerato solo sotto l’aspetto ludico, conferendo al concerto una dimensione pedagogica.
Da un punto di vista musicale, il meeting è caratterizzato da un’intensità ritmica e un’espressività strumentale di altissimo livello. Le performance dei solisti, tra cui Lester Young, Johnny Hodges, e Harry James, rappresentano momenti culminanti di virtuosismo e d’improvvisazione, rivelando l’eccezionale talento individuale all’interno di un contesto collettivo fortemente coeso. L’analisi delle improvvisazioni, delle scelte armoniche e ritmiche, permette di approfondire le caratteristiche stilistiche del jazz degli anni ’30, sottolineando le influenze e le innovazioni che hanno contribuito alla sua evoluzione. Suddetti solisti hanno avuto un ruolo fondamentale, contribuendo a sancire momenti indimenticabili. In riferimento a Lester Young, il suo assolo in «Honeysuckle Rose» è uno dei traguardi più gloriosi della storia del jazz; dal canto suo, Johnny Hodges al sax soprano, incanta il pubblico eseguendo una delle più riuscite versioni di «Blue Reverie» di tutte le epoche. Pezzi iconici come «Sing, Sing, Sing» pongono sotto i riflettori le non comuni capacità del batterista Gene Krupa, mentre la sessione jam con i membri dell’ensemble di Basie aggiungono spontaneità e tonnellate di puro swing, contrassegno saliente che definisce le coordinate del jazz di quegli anni.
Nonostante le inevitabili imperfezioni tecniche dovute all’età delle registrazioni originali, la ristampa integrale del concerto certifica la preziosa testimonianza di un momento storico cruciale per la musica jazz e per la società americana. Da lì a poco la guerra avrebbe fatto traballare ogni certezza, mentre lo scenario complessivo, negli anni ’40, sarebbe mutato con l’arrivo del bebop. I problemi legati alle rudimentali attrezzature del periodo non compromettono l’esperienza complessiva, garantita, se non altro, dalla straordinaria acustica della Carnegie Hall. L’evento rappresenta un’occasione unica per studiare non solo le caratteristiche idiomatiche del genere, ma anche il suo contesto socio-culturale, mettendo in luce la rilevanza del jazz come strumento di cambiamento, aggregazione ed integrazione sociale. La combinazione di arrangiamenti orchestrali ben strutturati combinati alle jam session di piccoli gruppi rendono l’evento un avvenimento di portata storica. «Don’t Be That Way» dà la stura alle esibizioni con un ritmo coinvolgente, «Sometimes I’m Happy» mostra immediatamente la versatilità dell’orchestra, mentre «One O’Clock Jump» porta in auge il talento di Goodman al clarinetto. «Sensation Rag» eseguito da un combo ristretto, rende omaggio alle radici del jazz tradizionale. «Honeysuckle Rose» è una jam session memorabile segnata dalla partecipazione di diversi solisti. «Blue Skies», classico firmato Irving Berlin, offre una superba interpretazione collettiva, per contro «Body and Soul» permette ai solisti di agire in scioltezza attraverso memorabili improvvisazioni.
In conclusione, va detto che il concerto alla Carnagie Hall fu anche il primo eventocon un’orchestra di jazzisti in un ambiente solitamente riservato alla musica accademica, lontano anni luce dalla tipica serata mangia-bevi-balla, segnando così un passaggio cruciale nell’accettazione da parte del pubblico colto di un genere popolare, all’epoca, ancora considerato come una forma espressiva relativamente rozza, associata a locali notturni dalla pessima nomea ed a club più informali. Portar il jazz su un palco prestigioso contribuì enormemente a legittimarlo, dando soprattutto a tanti musicisti di colore un riconoscimento paragonabile a quello dei compositori e degli esecutori delle orchestre sinfoniche. L’ensemble di Goodman fu tra le prime big band integrate, con musicisti bianchi e neri che suonavano fianco a fianco, in un periodo in cui gli steccati apparivano ancora lungi dall’essere abbattuti. In particolare, la presenza di personalità trasversali come Lionel Hampton, Teddy Wilson e Count Basie dimostrò che il jazz poteva essere un fenomeno universalmente accettato, scrollandosi di dosso l’etichetta di musica per sale da ballo ed assurgere a forma d’arte rispettabile, fissando, altresì, alcuni canoni per la sua evoluzione nel panorama culturale del XX secolo. Benny Goodman, nato il 30 maggio del 1909, di cui oggi festeggiamo idealmente il compleanno, dopo il Concerto alla Carnagie Hall, venne incoronato dalla critica e dai media come Re dello Swing.
