«Reflections» del Claudio Fasoli Emerald Quartet: nel chiaroscuro del suono, tra riflessi e dissolvenze, come in un film ( Blue Serge, 2010)

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«Reflections» non è un semplice lotto di di componimenti finalizzati ad uno scopo meramente esecutivo, ma un piccolo trattato musicale che stimola la memoria e guarda avanti, con l’occhio lungo di chi conosce il passato e non teme il futuro.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Claudio Fasoli siede a capotavola con la naturalezza di chi ha attraversato decenni di musica senza mai smettere di interrogarsi. «Reflections» è una raccolta di visioni sonore che si dispiegano con la lucidità di un pensiero compositivo maturo, consapevole, eppure ancora capace di stupire. Attorno a lui, l’Emerald Quartet si muove con precisione e sensibilità: Mario Zara al pianoforte, Yuri Goloubev al contrabbasso e Marco Zanoli alla batteria partecipano alla realizzazione di un ambiente sonoro che respira, si espande, si contrae e lascia spazio alla voce del leader, ora al sax soprano, ora al tenore.

Ogni pagina musicale porta la firma di Fasoli, che non si limita a delineare strutture, ma le plasma con una scrittura che si nutre di esperienze nordiche, di geometrie armoniche raffinate e di una tensione narrativa che non cerca mai l’effetto. Alcuni passaggi mostrano una fisionomia acustica più aspra, dove il pianismo di Zara si fa frastagliato, quasi ruvido, mentre il contrabbasso di Goloubev si avvolge attorno al soprano con movimenti spiraliformi, mentre Zanoli interviene con scansioni che sostengono il costrutto melodico, dove le sovrapposizioni del sax e del contrabbasso generano un clima ipnotico, accentuato da un uso calibrato di tamburi e piatti. Fasoli non rinuncia alla cantabilità, ma la declina secondo una sensibilità moderna, in alcuni tratti dell’album le variazioni di colore sonoro emergono dal pianismo classicheggiante di Zara e dalle ampie tessiture di Goloubev, aprendosi con un’introduzione solitaria del pianoforte, che fa suonare le pause ed i silenzi con una cura quasi cameristica, prima di accogliere il soprano del leader, più sibilante e lirico, oppure sulla scorta di un dialogo serrato tra il fraseggio lucido di Fasoli e la batteria di Zanoli, che articola il ritmo con nitidezza e rigore; diversamente muovendosi in una dimensione più rarefatta, dove la libertà apparente delle voci strumentali si rivela frutto di una scrittura attenta, mai lasciata al caso o concedendosi ad una cantabilità più vivace, dove la batteria assume un ruolo da protagonista, incisivo e brillante.

La sequenza esecutiva sancisce un itinerario sonoro coerente, dove ogni episodio sancisce una precisa intenzione estetica ed una scrittura armonica che riflette la maturità del pensiero compositivo di Claudio Fasoli. L’interazione fra i membri dell’Emerald Quartet si manifesta come una vera e propria drammaturgia acustica, in cui ogni gesto strumentale contribuisce a forgiare un plot narrativo. Le suggestioni cinematografiche emergono come atmosfere interiori e come escavazioni che s’insinuano nel tessuto musicale. «Caigo», brevissimo incipit, si presenta come una velatura acustica, un’introduzione quasi sospesa, dove il sax soprano disegna una linea frammentaria, appena accennata, che si dissolve nel silenzio. Il pianoforte interviene con discrezione, lasciando che la fisionomia del suono si mantenga evanescente, come una dissolvenza in apertura. «Stucky» articola una struttura più complessa, fondata su contrasti ritmici e su una geometria accordale che si estrinseca per sovrapposizioni. Il pianismo di Zara assume tratti dissonanti, quasi espressionisti, mentre Goloubev tesse un contrappunto mobile, vibrante, che dialoga con le inflessioni taglienti del sax soprano. Zanoli scolpisce il tempo, dove ogni colpo di piatto e qualunque rullata sembra rispondere a un schema prestabilito e ad un disegno ritmico che si fa drammaturgia. L’insieme riporta alla mente atmosfere urbane, frammentate, quasi scorci di una metropoli notturna. «Fenice» si apre ad una dimensione lirica, ma non indulgente. La tessitura armonica si fonda su modulazioni che tendono all’espansione. Zara implementa un habitat sonoro di impronta classicheggiante, dove le pause assumono valore espressivo. Il contrabbasso si sposta con ampie arcate, sostenendo il soprano che diventa io-narrante, capace di evocare paesaggi interiori. Il clima rimanda a certe sequenze cinematografiche contemplative, in cui il tempo si dilata e la materia sonora si fa riflessione. «Fortuny» presenta una struttura tematica più frastagliata, dove il pianoforte si dimena in modo caracollante, quasi sghembo, mentre il sax tenore interviene con fraseggi spezzati e nervosi. L’interplay fra i musicisti si fa serrato, con passaggi di staffetta rapidi ed improvvisi cambi di direzione. L’insieme suggerisce un ambiente sonoro inquieto, come una scena di tensione trattenuta, alla maniera di Antonioni. «Widman» si costruisce attorno a una nota ripetuta, che diventa centro gravitazionale dell’intero episodio. Il pianoforte insiste su questa cellula, mentre il soprano e il contrabbasso si sovrappongono in un gioco di velature e dissolvenze. Zanoli interviene con tocchi leggeri, quasi filmici, che accentuano il carattere ipnotico del brano. L’atmosfera allude a talune sequenze sospese di Wim Wenders, dove il l’ambientazione si fa spazio mentale. «Pauly» gioca con metriche irregolari e con un andamento ritmico che si frammenta e si ricompone. Il pianoforte propone cellule ritmiche spezzate, mentre il contrabbasso si dirama con precisione chirurgica. Il sax soprano interviene con una cantabilità trattenuta, quasi ironica, che delinea una scena urbana, vivace, ma non frenetica.

«Fog» si sostanzia come una pagina musicale rarefatta, dove le voci strumentali sembrano dipanarsi in uno spazio indefinito. Il pianoforte disegna linee minime, mentre il contrabbasso e la batteria puntellano un ambiente sonoro in equilibrio instabile. Il soprano s’insinua con discrezione, evocando una nebbia interiore, una perlustrazione emotiva che richiama il cinema intimista di Béla Tarr. «Gibigianna» si dischiude ad una melodia fruibile più esplicita, dove la batterista assume un ruolo da promo attore, con scansioni vivaci e brillanti. Il pianoforte distilla un profilo compositivo più lieve, mentre il sax dribbla con agilità, quasi danzando. L’insieme risveglia una scena di movimento e di vitalità, alla stregua di una commedia sofisticata. «Grünwald» si fa spazio con un’introduzione solitaria del pianoforte, che ravviva il silenzio con una cura quasi cameristica. Il soprano interviene con una progressione sibilante, immergendosi nel clima meditativo costruito da Zara. Il contrabbasso sostiene con discrezione, mentre la batteria interviene solo quando necessario, accentuando la dimensione indagativa del brano. «Hermada» promulaga un dialogo teso fra sax tenore e batteria, dove il fraseggio si fa lucido, incisivo, mentre la scansione ritmica assume tratti percussivi, quasi rituali. Il pianoforte si fa carico di accordi secchi, mentre il contrabbasso dispensa una linea di sostegno che corrobora la struttura. La temperie strumentale rimanda a talune sequenze di tensione trattenuta, come nei film di Kieslowski. «Des Bains» suggella il disco con una pagina musicale che non insegue la conclusione, ma l’apertura. Il soprano imbastisce una trama melodica che si dissolve, mentre il pianoforte e il contrabbasso allestiscono un ambiente sonoro che rimanda ad una partenza e ad un nuovo inizio. La batteria interviene con tocchi misurati, come passi su una superficie acquatica. Il titolo stesso riporta alla mente un luogo di transizione, come una scena finale che lascia lo spettatore in uno stato di smarrimento consapevole. «Reflections» non è un semplice lotto di di componimenti finalizzati ad un mero scopo esecutivo, ma un piccolo trattato musicale che stimola la memoria e guarda avanti, con l’occhio lungo di chi conosce il passato e non teme il futuro.

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