Intervista a Joe Barbieri: «Guardare l’infinitamente grande, l’inafferrabile è un po’ guardare dentro se stessi»

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Joe Barbieri

// di Danilo Bazzucchi //

In un tempo in cui la musica corre veloce, Joe Barbieri continua a camminare in punta di piedi, custodendo con grazia il silenzio tra le note. Cantautore, compositore, produttore e artigiano del suono, Barbieri è una voce fuori dal coro: capace di attraversare continenti e generi mantenendo intatta la propria identità. Dalla Napoli di Pino Daniele fino alle platee del Giappone, dal tributo a Chet Baker alla canzone napoletana più autentica, ogni suo passo è un gesto di ascolto e di bellezza. In questa conversazione ripercorriamo il suo straordinario viaggio artistico, dalle origini alle stelle

D Molti dei tuoi album sono attraversati da una vocazione narrativa. Pensi alla musica come a una forma di cinema per l’anima?

R Per me il cinema è sempre di più una forma d’arte, che mi attrae molto, a cui applicare la musica. E’ da molto tempo che non solo quando scrivo, ma anche quando penso alla produzione e all’orchestrazione dei brani tendo ad immaginarli come fossero delle colonne sonore. E poi, nei prossimi anni, mi piacerebbe saltare il fosso, passare dall’altra parte e mettermi a scrivere proprio colonne sonore per i film. Quindi la domanda mi sembra molto pertinente.

D Il concept di «Big Bang» tocca l’astronomia, ma anche il viaggio e il rischio. Quale tra questi temi senti più urgente nel tuo presente?

R Proprio il presente, perché il mio presente è molto centrato sul quì e ora. Vivo il viaggio come un susseguirsi di attimi presenti senza particolari nostalgie per il passato e senza eccessive pressioni per un futuro che deve ancora arrivare. Quindi il presente con tutti i suoi punti di domanda e le sue incertezze è quello che sento emergere di più e me lo vivo al meglio che riesco.

D Hai definito «Big Bang» il tuo disco più luminoso, persino da ballare. È un cambio di passo rispetto al passato o una nuova parte di te che hai deciso di mostrare?

R Credo entrambe le cose. Intanto questo disco si chiama così perché il Big Bang per come lo conosciamo noi è praticamente l’inizio di tutto e la vita è un eterno ricominciare, ripartire dal nulla, con la percezione di non avere certezze granitiche da poter spendere. Ecco quindi che in questo disco mi sono buttato senza troppi timori, senza calcoli e soprattutto senza difendermi. Da una parte è un nuovo lato del 51enne che sono, dall’altra un nuovo passo richiesto dall’attuale presente.

D «Big Bang» nasce dalla tua passione per l’astronomia. Cosa rappresenta per te guardare verso il cielo, nella musica e nella vita?

R Guardare l’infinitamente grande, l’inafferrabile è un po’ guardare dentro se stessi. Credo che ci sia un parallelismo, il microcosmo e il macrocosmo credo che si lambiscano, si sfiorino. Sono convinto che ci siano dei punti di contatto tra la sensazione di stupore, di meraviglia, di non conoscenza quando provi a guardare dentro se stessi.

D Il tuo esordio fu sotto la guida di Pino Daniele. Qual è l’eredità più viva che ti ha lasciato quell’incontro?

R Senza dubbio l’invito alla mescolanza, a non aver timore a mischiare le culture, le proposte e le idee. Pino in questo è stato uno dei più grandi che abbiamo avuto in Italia e per quanto mi riguarda la sua lezione è sempre molto, molto viva.

D Dalla world music al jazz, passando per la canzone napoletana: come scegli le strade sonore da percorrere senza mai perdere coerenza?

R Semplicemente lasciandomi guidare dall’amore che provo per le cose che hai appena elencato. Man mano che il percorso si snoda, si snocciola, emergono dei bisogni e cerco di seguirli, di lasciarmi guidare da quelle sensazioni di necessità che poi portano ad un disco, ad un progetto o a una tournée. Anche la scelta delle canzoni all’interno dei singoli progetti ha la stessa logica, che poi non è una logica.

D Negli anni hai collaborato con giganti della musica internazionale. Qual è l’incontro che ti ha cambiato di più umanamente?

R Pino Daniele, senza dubbio. Tutti mi hanno dato qualcosa, degli spunti musicali, delle riflessione con cui sono migliorato. Ma Pino rimane Pino e se non fosse esistito lui non sarei esistito io.

D Hai dedicato due dischi a Chet Baker e Billie Holiday. Cosa ti spinge a confrontarti con questi numi tutelari, e cosa hai scoperto di te stesso, omaggiandoli?

R Intanto più che un’esigenza o un confronto, che non può esistere, direi che sono stati due dischi di gratitudine così come è stato di gratitudine l’omaggio alla canzone napoletana a cui facevi menzione poco fa. Sono tre dischi che sentivo di dovere a coloro che sono stati omaggiati, perché sia Chet Baker che Billie Holiday, nell’ambito del jazz, mi hanno insegnato e formato e quindi sono stati dei dischi per dire loro grazie.

D Hai composto per il teatro e per la televisione. Com’è stato scrivere musica al servizio di un personaggio o di una storia altrui?

R Molto bello, a me è sempre piaciuto scrivere storie. Sostanzialmente anche quando compongo canzoni scrivo storie, me le immagino, provo a seguire un filo rosso che si palesa e di andargli dietro con fiducia. Avere la fiducia di questi due autori, come Diego Da Silva che è il padre dell’Avvocato Malinconico e di Massimiliano Gallo, che è l’interprete e colui che ha dato la faccia a questo personaggio, mi ha molto onorato e stimolato e mi ha regalato un’estate di scrittura furiosa, perché tutto il materiale che è stato utilizzato per questa pièce teatrale è nato nel giro di due mesi.

D Hai citato la poesia «Itaca» di Kavafis come una bussola per il tuo percorso. Qual è il verso che più ti accompagna oggi?

R È quello che dice: di notte farai il viaggio. Per parafrasare un po’ De Andrè, che diceva che la stessa ragione del viaggio è viaggiare. Il viaggio ha bisogno del suo tempo, dei suoi errori, di imboccare le strade sbagliate, per poi redimersi, correggersi e quindi nel viaggio, piuttosto che la destinazione, c’è qualcosa e io voglio godermi quel qualcosa e voglio viverlo appieno.

D Nel videoclip di «Poco mossi gli altri mari» sembri affermare che l’instabilità è una condizione necessaria per partire. Anche per te vale nella vita, oltre che nell’arte?

R Sì, certo. Ma vale anche nella fisica, se non c’è una condizione di squilibrio non c’è movimento. Allora benedetto quel disequilibrio alla ricerca di un equilibrio che probabilmente non arriverà mai.

D Se il tuo prossimo messaggio potesse davvero raggiungere forme di vita lontane anni luce, quale canzone di «Big Bang» vorresti che ascoltassero per capire chi è Joe Barbieri?

R Io sono legato proprio ad «Anni Luce», che è una di quelle canzoni, tra le centinaia che ho composto, che dopo aver scritto il primo verso già sai che tutto il resto che si porterà appresso sarà qualcosa d’importante e questo è una cosa rara. E questo brano lo sento in maniera particolare per me e per la mia vita.

D Dopo trent’anni di carriera, che cos’è oggi la bellezza per Joe Barbieri? E che ruolo ha nella tua musica?

R La bellezza, insieme alla purezza, rimane per me la bussola, uno dei pochissimi punti fermi. Non potrei mai accettare di fare una cosa che non sia bella, almeno nelle intenzioni.

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