«Coglians» del PDuRN Trio, tra mutamenti ed evoluzioni, fra contemporaneità e tradizione (nusica.org, 2025)
Fra tensione e rilascio, tra profondità e superficie, fra dicibile e indicibile, tra espressione e ispirazione, il trio agisce in simbiosi mutualistica, senza mai perdere il senso dell’orientamento, quasi fosse un tutt’uno.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Il disco che stiamo per trattare parte con un claim alquanto suggestivo: «Un’osmosi tra uomo e natura che ricorda lo spirito romantico, una riflessione sul tempo, sulle parole, sulle sfumature dell’essere nel mondo». Essendo la musica un universo di suggestioni, si possono cogliere aspetti molteplici, specie quando non c’è l’ausilio di un testo, in cui parole indichino una precisa direttrice di marcia. A tutto ciò si aggiunga anche il modus operandi che sottende la sottile filosofia di nusica.org, etichetta discografica ed associazione culturale di menti elette, la quale promuove musica di alta qualità ed artisti innovativi attraverso un percorso non solo semantico, ma anche estetico, dove il minimalismo delle copertine, relative alle opere pubblicate, diventa lo specchio fedele della pulsione emotiva che si respira all’interno del costrutto sonoro.
Le pubblicazioni di nusica.org hanno un numero progressivo e sembrano tutte legate dal medesimo fil rouge, una sorta di piano sequenza della narrazione jazzistica, nell’accezione più larga del termine. Nello specifico siamo al N.34 e «Coglians», ispirato alla vetta più elevata del Friuli-Venezia Giulia, diventa un osservatorio privilegiato per il PDuRN Trio, formato da Daniele Nasi sax tenore e soprano, Giancarlo Patris contrabbasso e Margherita Parenti batteria, i quali si avvalgono dell’apporto di Marcello Abate alla chitarra nell tracce 3 e 6. L’idea è quella di creare una connessione ed un canale privilegiato tra musica e natura con un afflato quasi dematerializzato ed ultraterreno, senza dimenticare mai il senso audiotattile di un jazz esplorativo che indaga in tante direzioni, tra mutamenti ed evoluzioni, fra contemporaneità e tradizione. Un primo grimaldello che ci permette di individuare il punto di accesso allo scrigno sonoro del triunvirato e di svelarne i segreti, è proprio l’opener «Alle pendici del Coglians» – uscito come singolo anticipatore – che si sviluppa sulla scorta di una narrazione controllata ed eterea, quasi sospesa fra cielo e terra, in cui il sax di Nasi distilla una melodia a facile combustione come un flusso di memoria che emerge lentamente con evidenti rimandi al jazz nordico. A seguire, «Distratto Contratto», che tra forma e «deforma» sembra innalzarsi per poi inabissarsi in un magma di suoni e di perifrasi chiaroscurali, giocando sulla distorsione, sino a giungere ad un finale appeso alla dissolvenza incrociata degli strumenti. «Wilderness» si sostanzia attraverso un movimento flessuoso ed orientaleggiante, complice il suono estatico del sax soprano, locupletato dall’innesto della chitarra di Marcello Abate che apporta delle screziature quasi fusion, attraverso una lunga escursione tematica, propedeutica al ritorno in auge del soprano per l’atto finale, mentre la retroguardia funge da collante e da propulsore dinamico.
Fra tensione e rilascio, tra profondità e superficie, fra dicibile e indicibile, tra espressione e ispirazione, il trio agisce in simbiosi mutualistica, senza mai perdere il senso dell’orientamento, quasi fosse un tutt’uno, mentre «Ominous Rain», una pioggia minacciosa – almeno il suo presagio – sembra invadere l’ambiente circostante. Un forte monito che rinsalda il legame ancestrale fra uomo e natura, in cui i colpi cadenzati del kit percussivo e le corde tese del basso sembrano fornire avvertimenti, sottolineati dal canto quasi dolente del sassofono. «Ogni Strato» acuisce il senso di smarrimento dell’umanità rapportata alla potenza della natura, mentre il sax sembra scavare in un dedalo di emozioni contrastanti, ma con la dimestichezza di un balladeer capace di trasformare le ombre in luce. L’album si chiude con la ripresa di «Alle pendici del Coglians», arricchito dalla chitarra di Marcello Abate, che aggiunge una piacevole trapuntatura alla già suggestiva e sorniona escursione melodica di Nasi e compagni. «Coglians» del PDuRN Trio non è un concept circoscrivibile o da segregare in un’unica categoria per facilità o convenienza catalogatoria. Forma e sostanza a volte si disgregano, tendendo in varie direzioni, per poi riconvergere e rinascere come un Araba Fenice sotto differenti spoglie: sono i piccoli dettagli che costituiscono il totale come le tante tessere di un mosaico che s’incastrano quasi per magia, soggiogando il fruitore.

