In memoria di David Sanborn…a spasso nel tempo con David

David Sanborn
// di Marcello Marinelli //
Dalle canzoni della notte prima ‘Songs from the night before’ (1996) incontro ‘Rikke’ una ballad che più bella non si può. Fusion? Smooth? Soul? Si, tutto questo, morbido come un cuscino di piume e leggero come una farfalla nel suo incedere. Per qualcuno forse evanescente, e se pure fosse, per la mia modestissima opinione, l’evanescenza che diventa arte. David è ispirato e ci racconta una storia senza parole, come la melodia del suo sax alto sa fare. Non c’è virtuosismo in questo brano, solo note giuste al momento giusto, quei sovracuti ‘bluesy’ mi penetrano dentro e mi rovistano le budella. Un Johnny Hodges dei tempi moderni, in quanto a brillantezza della voce, a nitidezza del suono, a pulizia del fraseggio ed ispirazione. Il paragone è azzardato? Una dei miei rari azzardi, ma qualche volta bisogna rischiare e sfidare le ire degli dei. Nel mio girovagare random finisco nel 1986 nel disco in duo con Bob James ‘Double vision’, ‘Since i feel for you’, la celebre ballad di Buddy Johnson del 1945. Qui la ‘Doppia visione’ si trasforma in triplice visione perché si aggiunge la voce dell’amato Al Jarreau che crea un’atmosfera rilassata ‘jazzy’ con David che accompagna delicatamente la voce del cantante e poi fa un assolo dei suoi molto ‘growl’.
Girovagando casualmente nel tempo raggiungo il 2003 l’album ‘Timeagain’ e la celebre ‘Isn’t she lovely’ di Stevie Wonder, il pezzo dura solo tre minuti e mezzo, è solo una citazione strumentale, una citazione alla sua maniera, ispirata. Torno a ritroso nel 1999 nell’album ‘Inside’ e qui c’è una versione con un arrangiamento stupendo di ‘Ain’t no sunshine di Bill Whiters in compagnia di Sting che canta mirabilmente. Poi nel 1986 in ‘Voyer’ con un suo pezzo originale ‘’It’s you’ in compagnia di Steve Gadd, Marcus Miller Lenny Castri e Michael Colina. Il tempo è leggermente più mosso rispetto ali brani precedenti ma l’atmosfera è sempre ‘chill’ e i compagni di merenda all’altezza della situazione. ‘Spooky’ tratto dalle ‘Canzoni della notte prima’ un brano con un ‘groove’ da paura, medium tempo che ti fa muovere le gambe anche con dei doloretti niente male alle articolazioni, ma impossibile nel non muovere il corpo e assecondare il beat della band, David è misurato, poche note e tutte a segno. Nel 1984 si va dritto al cuore con ‘Straight to the hearth’ tratto dal l’album omonimo e a questo punto non si più tergiversare, un lento con la fidanzata e una pomiciata doverosa e necessaria per omaggiare l’amore di questa meravigliosa ballad. La pomiciata dura fino al 2005 con ‘Don’t let me be lonely tonight’ dall’album ‘Closer’ con Lizz Wright che canta la melodia composta da James Taylor, David il miglior sassofonista accompagnatore di voci. Nel 1983 nell’album ‘Blackstreet’ esce dal cilindro un pezzo soul ‘Neither one of us’, come si fa a non emozionarsi con un brano così, con il lirismo di David che riempie di vibrazioni positive l’ambiente circostante, non sarà jazz, ma è sublime, Marcus Miller incalza al basso elettrico e le voci questa volta accompagnano il sassofonista e non viceversa. Nel 2010 in trio con Steve Gadd alla batteria e Joe Defrancesco all’organo ‘Hammond’ in ‘Blues in the night’, tratto dall’album ‘Only everthing’. Un blues lento dove la voce cristallina, il vibrato e l’andamento jazz lo potrebbero far piacere anche agli ascoltatori più riottosi verso lo stile del ‘Nostro’.
Un salto indietro al 1987 con ‘Chigago song’, dall’album ‘A change of hearth’, un brano di Marcus Miller, il grande suggeritore e compositore, alter ego del sassofonista. Il brano è serrato, R’ n’B’ di gran classe, con Marcus Miller alle tastiere e basso elettrico Steve Ferrone al basso elettrico, Steve Ferrone alla batteria e l’istrionico Hiram Bullock alla chitarra. Il tema semplice costruito su dei riff e poi l’assolo di Sanborn col suo solito fraseggio funky blues perfettamente a suo agio sul beat sottostante della band. Nel 1980 con ‘Carly’s song’ dall’album ‘Hideways’ un brano del sassofonista con il fido Marcus Miller che pizzica sulle corde del suo basso elettrico mentre il leader costruisce un’altra ‘ballad’ sulle sue corde immaginarie. Poi ancora tratto ancora da ‘Closer’ un’altra super ‘ballad’ ‘Sofia’ impreziosita dai ricami al vibrafono di Mike Manieri. In compagnia di Djavan nel suo album del 1987 ‘Meu lado’, David Sanborn dialoga con Djavan nel brano ‘Quase de manha’, due lirici a confronto. La passeggiata con David sta volgendo al termine, ‘Dukes & counts’ dall’album ‘Another hand’ del 1991 sempre con il fido Marcus Miller che ne è anche il compositore, con Jack De Johnette e Mulgrew Miller colorano di jazz il tramonto. Sta diventando sera e ‘Le canzoni della notte prima’ suggeriscono l’ultimo saluto al mio compagno di avventura ‘Missing you’, l’ultimo brano della passeggiata. Sulle note di questa struggente ‘ballad’, David con il suo sax alto, mentre improvvisa, mi guarda e sorride, con un piccolo cenno del capo mi saluta, si rigira lentamente e cammina verso un punto imprecisato. Ricambio il saluto con un sorriso, lo seguo con lo sguardo, lui di spalle continua a suonare ‘Missing you’, poi scompare all’orizzonte mentre il suono del suo sax rimane sospeso nell’aria. Il rosso acceso del tramonto rende meno doloroso l’addio.
Missing you dear David, nice to meet you. Goodbye. Quando se ne va un musicista a cui si è voluto bene per la sua musica è come se ne andasse un amico che si è conosciuto di persona.
David Williams Sanborn (Tampa, 30 luglio 1945 – Tarrytown, 12 maggio 2024)
