SOLID: LIFE AND DEATH OF A JAZZ GENIUS, SCOTT LAFARO BY VINCENZO STAIANO
Intervista di Debbie Burke a Vincenzo Staiano (
// a Cura di Guido Michelone //
Traduzione Italiana dell’intervista pubblicata dal blog “Debbie Burke – jazz author” negli USA.
Per visionare la versione originale in lingua inglese, cliccare sul seguente link:
È un ottimo momento per un libro su alcuni aspetti poco conosciuti della vita e dell’influenza del bassista Scott LaFaro nei suoi 25 anni di vita tragicamente brevi, perché mentre molti esponenti della vecchia guardia del jazz hanno avuto molto tempo per rilasciarci meravigliose interviste nel corso dei decenni su riviste, blog e libri, LaFaro ha pochissime informazioni non musicali da condividere con noi. “SOLID. Life and Death of a Jazz Genius, Scott LaFaro” nasce dall’ardente desiderio di saperne di più, di raccontare di più e di portare ciò che si può sapere su di lui direttamente nelle nostre vite. Questo libro è la ricerca amorevole personificata. In questo lavoro, l’autore si allontana da ciò che è comunemente noto, offrendo al lettore degli sguardi sulla vita del bassista, ad esempio attraverso la sorella Helene, che parla del suo amore per il flusso di coscienza e di come fosse un vorace lettore. Il libro include anche foto interessanti per contestualizzare il suo background familiare e i suoi antenati italiani: il luogo di nascita del nonno di LaFaro e i suoi stessi genitori, tra gli altri.
Il libro è più che altro una serie di saggi sulle diverse fasi della sua musica e sulle persone che ha incontrato e con cui ha suonato, saltellando di data in data e portando il lettore in diverse scene e luoghi del jazz, dandogli un’impronta d’improvvisazione e in linea con lo spirito di questa forma d’arte. Il libro mette insieme interviste, conversazioni, dati storici e uno sguardo approfondito sul bassista. Al momento della sua morte, LaFaro aveva già suonato con alcuni dei nomi più importanti del jazz americano di metà secolo, tra cui Chet Baker, il bandleader Stan Kenton, Paul Motian, Bill Evans e Ornette Coleman, di cui il libro sottolinea la particolare influenza. Non c’è dubbio che avrebbe continuato a creare un arazzo emozionante per contribuire al lessico del jazz. Staiano afferma che LaFaro ha raggiunto questo obiettivo in meno anni di molti altri, e molti storici del jazz sarebbero d’accordo con lui.
L’autore è direttore artistico del Festival Internazionale del Jazz Rumori Mediterranei (alias Roccella Jazz Festival) dal 2013 ed è scrittore e coautore di alcuni libri, soprattutto in italiano.
D. Che cosa l’ha attratta della musica di LaFaro, in primo luogo?
R. Devo confessare che sono stato attratto da altri aspetti oltre alla musica. Due su tutti: il suo essere italo-americano e la sua passione per la letteratura. I suoi nonni paterni erano originari della stessa zona d’Italia dove si svolge il Festival Internazionale del Jazz Rumori Mediterranei, di cui sono il direttore artistico. Nel 2011, Rumori Mediterranei ha organizzato un omaggio a LaFaro con un’esibizione dell’Eddie Gomez Quartet e un seminario sulla sua musica con interventi di alcuni studiosi. Una rivista italiana di jazz ha pubblicato un’edizione speciale dedicata a lui. Erano passati solo due anni dall’uscita della biografia di LaFaro da parte della sorella Helene LaFaro Fernandez con la quale ho iniziato una corrispondenza via e-mail. All’epoca, in Italia solo gli appassionati e i musicisti di jazz conoscevano Scott LaFaro. Utilizzando alcuni suggerimenti forniti dalla signora LaFaro, sono riuscita a localizzare il luogo di nascita del nonno di Scott. LaFaro e la letteratura è un altro aspetto importante che esploro e spiego nel mio libro. Ho trovato intrigante il suo interesse per lo scrittore irlandese James Joyce e la sua tecnica narrativa del “flusso di coscienza”.
D. Cosa lo ha reso unico come bassista, secondo lei?
R. Percy Heath, il contrabbassista del Modern Jazz Quartet, gli chiese perché non cambiasse strumento visto che, a suo parere, LaFaro lo suonava come una chitarra. Heath cercava di prenderlo in giro, ma la reazione di LaFaro fu decisa: gli piaceva suonare il contrabbasso! Credo che la sua unicità sia stata spiegata da Ernst Joachim Berendt: “Ascoltando LaFaro improvvisare con il Bill Evans Trio appare chiaro cosa è diventato il contrabbasso grazie a un secondo processo di cambiamento: una sorta di “chitarra flamenca” sovradimensionale a registro basso, il cui suono ha così tante possibilità diverse che solo poco tempo prima sarebbero state ritenute impossibili per il contrabbasso, ma che ancora (quando viene richiesto) svolge le funzioni tradizionali del contrabbasso“. A mio parere, come bassista è stato in grado di raggiungere un livello di espressione mai raggiunto prima, a parte Jimmy Blanton. Fu il primo a dare un ruolo rilevante al contrabbasso in un gruppo come fece nel leggendario trio di Bill Evans, dove prevaleva l’interplay.
d. Nel breve arco della sua vita, quali sono secondo lei i principali contributi di Scott LaFaro al mondo del jazz e cosa ammira di più nei suoi successi?
D. Aveva solo 25 anni quando è morto in un incidente stradale, ma il suo fuoco creativo è stato fondamentale per alcune delle registrazioni più importanti della storia del jazz. Prima di tutto, nei famosi album registrati dal Trio di Bill Evan al Village Vanguard di New York il 21 giugno 1961, e non possiamo dimenticare la sua presenza in “Free Jazz” e “Ornette”, due progetti di Ornette Coleman che sono pietre miliari nella storia della musica improvvisata.
D. Chi sono stati i musicisti che lo hanno influenzato di più?
R. Quando era uno studente, vide Leroy Vinnegar esibirsi in un locale e prese qualcosa da lui. Nello stesso periodo, soleva ascoltare dischi anche di altri contrabbassisti come Oscar Pettiford, Charles Mingus, Paul Chambers e Percy Heath. In seguito, Red Mitchell fu una sorta di mentore per lui, ma il contrabbassista che lo influenzò maggiormente fu Ray Brown, mentre, in generale, i suoi musicisti preferiti erano Miles Davis, Bill Evans, Sonny Rollins e Thelonious Monk.
D. Aveva qualche tecnica particolarmente originale nel suonare il basso o nell’interpretare la musica?
R. Nell’anno in cui frequentava l’università, studiava il contrabbasso seguendo un metodo di Franz Simandi. È normale per uno studente, ma lui era ossessionato dalla perfezione. Molti riferiscono che poteva passare 10 ore al giorno a esercitarsi e il clarinettista Buddy De Franco ha raccontato che LaFaro, per aumentare la sua velocità di esecuzione, applicò al contrabbasso un metodo per clarinetto di H. Klose. Il suo amico Charlie Haden ha rivelato che si esercitava sugli assoli di Sonny Rollins e che non amava usare il pickup sul suo strumento. Davvero insolito per un contrabbassista a quei tempi! Ha cambiato l’approccio nel suonare il contrabbasso ed è stato uno dei primi a usare due dita con la mano destra. Questa tecnica l’ha appresa da Red Mitchell. Nell’unica intervista rilasciata nella sua breve vita, disse di non considerarsi solo un musicista di jazz, perché gli piacevano anche la musica classica e quella contemporanea. Infatti, fu coinvolto in alcuni progetti associati al cosiddetto Third Stream, il genere creato da John Lewis e Gunther Schuller.
D. In che cosa è consistita la sua ricerca e qual è stata la sorpresa più grande che ha scoperto su di lui che non conosceva?
R. In Italia, la mia ricerca è consistita nel tentativo di trovare qualche prova delle sue origini paterne. Un dettaglio interessante era la passione del nonno paterno di Scott per l’opera e il bel canto, trasmessa a Joe LaFaro, il padre di Scott, anch’egli grande musicista. Il nonno di Scott, Rocco Lofaro (il suo vero cognome), in Italia era legato a una big band locale nella cittadina calabrese di Siderno, dove visse per un certo periodo di tempo prima di emigrare negli Stati Uniti. Il resto della ricerca sulla vita e sulla musica di Scott è stato fatto su Internet. L’aspetto affascinante che ho scoperto su di lui riguarda la sua collaborazione con Ornette Coleman. Insieme ad altri, Coleman ha rotto le regole del jazz creando la cosiddetta “New Thing”. Scotty fu parte integrante di questa rivoluzione, non solo dell’esperienza culturale e musicale del trio di Bill Evans.
D. Quanto tempo è passato dalla prima idea alla pubblicazione?
R.Il mio interesse si è acceso più di dieci anni fa, grazie all’omaggio che abbiamo organizzato al Festival del Jazz Rumori Mediterranei, quando abbiamo saputo delle sue origini calabresi dal libro della sorella.
D. Qual è stata la parte più divertente del processo di scrittura del libro e quale quella più impegnativa?
R.Scrivere questo libro mi ha permesso di essere concentrato su qualcosa durante il periodo di isolamento del COVID-19. Mi ha tenuto occupato in quegli anni di reclusione. La parte più impegnativa del processo è stata la ricerca dei documenti relativi al rapporto tra James Joyce e la musica di Scott LaFaro. È stato un compito molto difficile, perché l’interesse di LaFaro per Joyce fu solo accennato dalla sorella nella sua biografia. È ancora una vasta prateria per i ricercatori ed è l’aspetto più importante del mio libro.
D. Ha pubblicato questo libro per il mercato italiano e per quello statunitense. Che tipo di feedback ha ricevuto dai lettori?
R. In Italia ha avuto successo, soprattutto tra i musicisti, ma anche tra i lettori in generale, non solo tra gli amanti del jazz. Ha ricevuto un’ottima recensione da “Il Corriere della Sera”, il più importante quotidiano italiano. È stato presentato nelle università da Reggio Calabria a Milano. “La Repubblica”, un altro importantissimo quotidiano italiano, lo ha inserito in un concorso letterario. Negli Stati Uniti il libro è stato appena pubblicato e accolto con grande entusiasmo.
D.Qual è la cosa più importante che una persona che non conosce la sua musica deve sapere su LaFaro?
R. LaFaro ha sempre cercato di essere il migliore ed era ossessionato dalla perfezione, seguendo il consiglio del padre di fare sempre le cose molto bene. Era un giovane intelligente, istruito e bello. Si dice che avrebbe potuto avere una carriera nel cinema, ma amava la musica e dava un certo “non so che”, la passione della sua giovinezza e un nuovo approccio a ogni progetto e gruppo in cui era coinvolto. Per questo un gigante del jazz come Miles Davis lo avrebbe voluto nella sua formazione. Senza di lui, scriveva Davis, il suo quintetto non era solido. Da qui il titolo del mio libro, “Solid. Life and Death of a Jazz Genius“. Anche se era molto giovane, ebbe un ruolo di primo piano nella scena jazz di Los Angeles e New York alla fine degli anni Cinquanta e suonò con i più importanti jazzisti di quel periodo.
D. Altri commenti su LaFaro o sulla stesura di questo libro?
R. LaFaro non ha ricevuto i riconoscimenti che merita. Era un genio e scrivere questo libro è stato un tentativo di dare un’idea dei grandi contributi che ha dato alla musica in generale, non solo al jazz.
Per ulteriori informazioni, visitare il sito www.amazon.com/SOLID-Death-Genius-SCOTT-LAFARO/dp/1470932660.
Foto per gentile concessione dell’autore.
© 2023 Debbie Burke
Debbie Burke è autrice di narrativa e saggistica, appassionata blogger di jazz e musicista di sassofono contralto. È autrice di Death by Saxophone, Tasty Jazz Jams for Our Times (Vol. 1 e Vol. 2), Klezmer for the Joyful Soul, Icarus Flies Home, Glissando – A Story of Love, Lust and Jazz, The Poconos in B Flat, Music in the Scriptures e The Author’s Little Red Guide to Editing. Nata a Brooklyn, Burke ha vissuto in sei diversi Stati della parte orientale degli Stati Uniti, ma soprattutto ama stare vicino all’oceano. Quando non scrive, impara nuovi motivi al sax.