Dexter Gordon, l’uomo che visse tre volte

«Probabilmente devo la mia vita al fatto che ho avuto alcune vacanze forzate» (Dexter Gordon)
// di Francesco Cataldo Verrina //
Il sassofono è stato uno strumento ritardatario sulla tabella di marcia, cominciando a recuperare il tempo perduto durante la stagione delle big band swing, ma è con il bop, che il sax diviene lo strumento più comune e più importante all’interno del movimento d’avanguardia. Basti pensare ad artisti come Coleman Hawkins, Lester Young, Charlie Parker, Sonny Rollins, John Coltrane e Ornette Coleman, per capire quanto siano stati significativi i contributi dei sassofonisti all’evoluzione del jazz moderno.
Le direzioni indicate da questi musicisti costituiscono delle pietre miliari, attraverso le quali si può tracciare il percorso ideale o principale del jazz. L’influenza che essi hanno avuto si estende ben oltre i confini del proprio strumento; ma mentre questi strumentisti furono figure chiave e determinanti nello sviluppo complessivo soprattutto del bebop, ebbero un sostegno determinante da parte di colleghi, sovente solo meno fortunati, i cui contributi sono stati, spesso e indebitamente, considerati irrisori o ridotti ad un ruolo marginale; uomini la cui influenza silenziosa è passata in gran parte inosservata al pubblico. Uno di questi è Dexter Gordon, musicista di talento e dal forte temperamento, abbastanza apprezzato, ma meno di quanto avrebbe meritato. La sua carriera fu lunga, ma frammentaria, anche a causa delle fughe all’estero, alternate ad alcuni trionfali ritorni in patria. Non è un mistero che Gordon abbia influenzato, almeno inizialmente, sia Sonny Rollins che John Coltrane.
Dexter potrebbe essere considerato come un marcatore naturale della linea tracciata da Coleman Hawkins, di cui possedeva la potenza e l’energia del suono, ma anche l’eleganza di Lester Young; soprattutto nelle ballate Dexter Gordon sapeva tirare fuori dallo strumento una sonorità levigata ed avvolgente, ma con un fraseggio ricco e deciso, da far invidia ai suoi illustri predecessori. In verità, a parte le influenze iniziali, Gordon raggiunse presto un differente assetto: il ciclo strofico, la quadratura ritmica e l’ancoraggio tonale lo ponevano in una condizione di modernità assoluta. Fatta questa premessa, aggiungiamo un altro punto di passaggio alla linea di demarcazione principale del sassofono nel jazz moderno: Coleman Hawkins, Lester Young, Charlie Parker, Dexter Gordon, Sonny Rollins, John Coltrane ed Ornette Coleman.
Dexter Gordon è stato una sorta di predestinato per chi crede alle coincidenze. L’anno in cui veniva al mondo è legato ad alcuni avvenimenti che avranno un impatto reale sulla storia del jazz mondiale. Gordon nacque il 27 febbraio 1923. Fu proprio nel 1923 che alcune figure fondamentali del jazz come King Oliver, Bessie Smith, Louis Armstrong e Jelly Roll Morton iniziarono ad influenzare profondamente lo sviluppo della musica americana e migliaia di artisti coevi e futuri. Fu anche nel 1923 che un giovane Coleman Hawkins lasciò la Jazz Hounds di Mamie Smith, trasferendosi a New York, per registrare con l’orchestra di Fletcher Henderson. Durante la collaborazione con Henderson, Hawkins iniziò a sviluppare uno stile innovativo, che libererà il sassofono dal suo status di strumento accessorio, facendone una delle voci più articolate del jazz moderno. In concomitanza con la nascita di Dexter e la fioritura di Hawkins, un evento che avrebbe avuto un impatto significativo su entrambi, si andava consumando a Minneapolis: la decisione del quattordicenne Lester Young di passare dalla batteria al sassofono. Nella seconda metà degli anni Trenta, dopo l’affermazione di Hawkins come re assoluto del sax tenore, Lester Young si mise in evidenza nella big band di Count Basie con un tono rilassato ed uno stile laconico, creando una nuova scuola di pensiero intorno all’uso del sassofono. La storia dimostrò che i due metodi potevano coesistere, mentre Dexter Gordon fece vedere al mondo di essere in grado, addirittura, di amalgamarli.
Nel 1936, mentre Coleman Hawkins furoreggiava in Europa e Lester Young si preparava a saltare nell’arena attraverso le prime registrazioni con Count Basie, il Dr. Frank Gordon (un medico tra i cui pazienti c’erano Lionel Hampton e Duke Ellington) regalò al figlio tredicenne, Dexter, un clarinetto. Il padre morì poco dopo, ma la madre seguitò a favorire gli studi musicali del figlio e, nel 1940, gli comprò un sax tenore, strumento che il giovane Dexter imparò a suonare rapidamente: «Raccoglievo molti documenti a questo proposito.» – ciò che raccontò Gordon in un’intervista alla Statsradiofonien / Denmarks Radio – «ed ero particolarmente interessato alla band di Basie, ma ascoltavo anche tutte quelle trasmissioni dal vivo, trasmesse in diretta dai vari hotel, soprattutto sapevo che New York era il posto a cui appartenevo».
Qualche anno più tardi, la Cinquantaduesima Strada di New York divenne il terreno su cui i novelli profeti del bebop come Miles Davis, Bud Powell, Charlie Parker, Max Roach e Dizzy Gillespie si misuravano: fu lì che Dexter iniziò per la prima volta a partecipare ad alcune sessioni informali. Le etichette Savoy e Dial pubblicarono oltre 30 titoli di Dexter Gordon tra il 1945 e il 1948, il quale aveva partecipato a molte altre sedute come sideman. La sua carriera era in forte ascesa già durante la seconda metà degli anni Quaranta, ma la vita sulla «Street» (come veniva chiamata la cinquantaduesima strada), simultaneamente, pretendeva il suo pedaggio; l’uso di droghe era comune tra gli esponenti del nuovo jazz, tanto che come molti suoi colleghi, Dexter divenne un eroinomane. Durante gli anni ’50, la carriera e la vita personale ne furono fortemente condizionate, al punto che nella prima metà del decennio passò parecchio tempo in gattabuia per consumo di stupefacenti. Le cose ricominciarono a girare nel 1960, ma mentre Lester Young era morto l’anno prima, due nuovi fenomeni del sassofono stavano salendo rapidamente alla ribalta, Sonny Rollins e John Coltrane, annebbiando la fama di molti altri colleghi più anziani, pur avendone subito l’influenza. Nel 1962, Dexter accettò il suo primo ingaggio europeo al club di Ronnie Scott di Londra. Decidendo di stabilirsi nel continente, pensò inizialmente di fare di Parigi la sua dimora, ma presto si trasferì a Copenaghen, che divenne la base operativa per quasi 14 anni.
L’AMORE PATERNO FECE IL MIRACOLO (Dexter Gordon – «Daddy Plays The Horn», 1955).
Nessuno si aspettava che quel giorno Dexter Gordon potesse essere lì a suonare in maniera così convincente. Non lo si sentiva o si vedeva più in giro da tempo. Qualcuno addirittura pensava che fosse morto o scomparso, poiché nei guai fino al collo ed afflitto da una grave tossicodipendenza. Il sassofonista varcò l’uscio dello studio con passo lento ed affaticato, mentre la sua imponente figura, era alto più di un metro e novanta, si stagliava nella penombra. Il suo biglietto di presentazione ai sodali, che lo attendevano, fu un sorriso rassicurante, quasi a voler dire: «ragazzi, non temete, ce la faccio!». Al di là di ogni surrettizia descrizione cinematografica, un’energia divina, magica o sovrannaturale sostenne i propositi e gli intenti del sassofonista. Contro ogni previsione, in questo album, Gordon mostrò una vitalità sorprendente. Si potrebbe parlare di forza della disperazione, ma il risultato ottenuto in un set quasi improvvisato fu realmente superlativo, sostanziandosi come un tassello importante all’interno della sua lunga e frastagliata discografia, grazie al supporto di sodali di ottimo livello: il pianista Kenny Drew, Leroy Vinnegar al basso e Larry Marable alla batteria.
«Daddy Plays The Horn» rappresenta un documento cruciale per comprendere alcuni risvolti della carriera e della caotica esistenza di Dexter Gordon, caratterizzandosi come un frammento vitale della storia del jazz moderno. Originariamente pubblicato nel 1955 dalla Bethlehem Records e di recente immesso sul mercato come parte di una campagna di lancio per celebrare la storica etichetta, per molti potrebbe essere davvero un disco inaspettato, che riemerge dal passato con tutta la sua carica dirompente.
La band corre spedita attraverso sei melodie dalla solida struttura, ma non dimentica mai che il focus doveva essere centrato sul sassofonista, al fine di ristabilire l’importanza del suo nome. Kenny Drew agisce da collante per tutto lo spazio dell’album a partire dalla title-track della durata di oltre 9 minuti; in particolare diventa il fattore aggregante nella rivisitazione del pezzo di Charlie Parker, «Confirmation», dove nonostante il timbro e la sonorità estremamente rilassata prodotta dal sax tenore di Gordon, il pianista fa un lavoro di potenziamento, manovrando a suo piacimento la sezione ritmica. Le due ballate presenti su «Daddy Plays The Horn» scavano in profondità con forte liricità, attraverso espressioni semplici e sensuali. In «Darn That Dream» Gordon porta la musica ad un’elevata temperatura emotiva, mentre Drew fornisce un accompagnamento perfetto, guidando la sezione in scioltezza con il suadente ricamo ritmico di basso e batteria. Con «Number Four», composta da Gordon, il line-up si libera trovando uno dei migliori punti confluenza corale.
Le ballate furono il punto cardine di questa sezione e l’ostacolo inizialmente più difficile da superare per un Gordon in preda ai fumi della droga, ma in «Autumn In New York» il sassofonista esegue la partitura in maniera esemplare e senza difficoltà alcuna, come sospinto da una forza divina. L’ultima traccia, «You Can Depend On Me», chiude le danze in bellezza: ognuno dei sodali conquista il proprio spazio e ne approfitta per mettersi in mostra con disinvoltura, ma con autentico spirito collegiale. Il titolo potrebbe sembrare un po’ banale e la copertina vagamente infantile, magari, rispetto a dischi come «A Swingin’ Affair»; di sicuro, in quel contesto, «Daddy Plays The Horn» rappresentò molto più di una semplice affermazione, ma una vera dichiarazione d’intenti e di benvenuto per un Dexter Gordon che nel 1955 stava tentando di «resuscitare», avendo trascorso parte degli anni precedenti a combattere contro i demoni della tossicodipendenza. «Daddy Plays the Horn» costituisce, dunque, un documento storico ed un momento importante per la sua carriera.
