«WAVIN’ TIME» DEL MARIO ROSINI DUNI JAZZ CHOIR, UN’AVVENTURA SONORA RACCONTATA AD ALTA VOCE. (ABEAT RECORDS 2022)
// di Francesco Cataldo Verrina //
Marco Rosini è una personalità musicale fuori dalle normative vigenti e la sua forza risiede proprio in questo innato eclettismo creativo. Rosini è anche jazz, ma non solo jazz. Una premessa necessaria per inquadrare bene e senza sfocature un progetto come «Wavin’ Time» del Mario Rosini Duni Jazz Choir, pubblicato dall’etichetta Abeat. Il curriculum artistico di Rosini la dice lunga sulla sua molteplicità espressiva e compositiva: vanta perfino un secondo posto al Festival di Sanremo nel 2004.
L’amico Pino Daniele fu il produttore di un suo disco, «Mediterraneo Centrale». Nel corso degli anni, Rosini ha collaborato, tra gli altri, con Rossana Casale, i Passengers, Mick Goodrick, Irene Grandi, Alex Britti, Anna Oxa, Grazia Di Michele, Mia Martini, Edoardo De Crescenzo, Gino Vannelli, i Dirotta su Cuba, i Neri Per Caso, Tosca, James Senese, Sarah Jane Morris. Ha scritto per Edoardo De Crescenzo e Iva Zanicchi. Supporter di Michael Bublè, Al Jarreau e Dionne Warwick, in concerto con Bobby McFerrin, nel 2010 ha preso parte al Gino Vannelli European Tour, nel 2015 a fianco della compagnia teatrale Danza e Musica americana di Alessandra Corona come pianista e cantante nel progetto «Dulcinea in Manhattan» e nel 2016 con l’Ensemble Band e Dee Dee Bridgwater. La lista sarebbe ancora lunga, ma sottolineiamo soprattutto la sua attività di docente al Conservatorio Duni di Matera.
Il progetto Duni Jazz Choir, nato come excursus musicale che racchiude oltre trent’anni della carriera del pianista pugliese, finalmente, si sostanzia attraverso un originalissimo lavoro discografico con il sostegno di un ensemble corale formato da otto voci, una sezione ritmica ed una sezione fiati. L’album di debutto della corale da lui diretta abbraccia svariati moduli esecutivi a metà strada tra i Manhattan Transfer, i Matt Bianco e I Neri per Caso. «Wavin’ Time» rappresenta la doppia anima del pianista-compositore, divisa tra jazz cantato a presa rapida e pop-song di alta classe. Il tracciato sonoro del Mario Rosini Duni Jazz Choir si muove sul piano inclinato di un sound immediato e coinvolgente che scivola via senza attrito tra swing, vocalese, funk, hip-hop, jazz, soul e world-music. Un disco di pregevole fattura basato su ariosi ed imponenti arrangiamenti orchestrali e locupletato dalla partecipazione di importanti solisti come Fabrizio Bosso, Tom Ozzy, Simona Bencini e altri.
L’ascolto dell’album non da tregua all’ascoltatore risucchiandolo in flusso benefico di voci, ritmi, suoni e colori, ben assemblati all’interno di undici brani, equamente divisi tra originali e standard. Nonostante il materiale trattato evidenzi delle differenze strutturali di tipo ritmico-armonico, gli arrangiamenti e la resa finale del concept danno l’idea di un perfetto amalgama, quasi come un caleidoscopio di cromatismi e nuances che alla fine si ricompattano sotto un comune denominatore: l’armonioso incanto delle voci e la corrispondenza della sezione fiati e della retroguardia ritmica. L’opener «A new Sunrise», a firma Rosini» ha un movimento corale ondeggiante e flessuoso, ricco di armonie vocali, tanto che sarebbe stato perfetto per musical in un teatro di Broadway. «Black Or White di Michael Jackson viene trapiantato in un substrato ritmico dai tratti somatici caraibici con intrecci vocali a sprazzi e fiati a strappo che ricordano i migliori Earth, Wind & Fire, ospiti, però, a casa dei Matt Bianco. La ripresa di «Giant Steps» di John Coltrane diventa un’idea affascinante di per sé. L’apoteosi del modale riportata in un contesto corale, in netto contrasto con l’uso del sax tenore ortodossamente jazz.
«E la chiamano estate», di Bruno Martino, il re del night, acquisisce le sembianze di una ballata soulful da fare invidia al miglior Michael Bublè, mentre il classico di Gino Paoli, scritto da Morricone, diventa «I Cieli in una stanza», soprattutto viene velocizzato e stravolto da un arrangiamento swing-latino con ritmiche a tamburo battente, intrecci vocali modello new-cool inglese anni ’80 ed un uso dei fiati vagamente acid-jazz che ricorda gli Incognito. «Four Brothers» di Jimmy Giuffre è un serrato boogie-swing, mentre il contributo cantato ricorda le voci dell’EIAR (Radio RAI anni ’30) ed anche un po’ il Quartetto Cetra. «Ti Sento Così (per Sofia)», a firma Rosini, è una ballata sentimentale dalle trame brunite e crepuscolari, dove il movimento pianistico del tema iniziale ricorda «Waltz For Debbie» di Bill Evans. La title-track, tirata fuori dal magico cilindro di Rosini, è una danza propiziatoria ed apotropaica supportata da una ritmica che oscilla tra Spagna e Mediterraneo, tra Italia ed Oriente.
L’omaggio alla celeberrima «Quando, Quando, Quando» gioca sempre sull’arte di scompigliare le carte in tavola: siamo di fronte ad una corsa ad ostacoli tra Shakatak ed Incognito, tra soul-jazz latino ed acid-jazz romantico. L’omaggio a Stevie Wonder con «Dont You Worry ‘bout Thing», ci rimanda subito ad un’immagine multipla: Matt Bianco nelle ritmiche, falsetti ed armonie vocali alla Manahattan Transfer e fiati alla Earth, Wind & Fire con gli Incognito sullo sfondo. Sul finale un altro tributo a Stevie The Wonder Man con «Love Collision (Love Is Need Of Love Today», contenuto nel celebre doppio album «Songs In The Key Of Life» del 1976, ma più vicino al contesto sonoro dello Stevie Wonder di «Jungle Fever» (colonna sonora del film di Spike Lee del 1991), tra rap-jazz e funk-bebop. A conti fatti, «Wavin’ Time» del Mario Rosini Duni Jazz Choir non è proprio il disco jazz come viene comunemente inteso dagli integralisti del genere, ma è jazz nel mood e nella forma espressiva, forse un po’ meno nella sostanza.