FRANCESCO NEGRO TRIO CON «SOSPESE VISIONI», UN CRESCENDO DI VIBRAZIONI SONORE CHE COLPISCONO COME FLUTTI DI MARE IN TEMPESTA

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// di Francesco Cataldo Verrina //

Nella storia del jazz moderno, il piano trio è stata ed è una formula molto usata, talvolta abusata, anche perché favorita da una certa compliance con la «facilità» d’impiego. Il pianoforte che esce dal suo doppio ruolo di strumento armonico e melodico, spesso «costretto» al servizio di una prima linea rappresentata dagli strumenti a fiato, per diventare padrone assoluto della scena. Per contro, non è facile reggere il gioco a lungo e mantenere l’uditorio allo stato di veglia se da quel piano non escono idee a getto continuo e se in quelle mani non c’è l’abilità di conciliare intimismo e senso del ritmo, inconscio cameristico classicheggiante e predisposizione ai cambi di passo, ad un interplay vivace e ad una proficua circolarità improvvisativa. Nell’album «Sospese Visioni» del Francesco Negro Trio, c’è tutto questo e molto di più. I modelli ispirativi potrebbero essere molteplici, echi di Tristano, Powell e Monk, ma anche di Abdullah Ibrahim, Bill Evans e Keith Jarrett, ma l’abilità degli «attanti» sulla scena, evita accuratamente il citazionismo calligrafo ed il ricalco affabulatorio: non c’è compromesso, ma solo creatività sorgiva e non convenzionale.

Originario di Maglie, Francesco Negro, formatosi sul doppio binario della musica classica e del jazz, giunge così al suo sesto album, il terzo in trio con il contrabbassista Igor Legari e il batterista Ermanno Baron con cui stabilisce un sinergico affiatamento, a volte quasi telepatico. A detta dell’interessato, «Sospese Visioni» è un lavoro «che chiude un percorso stilistico, iniziato con «Silentium» (2011) e proseguito con «Aspettando il tempo» (2015). Ed è proprio il tempo, e con esso la ricerca del suono e del silenzio, il filo conduttore di questa trilogia». Tutte le composizioni sono originali e legate ai vari componenti del trio, tranne l’ultima traccia che rappresenta una specie di omaggio a Carla Bley, di cui un giovanissimo Francesco Negro subì il fascino in una lontana edizione di Umbria Jazz.

Scorrendo l’album ci si accorge che il costrutto sonoro, pur non immediato per un neofita, possiede un gancio fortemente attrattivo, capace di intrappolare l’ascoltatore in una spirale di emozioni contrastanti che compensano la voluta mancanza di melodie fischiettabili ed a facile presa, fatte solo per piacere, ma non per pensare. Il titolo «Sospese Visioni» parla chiaro, bisogna alleggerirsi, abbandonarsi, levitare e quindi affidarsi ad una sorta di sospensione del tempo e dello spazio fisico. «Rifugio Nel Tempo» è un crescendo zampillante, una progressione continua giocata in massima parte sul registro basso e sui mezzi toni, a cui la retroguardia ritmica fa da perfetta cornice, mentre il pianoforte del band-leader libera un costrutto sonoro avvolgente. La title-track, «Sospese Visioni» si materializza come una ballata sotterranea introdotta da un piano meditabondo che emerge lentamente in superficie, disegnando un flessuoso ghirigoro di vibrazioni positive, quasi terapeutiche, incorniciate dallo spazzolato incedere della sezione ritmica.

«Lungo il Sentiero dell’Est» è un’iperbole sonora con qualche sentore balcanico, dove il piano si abbandona ad un movimento fatto di frasi brevi, quasi ostinate, incalzato dai mutevoli umori di basso e batteria. In «Frammento IV», il pianoforte, introdotto da una ritmica volutamente roteante, glissa in un crescendo di onde magnetiche che sembrano colpire il fruitore come i flutti di un mare in tempesta. Il modulo espressivo, apparentemente dissonante non perde mai la quadratura ed il centro tonale. «Il Sognatore» consente al trio di adagiarsi su un percorso ipnotico e curvilineo, sospeso e magnificato da un intro di basso ad arco, mentre il pianoforte prende le misure di un tragitto onirico ed immaginifico. «Frammento V» è come un filamento di DNA che si ricongiunge al frammento precedente, muovendosi ai margini di un costrutto melodico-armonico sotterraneo, fino ad ergersi lentamente attraverso una modalità quasi orientale.

«Risonanze» è l’altra faccia della luna. Dunque se la risonanza è il contrario di dissonanza, o ne è almeno l’antitesi, qui l’impianto strutturale del componimento trova il suo nirvana in una esplicitazione melodica più leggibile ed immediata, mentre i tre sodali sembrano come sollevati da un gravoso incarico. «Ida Lupino», come già spiegato, è un tributo al genio di Carla Bley, rivisitata facendo leva un modulo espressivo dai contorni levigati e pregni di lirismo, servita con una narrazione foriera di note delicate e spazzolata da una retroguardia ritmica particolarmente ispirata. Il pianoforte è ancora il deus ex machina e, mentre il viaggio si conclude, il fruitore appare come soggiogato dal flusso sonoro. Il trasferimento della sensazione è perfettamente riuscito. Pubblicato dall’etichetta salentina Dodicilune, «Sospese Visioni» costituisce un altro tassello importante che si aggiunge alla carriera di Francesco Negro e dei suoi impeccabili sodali.

Francesco Negro Trio

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