BRANFORD MARSALIS QUARTET: ALL’OMBRA DELL’ANIMA, IN ALTALENA TRA AVANGUARDIA E TRADIZIONE

Branford Marsalis Quartet “The Secret Between The Shadow And The Soul” (OKeh Records 2018)
// di Mauro Zappaterra //
Quale che sia il “segreto tra l’ombra e l’anima” citato nel titolo del disco, certamente ha le sue radici nelle alchimie del quartetto, quello storico, ventennale, con il quale Branford Marsalis ritorna nel 2019 in sala d’incisione con i suoi fidati sodali. Il musicista di New Orleans, assieme a tutta la band, confeziona un lavoro eccellente sotto tutti i punti di vista, compositivo e strumentale. Il fatto che Marsalis, Revis e Calderazzo “facciano gruppo” da diversi lustri si avverte in ogni fase dell’album, e l’innesto più recente di Faulkner non sposta, anzi, espande ulteriormente l’interplay della band, mettendo ciascuno, nel suo ruolo, al servizio degli altri. L’impegno comune profuso dal gruppo è in questo progetto basilare per lo sviluppo del loro modello musicale, fatto di ricerca ed ampliamento della propria identità collettiva. Lo stesso Marsalis parlando a tale riguardo diceva: “Mi piace ancora l’idea che tutti portino ciò che vogliono portare quando è il momento di registrare e vedere cosa possiamo sviluppare”
Branford Marsalis è il fratello maggiore della folta schiera di musicisti della famiglia, ha nel post bop le radici del proprio stile, ma la sua inventiva lo porta ad essere un musicista multiforme, soprattutto nella fase improvvisativa. L’esordio è nel 1980 a vent’anni, niente meno che nei mitici Messangers di Art Blakey, che poi abbandona per suonare brevemente con il trombettista Clark Terry, e rientra cambiando strumento e passando al sax alto. Successivamente fa parte del gruppo del fratello trombettista Wynton per tre anni. Nel 1984 la svolta, quando il demiurgo Miles Davis lo ingaggia nella band per la realizzazione di Decoy: l’impatto di Miles sul suo modo non solo di suonare ma soprattutto di essere un musicista è riassunto dallo stesso Marsalis in queste poche parole: “Sono noto per non esercitarmi, quindi il mio modo di suonare è stato davvero incostante. Ma la presenza di Miles Davis mi ha reso così concentrato, in un modo che non avevo mai sperimentato prima.”
L’anno successivo è già una star, ed assieme ad un super gruppo di musicisti quali Darryl Jones (anch’egli nella Davis Band di Decoy), Kenny Kirkland ed Omar Hakim, fa parte del gruppo con il quale Sting realizza il primo lavoro da solista dopo lo scioglimento dei Police. Terminata questa esperienza, Marsalis si rimette a capo del suo quartetto composto da valorosi musicisti incidendo ottimi dischi. Negli anni successivi, affianca alla carriera da musicista altre esperienze, nel cinema come attore, e in TV come direttore musicale di show televisivi. Negli anni 2000 continua a produrre lavori di diversa estrazione, ed il quartetto jazz sforna album come “Metamorphosen” e “Four MFS Playin’ Tunes”, primo disco con Faulkner alla batteria (mentre esce dal gruppo Jeff Watts).
Arriviamo così al 2018, con questo disco che contiene 5 tracce del gruppo, più una di Andrew Hill ed una di Keith Jarrett. Il risultato è un lavoro molto eterogeneo, poliforme, dove alle composizioni più libere, dinamiche ed avanguardistiche di Revis, si contrappone il lirismo melodico più tradizionale di Calderazzo, mentre il band leader firma solo una traccia. In apertura, “Dance Of The Evil Toys” (Ravis), dove dopo una intro marcata dalla ritmica, è Marsalis con il tenore ad irrompere sulla scena, pervadendo l’aria con solo a “volo libero” che costituisce il vertice improvvisativo del disco, sorretto dalla spinta forsennata di Ravis e Faulkner, mentre Calderazzo partecipa alla tempesta sonora da par suo, riversando raffiche di note, fino alla chiusa dirompente a corpo unico di tutta la band. La poliformia del disco diventa subito evidente con “Conversation Among The Ruins” (Calderazzo), che è la quiete dopo la tempesta, la rupe dove l’anima si rifugia dopo il furioso tormento precedente; uno splendido ricamo a due tra il piano di Calderazzo, onirico e riflessivo, ed il soprano di Marsalis, che si incunea perfettamente tra le trame melodiche del brano, mentre basso e batteria contribuiscono a far scorrere le note dei solisti con la raffinata delicatezza che ci si aspetta su componimento del genere.
L’altalena continua nel suo moto alternato con un jazz waltz di Andrew Hill, “Snake Hip Waltz”, un pezzo tradizionale nella metrica, ma moderno e libero nell’espressione esecutiva del gruppo, con soprano e piano a trazione integrale e sezione ritmica in gran spolvero, con un bel solo anche per Revis. Nuovo cambio di paradigma con “Cianna” (Calderazzo), che ci porta in calde atmosfere caraibiche, con una ballad che ti aspetteresti di ascoltare in un fumoso e colorato locale da ballo dell’Havana, un motivo dominato dai solo del tenore di Marsalis e del pianoforte di Calderazzo, un componimento che conferma la struttura multipla dell’album. “Nilaste” (Revis) è un brano complesso ed articolato, quasi “estraniante” nella prima parte, ma quando il piano, con accordi dilatati, introduce il solo del soprano, si capisce subito che il gioco si fa duro, Marsalis riprende a volare libero, ma senza allontanarsi mai troppo da quello che è il tema del pezzo; si tira il fiato a metà corsa, ma la sostanza non cambia, tocca ora al piano spalmare note rapide senza soluzione di continuità, mentre è da segnalare la notevole performance di Faulkner.
Vacue e notturne atmosfere scandite dalle note del tenore danno il via all’unica composizione di Marsalis, sullo sfondo un accenno di percussioni introduce “Life Filtering From The Water Flowers”, Calderazzo ricama bellissime trame in un solo accompagnato dalla batteria; come di consueto il testimone passa poi a Marsalis, un fiume in piena che trabocca note da una cornucopia ricca di essenze, a coronamento di un racconto musicale di notevole spessore. La chiusura del disco è per la splendida “The Windup” di Keith Jarrett, che riassume in una magistrale esecuzione, potente e coesa, di tutto il gruppo, il concetto di interplay che la band pone al vertice del proprio stile e del comune modus operandi, un’esecuzione talmente bilanciata negli equilibri tra i componenti da farti mettere in flat gli indicatori di performance.
Branford Marsalis soprano e tenore / Joey Calderazzo piano / Eric Revis basso / Justin Faulkner batteria.
