Le due facce della stessa medaglia: Jackie McLean con «A Fickle Sonance», 1962

«Quando mi si chiede chi sia il vero Jackie McLean, devo dire che sono un sassofonista costantemente in difficoltà, un musicista che continua a lottare per suonare lo strumento al livello più alto: Penso che questo sia il mio destino».
// di Francesco Cataldo Verrina //
Dagli inizi degli anni ’60, con l’avvento dell’ornettismo diffuso, la critica cominciò a tenere sotto controllo, particolarmente, quei fenomeni che si muovevano sul terreno dell’innovazione e della sperimentazione. In quel contesto evolutivo «A Fickle Sonance» dovette sembrare qualcosa di troppo «vecchio», anche se il sassofonista era sempre avanti, almeno un minuto prima, rispetto a tanti suoi più blasonati colleghi. McLean non fu un innovatore troppo spinto, ma ha avuto il merito di aver creato un suono caratteristico, ripreso da molti fautori del free-jazz, poiché dotato di un’aggressività aspra e tagliente che che tratteggiava i contorni uno stile unico, il quale estendeva – come già accennato – l’eredità di Parker alle nuove istanze propugnate da Ornette Coleman; anche se Jackie McLean non sconfinò mai nel territorio del free jazz tout court: le cosiddette escursioni free-form, iniziate nel 1962, come «Let Freedom Ring», «One Step Beyond» e «Destination… Out!» erano sintomatiche del fatto che il contraltista volesse mutare aspetto attraverso un’estetica sonora più consona ai tempi, ma mai estrema ed eccessivamente dissonante.
In fondo McLean, che era di per sé un mutatis mutandis, non rinunciò mai completamente alla causa dell’hard bop o del post-bop convenzionale. Questo suo atteggiamento costituì sia una polizza assicurativa nei confronti del pubblico di sostenitori che comprava i suoi dischi, sia un deterrente alla sua multivalenza creativa, che spesso lo spingeva ad osare; inoltre gli consentì di suonare ed incidere per lungo tempo, si pensi al proficuo periodo con la SteepleChase, dove in parte riprese alcuni assunti basilari del periodo aureo in Blue Note, elaborandoli, all’ombra della maturità, con maggiore finezza e consapevolezza. Le sue parole sono alquanto eloquenti: «Quando mi si chiede chi sia il vero Jackie McLean, devo dire che sono un sassofonista costantemente in difficoltà, un musicista che continua a lottare per suonare lo strumento al livello più alto: Penso che questo sia il mio destino».
«A Fickle Sonance» ha già nel titolo, ossia «sonorità mutevole e capricciosa», tutti i prodromi di un cambiamento in atto: ad esempio, la presenza di Billy Higgins alla batteria, il quale aveva suonato già nei dischi di Ornette, esprime una sorta di desiderio da parte di McLean di voler cambiare qualcosa alla quadratura ritmica del suo sound. L’album fu registrato il 26 ottobre 1961 con il sax alto di Jackie McLean, la tromba del sottovalutato Tommy Turrentine ed una superba sezione ritmica con Sonny Clark al piano, Butch Warren al basso ed il già menzionato Billy Higgins alla batteria. Il set produsse un must per gli appassionati dell’hard bop spinto ed energico, ma anche qualcosa in più. Oggi a distanza di sessant’anni il disco mostra una notevole vitalità ed un’indiscutibile modernità, pur muovendosi nell’ambito di un circuito swinging blues oriented. Siamo però in una fase già post-bop, quanto meno di un bop leggermente divincolato da taluni canoni restrittivi.
L’opener «Five Will Get You Ten» è accreditato a Sonny Clark, come autore, ma è in realtà una composizione di Thelonious Monk, conosciuta come «Two Timer», mai registrata dal Monaco. In ogni caso, Clark, al suo meglio proprio in questo brano, lo tratta alla Monk facendo buon uso dei colpi della sezione ritmica attraverso un convincente call-and-response ed un’introduzione contrappuntistica e dissonante, prima che il gruppo dirotti verso uno swing serrato e veloce. Il brano è una sorta di preambolo a «Let Freedom Ring». Sembra che McLean stia iniziando a manipolare le idee, cercando di trovare nuovi schemi: assai significativo il fatto che il modo di suonare il basso di Warren ricordi quello di Herbie Lewis sull’album successivo. L’altoista si mostra grintoso ed aggressivo, mentre Turrentine e Clark si calano in una dimensione più controllata, cercando di stemperare gli eccessi del leader, mentre i cambiamenti modali ispirano alcuni dei migliori assoli e il più interattivo comping della sezione ritmica, che trova ampia contemplazione nel pressante tambureggiare di Higgins, il quale aggiunge qualche stilla di novità agli assoli del front-line.
Il band-leader porta a corredo dell’album solo due tracce, a parte la title-track, una convincente ballata, «Subdued», in cui suona come Bird ma con la pulizia di Sonny Stitt. Abbiamo più volte sottolineato quanto allora fosse difficile, ma lo è ancora oggi per gli altoisti, riuscire a bypassare taluni schemi di riferimento. A parte qualche condizionamento subliminale, l’intrepido Jackie non si rilassava mai, nonostante la natura «sommessa» del pezzo lo richiedesse. In «Subdued» il tempo lento ed il moderato procedere della sezione ritmica gli permettono, comunque, di evidenziare tutto il potenziale lirico ed espressivo. «Sundu», sempre a firma Clark, rievoca uno scenario molto simile a quello dei Jazz Messengers, attraverso un hard bop dilatato e contrappuntato da innesti funkified, il flusso pianistico riporta alla mente anche un certo Horace Silver dei tempi migliori.
La B-Side si apre con la title-track, «A Fickle Sonance», composta da McLean, mostra un baricentro alquanto spostato in avanti con qualche tentazione ornettiana prima maniera. Turrentine contribuisce con un componimento a base di funk-soul, «Enitnerrut», il cui titolo è l’anagramma del suo cognome; l’impianto melodico è a presa rapida ed agevola molto la fruizione degli assoli della prima linea; «Lost», a firma Butch Warren, segue le medesime coordinate di «Enitnerrut» attraverso un piacevole andirivieni, un movimento latineggiante ed uno swing elastico, che consente allo stesso Warren di suggellarlo con un assolo da manuale. Nel complesso l’album mostra che gli interessi di McLean sono ancora radicati nell’hard bop ma ne evidenzia anche l’interesse nell’adattare la dissonanza, la modalità e le forme creative a quell’idioma, tanto da suggerire la direzione che la sua musica avrebbe preso negli anni successivi; inoltre contiene tutto ciò che rende McLean un gigante del jazz moderno, eppure non viene considerato un classico nella sua discografia. Il che dimostra che non bisogna sempre fidarsi della critica. «A Fickle Sonance» descrive il ritratto di un suono che cambia, assai appropriato in quella fase della lunga carriera del sassofonista, tuttavia, potrebbe essere inquadrato come la calma prima della tempesta d’avanguardia.
