«Outsider» di Bruno Graziosi 4th, un processo di sintesi creativa per un jazz striato ed a banda larga

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Il costrutto sonoro si muove sul piano inclinato di un jazz del terzo millennio con aperture multilaterali e politematiche. I quattro strumentisti agiscono senza vincoli costrittivi ed eccessivi legami, apportando idee ed arricchendo costantemente il compost sonoro.

// di Francesco Cataldo Verrina //

I dischi in cui il band-leader è un bassista si muovono su un terreno articolato e bivalente, in cui la retroguardia sembra non solo sostenere, ma anche suggerire ed avanzare in prima linea con uno scambio mutualistico fra le due sezioni. Gli strumenti ritmici per definizione, contrabbasso e batteria, – a parte il pianoforte che svolge una duplice funzione – quando sono alla testa ad un line-up, operano attraverso un costrutto permeabile ed arrangiamenti a maglie larghe, al fine di garantire la circolarità delle idee e l’espressione di singoli, soprattutto concedono ampio spazio di manovra agli strumenti posizionati sul front-line. «Outsider» di Bruno Graziosi, edito dalla WoW Records, non sfugge a questa regola. Graziosi è un contrabbassista foriero di una composizione dinamica che affonda in vari segmenti dello scibile sonoro traendo spunti linfa vitale dal jazz in tutte le sue forme espressive, fermenti di natura eurodotta ed elettronica di contorno a consumo energetico controllato.

Il jazz per quanto modulare, rimane il perno centrale del lavoro di Preziosi e soci: Andrea Conti chitarra, Fabiano Di Dio pianoforte e piano Rhodes e Andrea Ciaccio batteria. L’intervento della tastiera elettronica produce una multidimensionalità fusion ed un costante anelito di libertà che non vincola mai i quattro sodali ad un regime acustico di tipo tradizionale. Basta ascoltare «Young Hope», un costrutto dal sapore metropolitano e dalle bordature funkified, fissate a caldo da un ritmica che non prigionieri e magnificato dalle piacevoli bordature del piano Rhodes e dai ricami di una chitarra dai suoni pungenti. Il costrutto sonoro si muove sul piano inclinato di un jazz del terzo millennio con aperture multilaterali e politematiche. I quattro strumentisti agiscono senza vincoli costrittivi ed eccessivi legami, apportando idee ed arricchendo costantemente il compost sonoro, procedendo per vie laterali ed approdando sistematicamente al nucleo centrale dell’idea di base fissata da band-leder. Ne è una dimostrazione lampante «Dreaming A Better Life» caratterizzato dalla zampillante melodia del pianoforte al quale la chitarra fa eco garbatamente, mentre la retroguardia assicura un scorta di groove a larghe falde. Si capisce subito che l’opener, «Introduzione», sia una vetrina espositiva, in cui il contrabbasso di Graziosi stabilisce le coordinate del viaggio, quasi una sintesi dei tutte le tematiche che verranno sviluppate nell’album in cui risalta un perfetta sinergia fra pianoforte e chitarra, due strumenti accordali, sovente antitetici ma che, nello specifico, agiscono cum grano salis e ponderatezza, rispettando i ruoli e sostenendosi mutualisticamente al fine di apporre nell’humus dell’album maggiore ricchezza armonica e cromatica.

La title-track, «Outsider» si sostanzia come costrutto incisivo e tagliente, decisamente groovin’ e gravido di funkiness, in cui si raggiungono gli ottoni di una carburazione fusion in perfetta regola, con tanto di finale sospeso e spaziale, a cui ogni sodale versa il proprio tributo in termini di creatività esecutiva. «Il Vecchio Continente» è un’elegia progressiva introdotta e condotta a lungo dal basso-leader con passo felpato ed introspettivo, quasi felino, come un gatto che si guarda intorno con circospezione, fino all’intermedio dove compare una chitarra quasi pinkfloydiana che scava verso l’interno offrendo notevoli suggestioni alla fantasia del fruitore, per poi involarsi ad ali spiegate in un crescendo wagneriano sostenuta magnificamente da una compatta retroguardia ritmica, quindi gran finale flautato delle tastiere e chiusura ancora affida al basso che torna all’idea di partenza. «Straßenbahn 2» ha le stimmate di una ballata crepuscolare, struggente e fitta di tormenti in cui, nell’intermedio, il basso assume per quietanza e per statuto un ruolo melodico-narrante aiutato dalla chitarra, quindi a seguire una progressione pianistica dai contrafforti classicheggianti. «My First», elegante melodia, facilmente metabolizzabile, quasi smooth fortificata d un piacevo groove soulful a velocità di crociera, l’ultimo passaggio è affidato al basso che tenta una melodizzazione riverberata dal piano con note leggere e millesimate. In chiusura, «Conclusione», un consuntivo tematico dell’intero itinerario sonoro con il contrabbasso che sembra riprendere dove aveva interrotto nell’introduttivo brano d’apertura. Una degna conclusione, la quale più che un addio sembra un arrivederci. «Outsider» del Bruno Preziosi 4th non è un disco rivoluzionario, ma risulta ben suonato ed equilibrato negli arrangiamenti, soprattutto non tradisce i vizi tipici dell’opera prima, e lo fa evitando gli eccessi stilisti, le ridondanze imitative ed i manierismi scolastici.

Bruno Graziosi
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