Rhapsódija Trio con «Di Visioni Musicali»: memorie, deviazioni e narrazione transnazionale, fra tradizione e reinvenzione (Sensible Records, 2025)

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«Di Visioni Musicali» del Rhapsódija Trio si attesta quale prosecuzione di un percorso che ha saputo mantenere intatta la propria urgenza espressiva. La padronanza strumentale dei tre interpreti non è mai ostentata, ma si estrinseca mediante una costruzione modulare, un disegno armonico ed un ordito narrativo, scevro da qualsiasi spettacolarità fine a se stessa…

// di Francesco Cataldo Verrina //

Nel solco di una ricerca che ha saputo sedimentarsi nel tempo, «Di Visioni Musicali» riafferma la vocazione itinerante e la perizia compositiva del Rhapsódija Trio, formazione che da oltre tre decenni modella un linguaggio musicale capace di far dialogare tradizioni, idiomi sonori e memorie culturali. Nadio Marenco, Luigi Maione e Adalberto Ferrari non si limitano ad evocare un cosmopolitismo musicale, ma lo articolano con rigore, lo plasmano in strutture tematiche che si nutrono di sedimentazioni etniche, geometrie jazzistiche e reminiscenze italiane, senza mai indulgere in formule esotiche o sincretismi superficiali.

La pagina inaugurale, «For Gégé», firmata da Ferrari, si muove secondo una logica di improvvisazione che punta alla frizione interna tra pulsazione klezmer e dinamiche jazzistiche. La tradizione folk italiana viene rifondata: la fisarmonica ne custodisce la memoria, mentre i fiati e la chitarra ne alterano la traiettoria, generando un flusso sonoro che si compone in equilibrio tra reinvenzione e memoria. Il ritmo, sostenuto ed incalzante, oltrepassa il concetto di sostegno, espandendo la forma e lasciando che la partitura venga reinterpretata con accenti rock e deviazioni contrappuntistiche. La suite che accoglie «Viazoy» e «Papirossn» si colloca in una zona di confine tra rispetto filologico ed germinazione timbrica, in cui la linea tematica della fisarmonica, che rimanda all’ispirazione yiddish, viene affiancata da una chitarra elettrica che ne contamina la fisionomia acustica, generando un clima che allude a certe dilatazioni psichedeliche anni Settanta, mentre il controtempo jazz s’interseziona nella struttura tradizionale, fino a confluire nel canto conclusivo. «Czarda», firmata da Marenco, si delinea come una ballata onirica, dove il mantice disegna un paesaggio rarefatto, mentre i fiati e la chitarra ne increspano la superficie. Il passaggio a «Volevo un Gatto Nero», lungi dall’essere ironico o infantile, si converte in una digressione calibrata che apporta un registro altro, giocoso e straniato. «La maschera Rosa / Ballata da Teatro» si posiziona in una zona evocativa che rimanda a certi climi felliniani, non per citazione, ma per affinità poetica. Il valzer lento, sostenuto dal dialogo tra fisarmonica e clarinetto, si schiude ad una dimensione teatrale, dove il testo di Maione – «note appese per la gola sul pentagramma dei giorni» – costituisce la premessa narrativa ed il respiro iniziale. «Zapping», ancora a firma Maione, si muove secondo il principio della collisione, in cui la chitarra, carica di inflessioni rock, si scontra con la fisarmonica ed i fiati, dando luogo ad un flusso discontinuo e frazionato, che riporta ad un modernismo non pacificato.

Il repertorio dell’Est Europa, che pervade l’intero concept, non viene trattato dal Rhapsódija Trio come materiale da museo, ma quale tessuto vivo da manipolare con rispetto e libertà, dove i singoli passaggi si accavallano in una tessitura espressiva che alterna slanci danzanti, contrappunti lirici e deragliamenti armonici. «Nigun Null» apre un varco verso l’Est, ma lo fa senza retorica: la miscela di klezmer, rock e folk mira alla coerenza interna, mentre le folate di reggae e blues, che ne allagano la struttura, non sono innesti esotici, ma diramazioni necessarie che ampliano il campo armonico e ne destabilizzano la prevedibilità. La scelta di un repertorio, che include rielaborazioni di «Der Gasn Nigun», «Romanian Train» e «Hicaz Mandira», non si piega ad una ratio citazionistica, ma piuttosto ad un principio di immersione, ove ogni componimento viene ricucito mediante un impianto compositivo che ne rispetta la matrice e ne riformula l’ordine interno, facendo leva su una sensibilità accordale che non teme l’ibridazione. Il trio non gioca ad accatastare idiomi; per contro, li fa dialogare, trascrivendoli in un codice espressivo che si nutre di ascolti, viaggi e convivenze. In «Afasia», la voce si fa strumento di inquietudine, di riflessione e di tensione non risolta. Introdotta da una chitarra dal colore metallico, essa richiama paesaggi amerindi, ricollocandoli in un contesto europeo, dove la fisarmonica funge da collante. «Monica», firmata da Marenco, si dipana sulla base di un metodo che implementa un alternarsi di eco e risposta, con il clarinetto che guida la linea melodica e gli altri strumenti che ne amplificano la velatura acustica, generando un ambiente sonoro di delicata coesione. L’immagine di copertina, tratta da un’opera della serie «Orizzonti» di Narciso Bresciani, oltre ad illustrare, indica una dimensione di transito non geografica, ma percettiva. Le linee sfumate, i colori in movimento e la tensione tra figurazione ed astrazione trovano un corrispettivo nella fisionomia sonora del disco, che si muove nel riflesso di una pluralità di linguaggi, senza mai dissolversi in una somma di stili, dove la voce, intesa come elemento narrativo, timbrico e poetico, assume un ruolo centrale. La chiusura dell’album, affidata alla suite «Firn Di Mekhutonim Aheym/Misirlou/Mujo Kuje», si proietta verso la moltiplicazione: le tre sezioni si susseguono tra accumulo e rilancio, in cui ciascun episodio rilancia il precedente, senza mai chiudere il cerchio. A conti fatti, «Di Visioni Musicali» del Rhapsódija Trio si attesta quale prosecuzione di un percorso che ha saputo mantenere intatta la propria urgenza espressiva. La padronanza strumentale dei tre interpreti, tecnicamente raffinati, musicalmente eloquenti e di solida formazione, non è mai ostentata, ma si estrinseca mediante un’implementazione modulare, un disegno armonico ed un ordito narrativo, scevro da qualsiasi spettacolarità fine a se stessa, la quale si sostanzia nell’ascolto e non si esaurisce nella superficie.

Rhapsódija Trio

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