Vinile sul Divano: fughe improvvisative su materiali free form

// di Gianluca Giorgi //
Amancio D’Silva, Reflections (The Romantic Guitar of Amancio D’Silva) (1971 ristampa 2024 Record Store Day, Ltd Ed Clear)
Per celebrare il Record Store Day nel 2024, Universal Music Recordings e Decca Records hanno reso l’album “Reflections (The Romantic Guitar Of Amancio D’Silva)” del chitarrista jazz Amancio D’Silva, di nuovo disponibile per la prima volta da quando è stato pubblicato nel 1971. A lungo ricercato da collezionisti e intenditori, l’album originale è ora in vendita a cifre molto alte, questa nuova edizione è stata masterizzata agli studi Abbey Road utilizzando file audio ad alta definizione a 24 bit/192 kHz, copiati direttamente dai nastri master analogici originali. All’interno sono incluse le immagini dei nastri insieme a note scritte dal noto autore e documentarista Tony Higgins, che funge anche da produttore esecutivo per la serie “British Jazz Explosion” della Decca. Registrato nel maggio 1970, “Reflections” è stato pubblicato come parte della serie Lansdowne, supervisionata dall’influente Denis Preston, uno dei primi produttori discografici indipendenti del Regno Unito e ingegnerizzato da Adrian Kerridge. I dodici pezzi strumentali, arrangiati David Mack, Stan Tracey e Leon Young, includono titoli di George Gershwin, Duke Ellington e Hoagy Carmichael. Nato a Mumbai (allora Bombay) nel 1936, la carriera di Amancio D’Silva come musicista iniziò nel suonare in hotel, ristoranti e nella colonna sonora dei film di Bollywood. All’inizio del 1967 Amancio e sua moglie di origine irlandese Joyce si trasferirono in Inghilterra, per finanziarsi il costo del viaggio Amancio vendette la sua chitarra acustica Gibson. In Inghilterra ha trovato lavoro suonando al pub The Prospect Of Whitby a Wapping, a est di Londra, ma per arrotondare il suo reddito puliva i bagni al mattino prima di esibirsi la sera. Negli anni, dopo aver conosciuto Denis Preston, ha collaborato con alcune delle figure più note della scena jazz britannica della fine degli anni ’60 e dei primi anni ’70, tra cui Joe Harriott, Michael Garrick, Don Rendell, Ian Carr, Dave Green e Bryan Spring. “Reflections” con una copertina romantica, come fa presagire il sottotitolo, in cui sembrano essere raffigurate le sfumature di notti balsamiche al mare e che ricorda un po’ le uscite Balearic attuali, è un’opportunità per godersi il tocco sensibile e il tono puro di Amancio, che suona una chitarra in parte assemblata da lui. Negli anni a seguire avrebbe lavorato per le chitarre Selmer (acquistate dai proprietari della già citata Gibson nei primi anni ’70) per le quali ha progettato pickup e amplificatori.
Rahsaan Roland Kirk, Prepare Thyself To Deal With A Miracle (1973 ristampa 2025)
Rahsaan Roland Kirk (1936-1977) era un sassofonista jazz americano cieco, conosciuto per la sua capacità di suonare più di un sassofono contemporaneamente. Il suo modo di suonare era generalmente radicato nel soul jazz o nell’hard bop, ma le sue conoscenze gli hanno permesso di attingere in modo convincente a qualsiasi elemento della storia della musica, dal ragtime allo swing e al free jazz, ha anche esplorato la musica classica e pop. Kirk collezionava e suonava un vasto numero di strumenti musicali, principalmente vari sassofoni, clarinetti e flauti. I suoi strumenti principali erano il sassofono tenore e due sassofoni poco conosciuti: il manzello (simile a un sassofono soprano) e il stritch (un sassofono contralto dritto privo della caratteristica campana rovesciata dello strumento). Kirk spesso ha modificato questi strumenti per adattarli alla sua tecnica di riproduzione simultanea. In genere appariva sul palco con tutti e tre i corni appesi al collo, oltre ad una varietà di altri strumenti, tra cui flauti e fischietti. Kirk suonava anche l’armonica, il cor anglais ed era, anche, un trombettista esperto. Ha, inoltre, collezionato e suonato di tutto, strumenti insoliti o combinazioni di parti di strumenti, usando un boccaglio di sassofono su una tromba o suonando il flauto nasale. Sveglie, fischietti, sirene e persino suoni elettronici primitivi (prima che queste cose diventassero comuni). Ora viene ristampato “Prepare Thyself To Deal With A Miracle”, originariamente pubblicato nell’agosto 1973 su Atlantic Records. Registrato nel gennaio 1973 ai Regent Sound Studios di New York City, questo album è uno dei lavori più avventurosi e sperimentali di Kirk. Nel disco Kirk mostra la sua padronanza con più strumenti a fiato, incluso il suo famoso “flauto nasale” e crea un arazzo di suono che è allo stesso tempo audace, visionario e profondamente spirituale. L’album presenta un ensemble straordinario, tra cui: Charles McGhee alla tromba, Dick Griffin al trombone, Harry Smiles all’oboe, un quartetto d’archi e come coriste Dee Dee Bridgewater e Jeanne Lee. Gli archi sono usati in modo meno convenzionale, suonano più simili ai compositori classici, riuscendo, comunque, ad essere fortemente incorporati nel suono generale dei fiati e della sezione ritmica. Il secondo lato è composto dal suo “Concerto di Sassofono”, brano di non facile ascolto, in cui Kirk suona il suo assolo di sassofono tenore con la respirazione circolare senza sosta. Sulla copertina dell’album, viene spiegato dallo stesso Kirk, che il disco è stato suonato senza sovraincisioni. Nel brano l’ascoltatore viene portato in un viaggio nei diversi stili e tempi con Kirk che eccelle nel ritmo veloce. Forse la registrazione più sperimentale di Kirk”, in cui si evidenzia la sua esplorazione dei droni e della strumentazione stratificata, con linee melodiche e improvvisate che vanno in secondo piano rispetto a un’esperienza più coinvolgente e atmosferica. Questo è Kirk al massimo dell’inventiva e spinge i confini del jazz e del suono stesso. Un album che va ascoltato con calma, così da scoprire tutti i dettagli e le sfumature che lo compongono. Un capolavoro jazz visionario che mostra le capacità di Kirk come compositore ed innovatore e la sua maestria multistrumentale.


Abdullah Ibrahim, 3 (3 Lp 45/33 rpm 2024)
Il pianista Abdullah Ibrahim con questo bellissimo triplo album, accompagnato da un trio divino, continua a lasciare il segno nella storia musicale. Alla soglia dei 90 anni l’uomo, che Nelson Mandela soprannominò “il Mozart sudafricano”, ci sorprende ancora una volta con delicate reinterpretazioni delle canzoni che hanno forgiato la sua leggenda. “3” è un album in trio che segue l’acclamato “Solotude” e continua il percorso intrapreso nello splendido “The Balance” del 2019. Album pubblicati anch’essi dall’etichetta inglese Gearbox. In quest’ultimo lavoro registrato al Barbican Centre di Londra, ad accompagnare il pianista ci sono: Cleave Guyton (flauto, piccolo, sassofono) e Noah Jackson (basso, violoncello). Abdullah Ibrahim è un veterano della scena mondiale e con il suo pianoforte ha scritto alcune delle pagine più importanti del jazz degli ultimi decenni. Il disco in questione si compone di due registrazioni live realizzate nel luglio del 2023 al Barbican Centre di Londra. Le registrazioni presentano una serie di nuove tracce con arrangiamenti commoventi che risentono della musica che ha influenzato Ibrahim (gospel e jive, jazz americano e musica classica, sacra e laica) e di brani di suoi amici come Duke Ellington e John Coltrane, tutti elaborati con il suo stile di suonare fluido ed esuberante. Nel disco ci sono anche affascinanti esibizioni vocali di Ibrahim che creano dei momenti di alto pathos, con canzoni strazianti sul dolore della schiavitù, cantate sia in una lingua indigena che in inglese. Il primo set è stato registrato a porte chiuse, senza pubblico, prima del concerto direttamente in analogico su una macchina a nastro Scully da 1″, che era stata precedentemente utilizzata da Elvis nei famosi Sun Studios di Memphis e si compone di sei brevi brani su cui spiccano “Ishmael”, per la splendida melodia che Guyton disegna con il suo flauto e l’introspettiva e spiriturale “Mindif”, rielaborazione di un brano del 1988. Il secondo set, invece, è un estratto del concerto con il pubblico in sala. Qui, come si conviene alla dimensione live, i brani si allungano, prendendosi tutto lo spazio che serve per dispiegare melodie, intuizioni armoniche e interplay. Ibrahim riarrangia alcuni dei suoi classici: “Maraba”, “Blue Bolero”, “Water from an Ancient Well”, stupenda per la sua semplicità, con l’assolo ispirato di Guyton al flauto. Il ritmo piacevole di “Nisa” e il minimalismo di “The Wedding” rivelano due sfaccettature del pianista, “Ripresa 2” con la sua deliziosa esposizione del tema, illumina il disco. Accanto alle sue composizioni, il pianista rende omaggio ad artisti del calibro di John Coltrane e Duke Ellington, con la delicata versione di “In A Sentimental Mood “ (Duke Ellington), che apre questa seconda parte, seguita da “Giant Steps” (John Coltrane), interpretata dal solo Jackson al contrabbasso. Abdullah Ibrahim (che ha anche registrato come Dollar Brand) è uno dei musicisti più famosi del Sudafrica. Nato sotto il regime dell’apartheid, dove la musica era vista come un atto di resistenza ed il suo jazz spesso associato alla protesta per la “libertà”. Il suo inno anti-apartheid “Mannenberg” (pubblicato come “Capetown Fringe” negli Stati Uniti) è stato considerato un inno nazionale non ufficiale in Sudafrica. Il disco è un equilibrio tra influenze europee, americane e le radici africane.
Ornette Coleman, The Shape of Jazz to Come (1959 ristampa Rhino Rec. 2010)
Il musicologo jazz Peter N. Wilson ha scritto: “Un disco che non è ingiustificatamente così intitolato”. Coleman è stato il primo grande artista jazz a fare un salto in un territorio non conosciuto e lo ha fatto in un momento in cui il coraggio non era sempre ricompensato. Nonostante le difficoltà Ornette ha insistito nel raggiungere il suo obiettivo e ha fatto ciò che l’album ha dichiarato nel titolo e cioè aprire nuove strade al jazz, infatti dopo questo disco il jazz non sarà più lo stesso. È stato l’album free jazz di più alto profilo, pubblicato prima ancora che esistessero i termini “free jazz” e “avant-garde jazz”. Il coraggio di Coleman ha aperto la porta ad altri per sperimentare il genere in modi che non avrebbero fatto prima. Il secondo disco di Coleman pubblicato nel 1959 è una transizione perfetta dal bebop al free jazz/jazz d’avanguardia. Anche se il disco quando uscì non fu accolto benissimo, perché ai fan non piacque questo nuovo stile basato sull’improvvisazione libera, ora è visto come un classico della storia del jazz. Fu John Lewis, pianista del Modern Jazz Quartet, a portare Ornette Coleman alla rinomata etichetta Atlantic, dopo averlo sentito suonare a Los Angeles disse: “Ornette Coleman sta facendo l’unica cosa veramente nuova nel jazz …”. L’ album, il primo su Atlantic, fu pubblicato in coincidenza con il debutto a New York del Coleman Quartet nel novembre 1959. I brani veloci “Eventually”, “Chronology” ricordano il bebop più selvaggio, altri brani “Congeniality”, “Focus On Sanity” presentano brevi motivi orecchiabili, dal sapore quasi tradizionale. L’album contiene, inoltre, due delle più belle composizioni di Coleman: “Peace” e “Lonely Woman”, brani che poi furono trascritti anche con i testi. Questa musica fu come una boccata d’aria fresca.

