Alessandro Bianchini con «My Space 24». Ascolto e costruzione: una grammatica timbrica tra vibrafono e silenzio (Bird Box Records, 2025)

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MY SPACE 24 180gr. gatefold & booklet - 2

L’album non si articola come una raccolta episodica, ma si srotola alla medesima stregua di vera e propria sequenza. Ogni passaggio sonoro funziona come stazione di un percorso, ed solo nella continuità fra i singoli tratti che si compone il significato complessivo del lavoro.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Con «My Space 24», Alessandro Bianchini si colloca in una traiettoria di pensiero musicale che elude ogni automatismo estetico. A differenza dell’esordio «10/5», che trovava nel linguaggio sperimentale un suo campo d’indagine primaria, questo secondo lavoro si definisce attraverso una strategia di sottrazione. Il vibrafonista non rinuncia alla complessità, ma la dissimula in una scrittura più immediata, fondata su un’idea di accessibilità che non concede nulla all’ovvietà.

Il progetto si sviluppa all’interno di una logica formale coerente e volutamente anacronistica, tanto sul piano compositivo quanto su quello produttivo. Il vibrafonista sembra concepire il disco come spazio fisico prima che narrativo: non a caso, l’album si struttura attorno all’idea del vinile come oggetto culturale e veicolo di senso, in aperta opposizione alla smaterializzazione digitale. Il gesto dell’ascolto viene quindi restituito alla sua dimensione originaria, fatta di attenzione, cura e ritualità. Dal punto di vista timbrico, il lavoro si distingue per una costruzione acustica meticolosa, in cui il vibrafono e la marimba non vengono trattati come strumenti solisti, ma come nodi di una tessitura collettiva. L’equilibrio fra le parti, specie tra l’elemento percussivo e la voce strumentale del sax di Lorenzo Simoni non mira alla sovraesposizione virtuosistica, bensì a una forma di convivenza tonale che rifiuta la gerarchia. L’inclusione di tre riletture non risponde a logiche di repertorio, né di omaggio tributaristico. In ognuno dei tre reperti, Bianchini elabora una posizione interpretativa precisa: nel primo, l’attenzione si concentra sull’interplay sorvegliato, in cui l’elemento improvvisativo viene canalizzato entro una griglia dinamica densa ma non claustrofobica; nel secondo, si osserva una trascrizione timbrica che rinuncia alla filologia per farsi atto di riscrittura, con la marimba che assume il ruolo di medium barocco-urbano; nel terzo, l’aderenza lirica si fa campo di esplorazione per una scrittura rarefatta, sostenuta da una retroguardia sobria, ma internalmente mobile. Le composizioni originali dell’album, operano in modo complementare rispetto alle riletture. Funzionano come campi d’indagine su micro-motivi. Bianchini spesso lavora con cellule ritmiche minime, che si sviluppano per accumulo o dissolvimento. L’armonia si colloca in una zona ambigua tra tonalità allargata e modalismo eufonico, con frequenti sovrapposizioni di quarte, intervalli vuoti e scale esatonali. Questi materiali, apparentemente neutri, vengono animati da un uso sapiente del registro e dello spazio, che il quartetto tratta con sensibilità quasi coreografica.

«My Space 24» non si articola come una raccolta episodica, ma si srotola alla medesima stregua di vera e propria sequenza. Ogni passaggio sonoro funziona come stazione di un percorso, ed solo nella continuità fra i singoli tratti che si compone il significato complessivo del lavoro. Il rapporto tra composizione, interpretazione e disposizione nell’ordine d’ascolto rivela un intento quasi narrativo, pur senza affidarsi a una struttura programmatica. L’opener promulga una dichiarazione d’intenti. Il linguaggio armonico si costruisce su una tavolozza post-boppistica asciugata da ogni retorica, in cui l’intervallo viene usato non tanto come motore tematico, quanto come elemento percettivo: il suono «respira» per dissonanze morbide e risoluzioni sospese. L’ingresso del vibrafono non ha funzione introduttiva, ma di assimilazione: è già dentro la forma, come se arrivasse da un altrove non dichiarato. In «Cyclic Episode», rilettura di Sam Rivers, il gruppo affronta la scrittura originale non come standard, ma come architettura da smontare e ricostruire. Il contrappunto tra vibrafono e sax si sviluppa per espansione laterale, evitando lo sviluppo verticale. Le improvvisazioni non cercano apici, bensì porosità, mentre la forma resta aperta, flessibile e priva di destinazione. La macchina del ritmo, gestita da Nelide Bandello, oscilla tra sostegno e sottrazione, in una concezione della pulsazione più vicina alla danza implicita che all’enfasi metrica. La «Lute Suite in E minor, BWV 996» costituisce l’asse concettuale dell’album. Non si tratta di un semplice adattamento timbrico, ma di una trasduzione idiomatica. Il passaggio dal liuto barocco alla marimba comporta una riscrittura della meccanica esecutiva, che Bianchini affronta con consapevolezza timbrica e articolatoria. L’effetto è duplice: da un lato, l’opulenza armonica di Bach si vaporizza, lasciando emergere le risonanze del legno; dall’altro, il tempo interno della musica viene rallentato, come se la struttura polifonica si dissolvesse in un ascolto percettivo anziché sintattico. L’elemento emozionale non risiede nella «commozione» (categoria estranea al barocco), ma nell’emergere intermittente di una tensione metafisica silenziosa. Con «Summer Night» di Harry Warren, il quartetto introduce una svolta lirica che, tuttavia, non cede alla tentazione dell’effusione. La scelta di non enfatizzare la melodia originaria, ma di distribuirla tra frammenti timbrici e linee ellittiche, suggerisce una lettura della ballad come luogo dell’ascolto più che dell’espressione. Il contrabbasso di Marco Micheli costruisce una base discreta, ma determinante, mentre il vibrafono interviene non per ornare, ma per suggerire. L’effetto complessivo richiama più la sospensione cinematica che l’intimità cameristica, tanto che ogni nota è trattenuta, come in attesa di un evento che non arriva.

Al netto del contenuto, ciò che più colpisce in «My Space 24» è il trattamento del tempo. Non parliamo solo del tempo metronomico o strutturale, ma del tempo percepito. Bianchini costruisce un ascolto che si muove per rarefazioni, attese e ritorni non ciclici. I silenzi non separano le frasi: le legano. La musica non procede per climax, ma per approfondimento laterale. In tal senso, il disco si pone come un esercizio di ascolto longitudinale, dove non si cerca il compimento, ma la permanenza. Il progetto del vibrafonista non propone semplicemente un repertorio, ma una postura. L’integrazione tra scrittura, interpretazione e progettazione acustica dà luogo a un concept di forte coerenza interna, in cui il jazz non è più un genere, ma diventa un metodo. Le composizioni non cercano adesione emotiva immediata, ma stratificazione; non chiedono approvazione, ma attenzione, assumendo la forma più rigorosa e, forse, più necessaria del fare musica oggi. Dal punto di vista fonico, «My Space 24» si segnala per una produzione che privilegia la trasparenza del suono. L’assenza di artifici digitali non costituisce una presa di posizione ideologica, quanto una precisa volontà estetica: liberare il segnale da ogni filtraggio significa affermare un’idea di autenticità che non è nostalgia, ma critica del presente. Il lavoro di Lorenzo Vella, in veste di produttore, mix-engineer e curatore del mastering, risulta in tal senso determinante, poiché la resa acustica valorizza ogni sfumatura strumentale senza mai scadere nel didascalico.

Alessandro Bianchini
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