«Breathe» del Cappuccio Collective Smooth: raffinati incastri sonori tra soul, jazz e pop (Marechiaro Edizioni, 2025)
/ di Francesco Cataldo Verrina //
Nel complesso, il progetto mostra consapevolezza delle proprie coordinate: repertorio selezionato, scrittura pulita, cura degli incastri ed attenzione alle proporzioni. «Breathe» agisce sul piano dell’eloquenza musicale, affidando alla chiarezza formale e alla qualità del suono il compito di raccontare un’identità che cresce per stratificazione misurata e per affinamento continuo.
«Breathe» del Cappuccio Collective Smooth afferma una progettualità precisa: ripensare il lessico dello smooth jazz con una sensibilità italiana, filtrando repertori storici e materiali originali attraverso una cura timbrica e una regia armonica che privilegia la trasparenza delle linee e la leggibilità del gesto musicale. Mimmo Cappuccio alla chitarra, Annina Galiano alla voce e Cristina Massaro al pianoforte e alle tastiere guidano un organismo sonoro che, nella scelta di colori e nella disposizione delle parti, mira ad un equilibrio tra levigatezza e dettaglio, tra cantabilità e costruzione formale. La presenza di Mark Sherman, di Ramon Montagner, di Dario Deidda al basso elettrico, di Eric Daniel al sax soprano e della Virtual Orchestra di Francesco Oliviero amplia lo spettro acustico, offrendo risorse dinamiche e una profondità di campo che consente di modellare il materiale con finezza senza rinunciare all’immediata comunicazione.
«Summertime» viene affrontata con rispetto per la partitura di Gershwin, ma la rilettura cerca un respiro contemporaneo, puntando su una profilatura armonica elegante e su una conduzione melodica che evita il virtuosismo gratuito. Il pianoforte incornicia la melodia con voicing morbidi, la chitarra interviene con fraseggi misurati, la voce di Annina intreccia la tradizione del song con una pronuncia che illumina la parola, mentre la sezione ritmica – sostenuta da una pulsazione regolare e da accenti dosati – scava un tappeto sobrio, lasciando emergere la forma. «September», associata alla grande stagione degli Earth, Wind & Fire, diventa terreno per una lucida rifinitura del profilo compositivo, in cui la chitarra costruisce una progressione che respira, il sax soprano stende una velatura luminosa, il basso elettrico di Deidda incardina il movimento con un suono corposo e sempre controllato, le tastiere disegnano spazi senza ridondanza. Ne risulta una pagina che guarda agli anni Ottanta senza nostalgia, preferendo una tecnica che seleziona ciò che serve e lo dispone con misura.
I componimenti originali del collettivo come «Nothing To Save»lavorano sulla scorta di un’ortografia cristallina, alternando momenti di distensione a dispositivi metrici più serrati. La chitarra di Cappuccio non cerca la centralità, piuttosto implementa traiettorie che favoriscono l’entrata della voce e del pianoforte, mentre la Virtual Orchestra di Oliviero aggiunge una cornice orchestrale discreta, utile ad espandere il campo senza ingombrare. Ne sono una testimonianza componimenti come «It’s No Easy« e «Breathe«. L’intervento di Sherman come compositore apporta un ulteriore livello di dialogo: struttura solida, melodia incisiva, finale inatteso che apre alla lingua napoletana, cantata dalla Galiano con naturalezza e controllo. Quel passaggio funziona come dichiarazione di intenti, portando il Mediterraneo dentro un impianto di matrice americana, con un omaggio implicito a Pino Daniele non trattato come citazione, ma come principio operativo, ossia far convivere mondi idiomatici differenti attraverso una logica musicale che li renda coesi, non semplicemente accostati. L’ugola di Annina Galiano lavora sul testo con attenzione alla prosodia, piegando le frasi a un registro dolce che non rinuncia alla precisione d’intonazione. Mimmo Cappuccio mostra un tocco nitido, predilige il fraseggio scandito e evita saturazioni, distribuisce gli accenti con parsimonia. Massaro alterna pianoforte e tastiere con senso della misura, scegliendo timbri che sostengono la proiezione vocale e che rendono chiara la struttura. Deidda imprime una presenza calda e disciplinata, mentre Eric Daniel porta una luce verticale che si posa sulle frasi senza comprimerle. Basta ascoltare «You Know Me Better«, vero proclama sonoro del collettivo. La compagine utilizza il lessico dello smooth, del soul e del pop raffinato secondo una grammatica che privilegia la continuità, ossia niente picchi gratuiti, nessuna rarefazione manierata, piuttosto una tessitura liscia che scorre e che mette al centro la qualità del suono e la lucidità delle scelte.
La produzione persegue un’idea di pulizia e di chiarezza, la collocazione degli strumenti nell’habitat acustico segue una logica di leggibilità, le dinamiche risultano calibrate per rendere giustizia alle voci interne. Si avverte la volontà di evitare la sovraesposizione del solismo, lasciando che ogni passaggio dell’album trovi il suo compimento nella relazione tra parti. «Breathe» non cerca lo shock, ma preferisce la persuasione; per intenderci, un invito a un ascolto attento, in cui ogni dettaglio, attraverso un’inflessione della voce, un arpeggio sobrio, un controcanto di sax ed una sottolineatura di basso, possa contribuire a costruire senso. Siamo alle prese con un album di impronta internazionale, restituisce una fisionomia sonora capace di attraversare territori senza dissolvere le radici. Nel complesso, il progetto mostra consapevolezza delle proprie coordinate: repertorio selezionato, scrittura trasparente, cura degli incastri ed attenzione alle proporzioni. «Breathe» agisce sul piano dell’eloquenza musicale, affidando alla chiarezza formale e alla qualità del suono il compito di raccontare un’identità che cresce per stratificazione misurata e per affinamento continuo.

