«La Tregua» del Duo Reflections: quando il suono diventa parola, attraverso un patto tra chitarra e piano
…una tregua non tra generi, ma tra aspettativa e abbandono. Accettarla significa entrare in un equilibrio fragile e luminoso, dove chitarra e pianoforte, tradizione e invenzione, rigore e immaginazione convivono, mentre la musica non si limita a parlare, ma piuttosto insegna una nuova lingua, una frase alla volta.
// Cinico Bertallot //
Nel della discografia contemporanea, in cui la categorizzazione per generi e la ricerca di immediatezza spesso prevalgono sull’esplorazione profonda del suono, «La Tregua» del Duo Reflections – formato dal chitarrista Leandro Lopez-Nussa e dal pianista Sylvain Rey – si distingue come un lavoro di rara coerenza estetica e concettuale. Non si tratta di una semplice raccolta di componimenti, bensì di un manifesto sonoro, un atto di fede nella possibilità che la musica possa ancora essere un linguaggio in divenire, capace di sfuggire alle etichette e di costruire un proprio lessico, intimo e universale, antico e futuribile.
Fin dai primi istanti dell’ascolto, si percepisce che i due artefici non si limitano a dialogare, ma che stanno inventando una grammatica comune. Le loro frasi musicali si sospendono nell’aria, i silenzi assumono la stessa dignità delle note e i ritmi si srotolano come cerimonie arcaiche. Dalla tradizione classica ereditano la misura, la capacità di scolpire il vuoto e di farne parte integrante della composizione. Dalle musiche del mondo attingono pulsazioni e colori: cadenze afro-latine, memorie mediterranee, inflessioni modali che si spingono verso l’Oriente. Dal jazz conservano l’inquietudine fertile, la propensione al rischio, la tensione verso l’improvvisazione come forma di conoscenza e non di virtuosismo. Sulla carta, l’incontro tra chitarra e pianoforte potrebbe apparire problematico: strumenti che condividono lo stesso spazio armonico, ma con caratteristiche timbriche e dinamiche profondamente diverse. Il pianoforte, strumento percussivo e imponente, rischia di sovrastare la voce più intima e fragile della chitarra. Eppure, Lopez-Nussa e Rey trasformano questa potenziale frizione in un punto di forza. Il conflitto si fa confronto e le contraddizione diventano complementarità. La chitarra si muove con disinvoltura tra ruoli diversi: ora protagonista, ora sfondo, ora eco interiore del pianoforte stesso. Il loro linguaggio musicale non nasce dal nulla, ma affonda le radici in un percorso condiviso. Già nel 2020 i due avevano collaborato su reinterpretazioni di standard jazz, ma «La Tregua» rappresenta un salto qualitativo e concettuale. Qui non vi è più alcun appiglio al repertorio: tutto è originale, costruito ex novo. Il risultato è una musica che coniuga ampiezza e rigore, groove sussurrati, armonie raffinate, improvvisazioni che sembrano tanto progettate quanto scoperte sul momento.
Le biografie dei due artisti contribuiscono in modo sostanziale alla fisionomia del progetto. Lopez-Nussa, nato a Bologna nel 1989 ma erede di una dinastia musicale cubana, ha respirato musica fin dall’infanzia. La sua formazione unisce l’approccio accademico – con studi in musicologia e jazz – alla vitalità istintiva delle tradizioni afro-cubane. Il suo suono riflette questa duplice anima: la precisione del mestiere europeo e il fuoco del ritmo caraibico. Rey, nato a Tolosa nel 1996, incarna invece una generazione di musicisti francesi cresciuti all’ombra del Festival Jazz di Marciac, crocevia di incontri tra giganti internazionali e talenti locali. Dopo gli studi al conservatorio di Agen e in musicologia a Tolosa, ha affinato la propria visione sotto la guida di maestri come Denis Badault e Jean-Marc Padovani. Il suo pianismo. pur esplorativo, risulta saldo, radicato nella tradizione e proiettato verso l’ignoto. La scelta di registrare l’album in un solo giorno, su un’unica bobina di nastro analogico e un microfono stereo, senza editing né sovraincisioni, sancisce una dichiarazione di intenti. Nessuna patina digitale, nessuna correzione postuma: ciò che si ascolta è esattamente riporta esattamente quanto è accaduto in studio. Ciascun respiro, esitazione o slancio viene conservato nella sua autenticità. Il risultato è un suono grezzo e immediato, ma al tempo stesso meditato, come uno schizzo che si rivela opera compiuta, quasi come un poema catturato nella sua prima stesura. «La Tregua» non si presta ad un ascolto facile. Richiede attenzione, tempo, disponibilità a entrare nella sua morfologia La scrittura appare densa, quasi letteraria, con un sottotesto poetico che attraversa l’intero lavoro. A tratti l’album assume una dimensione cinematografica, come un lento carrello che svela paesaggi interiori. Altrove risulta più pittorico, con armonie stese come pennellate. Talvolta si mostra scultoreo, modellando il silenzio e la durata in forme sonore. L’improvvisazione non costituisce mai ornamento, ma sempre struttura, narrazione e disciplina.
Le immagini evocate sono altrettanto potenti: quasi un orologio che scandisce il tempo, in «Aube», con inesorabile delicatezza, mentre la natura si riappropria della città, come in «Juan & John»; quindi, tra le note della title-track, «La Tregua», un ruscello che attraversa il bosco percuotendo le pietre a tempo. E poi, all’improvviso, un’eco di canzone antica, che, fluttua sopra una piazza in «Zythum» o il fantasma di una fontana asciutta che parla più per assenza che per memoria, come emerge da «Fo’ Blue» e prosegue con «En las nubes». Basta intercettare le suggestioni di «For Karl» o di «L’ami de Rasputin», per comprendere che il disco non impone significati, ma li rende tutti possibili, a patto che l’ascoltatore sia disposto a chiudere gli occhi e lasciarsi guidare. Ciò che rende «La Tregua» davvero straordinario scaturisce dal suo rifiuto del compromesso. Non cerca etichette né mode, non ambisce all’accessibilità immediata né alla levigatezza commerciale, essendo il frutto di due artisti che si fidano l’uno dell’altro e che confidano nella capacità del pubblico di seguirli in territori inesplorati. Questa fiducia può essere ripagata, poiché ogni ascolto svela nuovi strati, dettagli impercettibili, vene di bellezza incastonate nella struttura stessa della musica. A conti fatti, «La Tregua» si sostanzia come una vera esperienza olistica riportata su disco, offrendo una tregua non tra generi, ma tra aspettativa e abbandono. Accettarla significa entrare in un equilibrio fragile e luminoso, dove chitarra e pianoforte, tradizione e invenzione, rigore e immaginazione convivono, mentre la musica non si limita a parlare, ma piuttosto insegna una nuova lingua, una frase alla volta.

