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Curtis Brothers

L’orientamento armonico di Luques Curtis si evidenzia secondo una ratio che coniuga rigore funzionale ed apertura modulare, delineando un impianto compositivo che si nutre di progressioni idiomatiche, sovrapposizioni ritmiche ed una gestione consapevole delle tensioni interne.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Nato nel 1983 a Hartford, Connecticut, Luques Curtis incarna una delle figure più versatili e tecnicamente raffinate del contrabbasso contemporaneo, capace di muoversi con disinvoltura tra le geometrie del jazz afroamericano e le articolazioni ritmiche della tradizione afro-caraibica. La sua formazione iniziale, fondata su studi pianistici e percussivi, ha contribuito a delineare una sensibilità ritmica ed armonica che si riflette nella sua prassi strumentale, sempre attenta alla costruzione del fraseggio e alla definizione del profilo acustico.

La frequentazione della Greater Hartford Academy Of Performing Arts, dell’Artist Collective e di Guakia ha permesso a Curtis di confrontarsi con maestri di solida formazione quali Dave Santoro, Volcan Orham, Nat Reeves e Paul Brown, e di approfondire, in seno all’insegnamento di Andy Gonzalez e Joe Santiago, le strutture idiomatiche della musica caraibica, con particolare attenzione alla funzione del basso come tessuto portante e come voce dialogica. Tale percorso ha trovato ulteriore compimento nella borsa di studio ottenuta presso il Berklee College Of Music, dove ha potuto affinare il proprio impianto tecnico sotto la guida di John Lockwood e Ron Mahdi, e dove ha avuto modo di collaborare con figure di rilievo quali Gary Burton, Ralph Peterson, Donald Harrison, Christian Scott e Francisco Mela. Trasferitosi nell’area metropolitana di New York, Curtis ha implementato una carriera concertistica e discografica di ampia portata, sostenendo con autorevolezza le architetture ritmiche di ensemble guidati da Eddie Palmieri, Stefon Harris, Sean Jones, Orrin Evans, Christian Sands ed altri interpreti di primo piano. La sua partecipazione ad oltre cento registrazioni testimonia una presenza costante e riconoscibile, capace di modulare la propria fisionomia sonora in funzione delle esigenze compositive e timbriche di ciascun progetto.

Nel solco di una visione musicale che coniuga rigore formale e apertura espressiva, Curtis ha co-fondato, insieme al fratello Zaccai, l’etichetta Truth Revolution Records, all’interno della quale ha curato produzioni che si distinguono per l’attenzione al dettaglio armonico e alla stratificazione ritmica. Curti sci tiene a precisare: «Il messaggio aspirazionale dell’etichetta Truth Revolution significa essere una mente libera, fare qualcosa di musicalmente o spiritualmente positivo. Questo è il nostro obiettivo». Le pubblicazioni sotto la sigla «Curtis Brothers» – tra cui «Algorithm» e «Syzygy» – delineano un impianto compositivo che si nutre di contrappunti culturali e di una scrittura che sa far dialogare tradizione e innovazione. La sua presenza in album come «Simpatico» di Brian Lynch (vincitore di Grammy), «Madera Latino», «Rewind That» di Christian Scott, «Entre Colegas» di Andy Gonzalez, «Sabiduria» e «Mi Luz Mayor» di Eddie Palmieri, «Next Generations» di Gary Burton, «Come Fly With Me» di Dave Valentin, e «Faith In Action» di Orrin Evans, rivela una capacità interpretativa che si connota per precisione ritmica, profondità armonica ed una costante tensione verso la costruzione di un ambiente sonoro coerente e stratificato. La sua nomina come «Rising Star Bassist» nel sondaggio dei critici di Down Beat nel 2016, ed il conferimento della Ralph Bunche Fellowship per il completamento del Master presso la Mason Gross School Of The Arts, suggellano un percorso che si distingue per rigore, inventiva ed una continua ricerca di equilibrio tra struttura ed espressione. Curtis non si limita a sostenere la linea del basso: ne fa un luogo di articolazione narrativa, un punto di convergenza tra gesto ritmico e pensiero armonico.

Luques Curtis, nella sua formazione e nella sua prassi musicale, rimanda ad una genealogia di contrabbassisti africano-americani che hanno ridefinito il ruolo dello strumento nel jazz postbellico, non solo in termini tecnici, ma anche come veicolo di identità culturale e di articolazione narrativa. I riferimenti impliciti e le affinità stilistiche che si possono rintracciare nel suo approccio suggeriscono una profonda assimilazione di modelli quali Paul Chambers, Ray Brown, Ron Carter e Andy González, ciascuno portatore di una visione distinta e complementare. Paul Chambers, con la sua linea melodica fluida e la capacità di sostenere la struttura armonica con una cantabilità quasi vocale, rappresenta un punto di partenza imprescindibile per chi, come Curtis, articola il basso come voce interna del discorso musicale. La sua presenza nei gruppi di Miles Davis e Coltrane ha tracciato un ordine interno che Curtis sembra evocare, soprattutto nella gestione del tempo e nella costruzione del fraseggio. Ray Brown, invece, offre un modello di precisione ritmica e di eleganza formale, particolarmente evidente nelle collaborazioni cameristiche. Curtis ne riprende la chiarezza esecutiva e l’attitudine nel delineare un profilo acustico netto, in grado di sostenere e al tempo stesso dialogare con le altre voci dell’ensemble. Ron Carter, con la sua scrittura mobile e la predilezione per le strutture accordali aperte, ha influenzato una generazione di strumentisti orientati alla sperimentazione formale. Curtis, pur mantenendo una radice idiomatica più legata alla tradizione afro-caraibica, mostra una simile inclinazione alla modulazione e alla rarefazione timbrica, soprattutto nei contesti più contemporanei. Andy González rappresenta per Curtis un riferimento diretto e dichiarato. La sua padronanza del linguaggio afro-cubano, la versatilità nel fondere classicità ed innovazione, e la funzione del contrabbasso come tessuto ritmico e narrativo, costituiscono elementi che Curtis ha interiorizzato e rielaborato con sensibilità e rigore. La produzione discografica di Curtis, in particolare quella legata ai Curtis Brothers e all’etichetta Truth Revolution Records, testimonia una continuità con l’approccio di González, ma anche una volontà di espandere il vocabolario ritmico e armonico verso territori più sincretici. «Studiare con Andy González mi ha cambiato la vita. Non era solo questione di note, ma di capire il significato culturale del ritmo», dice il contrabbassista. In effetti, Curtis non si limita a citare o ad emulare, ma fa affiorare, nel suo gesto musicale, una pluralità di modelli che si sovrappongono e si fondono, delineando una fisionomia sonora che si colloca nel solco della tradizione afroamericana, ma che si apre a una scrittura compositiva stratificata, consapevole e in costante evoluzione. Le parole del contrabbassista appaiono alquanto eloquenti: «Penso che la nostra capacità di combinare suoni diversi in qualcosa di nostro -benedetta dagli anziani, si potrebbe dire- sia unica».

Nel tracciato formativo e nella prassi musicale di Luques Curtis, l’ascendenza europea non si manifesta in modo esplicito quanto quella afroamericana e caraibica, tuttavia si possono rintracciare affinità stilistiche e convergenze idiomatiche con alcuni modelli europei, soprattutto in ambito armonico e nella concezione del contrabbasso come strumento compositivo. La scuola francese, ad esempio, con figure come Jean-François Jenny-Clark, ha delineato un approccio al contrabbasso che privilegia la rarefazione timbrica, la mobilità armonica ed una scrittura che si nutre di silenzi, sospensioni e geometrie interiori. In Curtis si avverte una sensibilità affine, soprattutto nella capacità di modulare il colore sonoro e di articolare la linea del basso come spazio di riflessione e di tensione formale, piuttosto che come semplice fondamento ritmico. La tradizione britannica, con Dave Holland come figura cardine, ha introdotto una concezione del contrabbasso che fonde rigore tecnico ed apertura espressiva, con una propensione per le strutture poliritmiche e per l’interazione dialogica all’interno dell’ensemble. Curtis, pur muovendosi in un contesto idiomatico differente, mostra una simile inclinazione alla costruzione modulare e alla stratificazione ritmica, soprattutto nei progetti più sincretici come quelli dei Curtis Brothers. In ambito tedesco, la lezione di Eberhard Weber ha tracciato una via più lirica e atmosferica, dove il contrabbasso si fa veicolo di astrazione e di paesaggio sonoro. Sebbene Curtis mantenga una radice più idiomatica e pulsante, si possono rintracciare analogie nella gestione dello spazio acustico e nella capacità di far emergere una fisionomia timbrica che si colloca al confine tra sostegno ed invenzione. Le divergenze si situano principalmente nella funzione culturale dello strumento. Mentre i modelli europei tendono ad esplorare il contrabbasso come luogo di astrazione, di rarefazione e di sperimentazione timbrica, Curtis lo impiega come tessuto narrativo, come voce che affonda le radici nella tradizioni a lui più contigue ed affini (americana e centro-americana), ma che sa aprirsi a contaminazioni ed a geometrie più ampie. La sua scrittura non si rifà direttamente ai modelli europei, bensì li assorbe, li trasforma e li integra in un impianto compositivo che si connota per fluidità, rigore ed una costante tensione verso la sintesi. Curtis non cita, ma rielabora e non emula, ma dialoga, con una consapevolezza che trascende le appartenenze geografiche, per farsi linguaggio, indagine e costruzione.

Luques Curtis & Eddie Palmieri

Nel panorama italiano contemporaneo, alcuni contrabbassisti mostrano tratti che, pur non sovrapponendosi direttamente alla fisionomia musicale di Luques Curtis, ne evocano talune affinità sintattiche, mentre altri se ne distanziano per impianto formale, per vocazione estetica o per radicamento culturale. Tra le figure che si collocano in una zona di prossimità stilistica, si può citare Giovanni Tommaso, la cui lunga traiettoria ha saputo coniugare una profonda conoscenza della tradizione afroamericana con una sensibilità europea, capace di modulare il contrabbasso come dispositivo poetico e narrativo. Tommaso, pur appartenendo a una generazione precedente, ha delineato un approccio polimetrico e armonicamente mobile, che trova risonanza nella scrittura di Curtis, soprattutto nella capacità di far dialogare idiomi differenti senza mai appiattirli. Più vicini per anagrafe e per contesto operativo, Luca Bulgarelli e Paolino Dalla Porta offrono esempi di una prassi contrabbassistica che, pur radicata nella tradizione jazzistica, si apre a contaminazioni con la musica colta, la sperimentazione timbrica e la scrittura modulare. Bulgarelli, in particolare, mostra un interesse per la costruzione di ambienti sonori multistrato, dove il contrabbasso assume una funzione di tessitura e di articolazione interna, piuttosto che di semplice sostegno. Dalla Porta, invece, si distingue per una ricerca timbrica che si avvicina alla rarefazione europea, con una dinamica che tende al dettaglio acustico ed alla sospensione armonica. Divergono invece da Curtis quei contrabbassisti italiani che agiscono in ambiti più cameristici o sperimentali, come Danilo Gallo o Federico Marchesano, la cui prassi si connota per una tensione verso l’astrazione, la destrutturazione formale e la contaminazione con linguaggi extramusicali. In questi casi, il contrabbasso si fa luogo di esplorazione timbrica e di gesto performativo, piuttosto che di sintesi idiomatica o di costruzione ritmica. I modelli italiani, pur mostrando una solida formazione e una sensibilità compositiva, si collocano spesso in un contesto più europeo, dove il contrabbasso tende a farsi voce lirica, ambiente sonoro o dispositivo timbrico, piuttosto che motore ritmico o tessuto lessicale. A conti fatti, le affinità si rintracciano nella padronanza tecnica, nella consapevolezza formale e nella capacità di articolare una voce personale; le divergenze emergono nella funzione culturale dello strumento, nella scelta delle fonti espressive e nell’elaborazione del profilo compositivo. Curtis plasma il contrabbasso come luogo di sintesi ritmica tra passato e futuro; molti italiani lo impiegano come spazio di riflessione timbrica e di astrazione poetica.

L’orientamento armonico di Luques Curtis si evidenzia secondo una ratio che coniuga rigore funzionale ed apertura modulare, delineando un impianto compositivo che si nutre di progressioni idiomatiche, sovrapposizioni ritmiche ed una gestione consapevole delle tensioni interne. La sua prassi non si limita a sostenere le fondamenta tonali, ma piuttosto le plasma, le devia e le rielabora, facendo del contrabbasso un agente armonico mobile, atto a suggerire direzioni e ad articolare risposte. Nel contesto afro-caraibico, Curtis impiega il basso come tessuto ritmico ed accordale, modulando le relazioni tra tonica, dominante e subdominante secondo una grammatica che rimanda alla tradizione montuna e alla clave, ma che sa aprirsi ad interpolazioni jazzistiche ed a deviazioni modali. La sua frequentazione con figure come Eddie Palmieri e Andy González ha affinato una sensibilità che si sposta nell’alveo della tradizione, ma che sa sfruttare le ambiguità armoniche per costruire ambienti sonori stratificati. In ambito jazzistico, Curtis estrinseca un’attitudine per le progressioni cromatiche e per le modulazioni non risolutive, impiegando il contrabbasso come vettore di instabilità controllata. La sua scrittura si connota per l’uso di sostituzioni tritoniche, di accordi quartali e di sovrapposizioni policordali, soprattutto nei progetti più sincretici come quelli dei Curtis Brothers. In «Algorithm», ad esempio, si avverte una tensione costante tra struttura e deviazione, tra impianto funzionale e apertura modale, dove il basso non si limita a sostenere, bensì a suggerire e a destabilizzare. Sostanzialmente, egli non adotta un approccio armonico lineare, bensì preferisce dare forma ad un ordine interno che si sorregge su relazioni dinamiche, su incastri ritmici e su una gestione del colore sonoro che varia in funzione del contesto. La sua capacità di dialogare con pianisti e fiati si fonda su una comprensione millimetrica delle funzioni armoniche, ma perfino su una sensibilità che gli consente di anticipare, di deviare e di ricomporre. In definitiva, Curtis si orienta secondo una grammatica che non è mai rigida, bensì articolata, consapevole ed in costante evoluzione. Il suo contrabbasso non si limita a delineare la struttura, ma la modella, la interroga, la fa vibrare, sulla scorta di una visione armonica germinativa e mai ornamentale.

Nel corpus discografico di Luques Curtis, si distinguono alcune pagine musicali che ne evidenziano con chiarezza la fisionomia sonora, la postura armonica e la sua versatilità nell’interagire con interlocutori di diversa provenienza culturale. Alcuni album, in particolare, si impongono come snodi significativi, ciascuno portatore di una visione compositiva e relazionale distinta. «Algorithm» dei Curtis Brothers pubblicato sotto l’etichetta Truth Revolution Records, rappresenta una sintesi tra scrittura afro-caraibica e linguaggio jazzistico contemporaneo. Il contenuto strumentale si svolge attorno ad un impianto ritmico verticale, dove il contrabbasso di Curtis non si limita a sostenere, bensì plasma le relazioni armoniche mediante progressioni modali, sostituzioni tritoniche e sovrapposizioni policordali. L’interpaly con il fratello Zaccai al pianoforte genera un tessuto contrappuntistico che si nutre di tensioni interne e di deviazioni metriche, mentre gli ospiti – tra cui Ralph Peterson e Donald Harrison – contribuiscono a produrre un’opulenza espressiva che non si risolve mai in mera esposizione tematica. Le parole del contrabbassista appaiono piuttosto esaustive: «Ho sempre cercato di imparare dai grandi, ma anche di trovare la mia voce. Non basta suonare bene: bisogna sapere perché si suona». Nel caso di «Simpático» di Brian Lynch & Eddie Palmieri, Curtis si accasa in un impianto compositivo che fonde jazz e salsa con una scrittura orchestrale di ampio respiro. Il contrabbasso assume una funzione di tessitura ritmica ed armonica, sostenuto da un ensemble che include fiati, percussioni e pianoforte. La relazione con Palmieri appare fondata su una comprensione accurata della grammatica montuna e della clave, mentre con Lynch s’intavola un discorso più jazzistico, fatto di modulazioni e di incastri accordali. Curtis si distingue per l’abilità nel far vibrare le fondamenta tonali, suggerendo direzioni ed individuando risposte. In «Mi Luz Mayor» di Eddie Palmieri, Curtis si agisce all’interno di un impianto orchestrale che richiama la tradizione delle grandi formazioni latin jazz. Il contenuto strumentale risulta ricco di sovrapposizioni ritmiche, con una sezione fiati che si annoda costantemente alla base armonica. Il contrabbasso si connota per un’agilità solida e variegata, all’altezza di sostenere la pulsazione senza mai appiattirla. La relazione con Palmieri si appoggia su una compliance ortografica, dove la funzione armonica del basso si avvita alla scrittura pianistica in un continuo gioco di tensione e rilascio. Per «Faith in Action» di Orrin Evans il contrabbassista si confronta con una scrittura più astratta e modulare, dove il il suo strumento assume una funzione di equilibrio timbrico e di articolazione interna. Il contenuto accordale si nutre di progressioni non risolutive, di spazi sospesi e di deviazioni modali. La relazione con Evans si risolve sulla scorta di una visione condivisa della forma come processo, dove ogni intervento strumentale contribuisce a un’elaborazione collettiva. Dal canto suo, Curtis modella il basso come voce riflessiva, capace di suggerire e di destabilizzare. «Roots» di Sean Jones si distingue per una partitura che coniuga tradizione afroamericana ed apertura espressiva. Il contrabbasso di Curtis si articola in un impianto ritmico preciso, ma mai rigido, capace di sorreggere la linea melodica e di suggerire le deviazioni armoniche. La relazione con Jones è frutto di una comprensione condivisa della funzione narrativa del suono, dove ogni fraseggio s’interseca in un disegno musicale ampio e coerente, in cui Curtis usa il basso come luogo di sintesi e dove la pulsazione si fa gesto e la struttura si fa racconto.

Queste parole racchiudono l’essenza del processo evolutivo di Luques: «Passare da sideman a leader è stato difficile. All’inizio sembravo riluttante, ma poi ho sentito che era il momento di raccontare qualcosa di mio». Infatti Curtis, pur essendo noto soprattutto per la sua attività come sideman e co-leader, ha inciso molti dischi in cui assume un ruolo centrale nella direzione artistica e nella costruzione formale. Sebbene non si presenti spesso come band-leader in senso stretto, il suo lavoro all’interno dei Curtis Brothers – progetto condiviso con il fratello Zaccai – rappresenta una vera e propria espressione autoriale, dove la sua voce musicale si articola con piena autonomia. In «Completion Of Proof» dei Curtis Brothers, Luques si muove all’interno di un impianto compositivo che coniuga jazz afroamericano, tradizione caraibica e scrittura orchestrale. Il contrabbasso assume una funzione di regista armonico, predisposto a tracciare deviazioni e portare risposte concrete nell’elaborato di famiglia. La relazione con gli altri strumentisti si sostanzia sulla base di una visione condivisa della forma come processo, dove ogni intervento s’innesta in un disegno modulare e polimaterico. «Blood, Spirit, Land, Water, Freedom» dei Curtis Brothers, costituisce un episodio sonoro che si evidenzia la sua vocazione narrativa e per la naturale attitudine a far conversare linguaggi differenti. Curtis impiega il contrabbasso come telaio ritmico e come voce interiore, versata nell’evocazione di paesaggi culturali e tensioni storiche. Il modus agendi si estrinseca in sezioni che alternano pulsazione e sospensione, con una gestione armonica che privilegia la mobilità e la stratificazione. «A Genesis» degli Insight (con Zaccai Curtis), pur essendo un progetto condiviso, Curtis assume una funzione di guida nel tracciamento del profilo compositivo. Il contenuto strumentale propone un impianto jazzistico con aperture verso il latin jazz e la fusion, dove il contrabbasso si staglia per precisione ritmica e per una regola d’ingaggio che sa farsi lirica senza perdere incisività. In ciascuna di queste opere, – brevemente descritte – Curtis non si limita a dirigere o coadiuvare, ma compone, plasma e suggerisce. La sua presenza non è mai un orpello esteriore o estetico, ma assume sistematicamente un ruolo germinativo, alimentato da rigore ed immaginazione.

Luques Curtis
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