George Gershwin am Fl¸gel

George Gershwin

Il 25 e 26 settembre scorsi si à svolto all’Università IULM di Milano un fondamentale convegno sul Compositore George Gershwin (1898-1937), il quale come si sa rappresenta l’anello di congiunzione tra pop, classica e jazz. Spiegando le ragioni di tale convegno di studi (fra l’altro, il primo sinora organizzato in Italia), l’organizzatore Professor Luca Cerchiari risponde: «Non ci sono anniversari relativi a questo celebre pianista e compositore statunitense, nato a New York nel 1898 da una coppia di russi sfuggiti alle persecuzioni anti-ebraiche e morto prematuramente a Los Angeles, ancora molto giovane, nel 1937. Non ci sono ricorrenze. C’è invece il desiderio di far luce, grazie al concorso di alcuni dei maggiori specialisti internazionali, sulla personalità complessa e multiforme di uno dei maggiori protagonisti della musica e dello spettacolo del secolo scorso».

Cerchiari rimarca inoltre che il contributo di Gershwin alla cultura del Novecento non si limita alla musica, ma ad essa di certo lavora irrefrenabilmente, tra entusiasmi sinceri e slanci creativi in grado di superare le supposte barriere fra i generi: «Alla ricerca di una sorta di ‘musica totale’, capace anche di identificare quella identità nazionale che negli anni Venti statunitensi appariva una urgenza alla quale dedicarsi con una energia pari a quella del ritmo trascinante ed effervescente del jazz. Proprio il jazz, la novità che in quel decennio trova ampia eco anche nella letteratura, nel teatro e nel cinema, resta un punto fermo nell’incredibile parabola ascensionale della sua carriera, divisa tra il lavoro di song-plugger, quello di autore di canzoni di successo e di insuperata ricchezza melodico-armonica per i musical di Broadway, e ancora quello di ambizioso autore di opere orchestrali e di teatro musicale, di compositore per il cinema, di concertista, di autore radiofonico, di autore brillante di scritti sulla musica, di editore musicale».

Ancor oggi il nome di Gerswhin è molto conosciuto in Italia, ma la vastissima produzione musicale e le numerose attività parallele lo sono molto meno, ragion per cui è questo il senso del Convegno: (…) mettere in luce da un lato i molti aspetti della sua creatività sonora, a partire da quella di compositore per il palcoscenico. Gershwin ha scritto le musiche per oltre venti commedie musicali, ma nessuna di queste, per vari motivi, all’epoca è mai arrivata nel nostro Paese. Sono arrivate le canzoni, che ne erano l’asse portante, ma non gli spettacoli, ed anche per questo William Everett si sofferma su Lady, Be Good!, forse il suo musical più celebre, anche per la presenza dei danzatori Fred e Adele Astaire, mentre Ian Sapiro, parlando di Girl Crazy, si addentra nei complessi meccanismi che presiedono alla sua edizione critica. Del resto l’edizione critica di tutta l’opera di Gershwin è in corso di realizzazione da qualche anno a cura dell’Università del Michigan, e infatti Cerchiari sottolinea: «(…) il Convegno è orgoglioso di presentarne alcuni risultati, a partire dalle ricerche di Jacob Kerzner sull’Archivio del compositore. Se Gershwin è stato uno dei grandi autori della canzone del Novecento, questo è dovuto anche al concorso delle liriche di suo fratello Ira, divenuto, lavorando intensamente con lui, uno dei maggiori parolieri del Novecento (è il tema dell’intervento di Gilbert Gigliotti). La canzone di Gershwin, d’altra parte, è venuta definendosi anche nel suo complesso rapporto col jazz, dal quale è stato influenzato (di questo riferisce Riccardo Scivales, in rapporto ai brani pianistici), e che a sua volta ha ampiamente influenzato con la composizione di temi poi divenuti standard di questo genere. Come illustra la relazione di Luca Cerchiari, il jazz ha persino recepito la Rhapsody in Blue, una delle sue composizioni per orchestra. Di una delle altre, il Concerto in Fa, tratta Cesare Fertonani, che si addentra in un ulteriore aspetto della musica di Gershwin, quello del rapporto con la tradizione colta e i suoi esponenti (della singolare amicizia con uno di questi, Arnold Schönberg, fa luce a sua volta Alessandro Carrera)».

C’è ancora molto da scoprire: «Influenzato – conclude Cerchiari – anche da fonti ebraiche (è il tema della relazione di Howard Pollack, il maggior biografo del compositore newyorkese), George Gershwin, uomo dai mille interessi (anche per la pittura, come ci riferisce Olivia Mattis), ha sviluppato anche una ricerca sul concetto di folklore, in una relazione sinora inedita col cugino Benjamin A. Botkin della quale ci parla Anna Harwell Celenza. E del popolare, ma inteso in senso sociologico e mass-mediale, è stato protagonista anche nel suo rapporto finale col cinema, oggetto degli interventi di Todd Decker e Guido Michelone. Il lascito di Gershwin è vastissimo. Ne sono una testimonianza anche i suoi brani recepiti dalla musica pop (un lungo elenco di temi e di interpreti, selezionati da Valentina Voto); è un lascito che ci dà modo anche di disquisire di aspetti autoriali e di copyright, come ci propone l’originale relazione di Giuseppe Rossi».

Ora, anziché recensire le relazioni del convegno così come si sono svolte da programma, occorre tentare una ricostruzione ideale del macrocosmo di Gershwin lavorando per temi: ecco dunque una quadro storico generale (Jacob Kerzner), il ruolo di parentele e amicizie (Anna Harwell Celenza, William A. Everett, Alessandro Carrera), lo studio di tre capolavori (Luca Cerchiari, Cesare Fertonani, Ian Sapiro), alcune fonti e ispirazioni (Riccardo Scivales, Howard Pollack, Gilbert L. Gigliotti, Valentina Voto), il rapporto con le arti visive (Guido Michelone, Todd Decker, Olivia Mattis) e la questione dei diritti d’autore o copyright (Giuseppe Rossi)

1 Jacob Kerzner, Da «songplugger» a vincitore di un Pulitzer: come studiare l’Archivio Gershwin per tracciare la sua ascesa alla notorietà. Incaricato di pubblicare tutto ciò che è rimasto della produzione teatrale dei Gershwin, il team editoriale di The George and Ira Gershwin Critical Edition (Mark Clague, caporedattore; Andrew S. Kohler, direttore editoriale; Jacob Kerzner, redattore associato) deve affrontare il problema della disorganica conservazione dei testi degli spettacoli di primi anni di Broadway. Per questa tipologia di opere, gli approcci tradizionali alla revisione critica non sempre funzionano e dobbiamo mettere in discussione gli standard di urtext (archetipo), paternità e intervento. Ad esempio, i prossimi volumi dedicati a due dei primi musical completi di George, La, La, Lucille (1919) e Sweet Little Devil (1924), si basano sulle tournée degli spettacoli piuttosto che sulle produzioni originali, poiché questi sono i materiali disponibili in forma completa. L’ambiziosa opera romantica del 1925 Song of the Flame, pubblicizzata come «una compagnia illustre di duecento persone» a New York, fu successivamente prodotta e rivista sotto la supervisione di Oscar Hammerstein II per il St. Louis Municipal Opera Theatre. Poco dopo la prima a Broadway nel 1931 di Of Thee I Sing, vincitore del Premio Pulitzer, un articolo anonimo (che lo studioso di Gershwin Wayne Kaufman Schneider considera «quasi una fonte primaria») afferma che «il primo posto nella lista delle arti malleabili spetta alla scrittura di una commedia musicale, che non è considerata adatta al palcoscenico legittimo finché non è stata rivista almeno una volta, preferibilmente durante le prove finali». («The New York Times», 10 gennaio 1932). Tracciando i recenti progressi della Gershwin Initiative verso il restauro di tali musical di Broadway, il mio contributo vuole mostrare come queste lacune nella documentazione accademica forniscano un quadro più chiaro degli esordi della carriera di George Gershwin e come il processo editoriale sia stato influenzato dalla definizione della commedia musicale come «arte malleabile».

2 Anna Harwell Celenza, Gershwin e suo cugino Benjamin. A. Botkin: l’idea di una musica «folk» americana. Questo contributo intende presentare agli studiosi di George Gershwin una figura trascurata ma fondamentale nella cerchia intellettuale e artistica del compositore americano: suo cugino minore B.A. Botkin. Benjamin A. Botkin (1901-1975) era un affermato folklorista e antropologo il cui lavoro pionieristico sulla cultura popolare americana offre una nuova prospettiva sull’evoluzione dell’impegno di Gershwin nei confronti delle tradizioni locali. Mentre i prestiti di Gershwin dal jazz e dal blues sono stati a lungo studiati, l’influenza di Botkin sulla concezione di «folk» di suo cugino non ha ricevuto praticamente alcuna attenzione da parte degli studiosi. Questa relazione fornirà innanzitutto una breve panoramica del background accademico di Botkin, dai suoi studi di inglese e letteratura comparata ad Harvard alla sua formazione dottorale in folklore presso la University of Nebraska e alla successiva presidenza al dipartimento Federal Writers’ Project folklore. Il contributo analizzerà poi il rapporto tra Botkin e Gershwin negli anni Venti, evidenziando come l’interesse di Gershwin per le culture americane sia stato influenzato dall’approccio pluralistico di Botkin. Basandosi su lettere e scritti di Botkin, si mostrerà come la sua visione del folklore abbia inciso sulla prospettiva di Gershwin. Questa influenza diventa particolarmente evidente nella Cuban Overture (1932) e in Porgy and Bess (1935) di Gershwin. Esaminando la posizione di Botkin, secondo cui le culture popolari non devono essere considerate come curiosità, ma come espressioni viventi e in continua evoluzione dell’identità comunitaria, questo contributo vuole sostenere la tesi che l’incorporazione rispettosa dei ritmi afro-caraibici nella Cuban Overture e la rappresentazione sfumata della vita afroamericana in Porgy and Bess da parte di Gershwin riflettono più di una semplice sperimentazione estetica: rivelano infatti un’affinità intellettuale con la filosofia etnografica progressista di Botkin. In definitiva, questo studio invita gli esperti di Gershwin a riconsiderare l’approccio del compositore al materiale popolare non solo attraverso la lente dell’innovazione musicale, ma anche come parte di un dialogo più ampio con il pensiero folkloristico contemporaneo, espresso con chiarezza dall’opera di suo cugino.

3 William A. Everett, Parenti famosi: i Gershwin, gli Astaire e Lady, Be Good!. Il 1° dicembre 1924 debuttò a Broadway Lady, Be Good!. Il musical occupa un posto di rilievo negli annali del teatro musicale in quanto è il primo per il quale George Gershwin ha scritto la musica e Ira Gershwin le liriche. I Gershwin non erano gli unici fratelli presenti nella produzione, poiché il musical era inteso innanzitutto come veicolo per i ballerini Adele e Fred Astaire. Gli Astaire erano diventati delle celebrità a Londra con Stop Flirting, e Lady, Be Good! avrebbe dovuto annunciare il loro ritorno a New York e farli diventare delle star a Broadway, cosa che avvenne. Questo contributo esaminerà gli aspetti dello sviluppo di Lady, Be Good! durante l’estate del 1924, quando gli Astaire e George Gershwin si trovavano a Londra, quindi il modo in cui lo spettacolo funzionava come veicolo per le star grazie alla sua drammaturgia musicale e infine la sua prima accoglienza. Verranno inoltre illustrati i ruoli distintivi del cantante Cliff Edwards («Ukulele Ike») e del duo dei pianisti Victor Arden e Phil Ohman nell’esecuzione dell’effervescente componente musicale dello spettacolo.

4 Alessandro Carrera, La breve e intensa amicizia tra George Gershwin e Arnold Schönberg. Nel 1923, George e Ira Gershwin assistettero insieme un’esecuzione del Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg negli Stati Uniti. Per George Gershwin, quello fu l’inizio di una lunga passione per le opere di un compositore «difficile», che tuttavia considerava un maestro. Dieci anni dopo, quando Schönberg giunse negli Stati Uniti come rifugiato dalla Germania nazista, Gershwin cercò di istituire un fondo di borse di studio affinché Schönberg potesse avere studenti al Malkin Conservatoire di Boston. L’idea non ebbe seguito, ma fu l’inizio di un’amicizia che si consolidò quando entrambi si trasferirono a Los Angeles e divennero vicini di casa. Schönberg, che, come Gershwin, era un appassionato tennista, divenne un habitué dei party tennistici organizzati da Gershwin a Brentwood. Ma non fu solo il tennis a unirli. Schönberg, che nei suoi primi anni scrisse canzoni complesse e che non ebbero successo, poneva Gershwin sullo stesso piano di Johann Strauss, Jacques Offenbach e Franz Lehár, che considerava i più grandi compositori di «popular music». Gershwin era affascinato dall’audacia contrappuntistica delle opere di Schönberg e progettava di scrivere un quartetto per archi. La sua prematura scomparsa di pose fine ai suoi progetti, e Schönberg pianse la scomparsa di un amico e di un compositore che ammirava in due toccanti elogi funebri.

5 Luca Cerchiari, Non era un jazzista. Gershwin, la musica afro-americana e tre versioni jazz della Rhapsody in Blue. Nel 1924, a seguito dell’enorme successo arriso alla prima newyorkese della sua Rhapsody in Blue, George Gershwin è stato definito un grande musicista di jazz. Non lo era e non lo sarebbe diventato nemmeno dopo. Gershwin ha piuttosto assimilato tratti da vari generi afro-americani (ragtime, blues, spirituals), e incorporato nel suo stile alcuni aspetti minori del jazz. All’epoca, la confusione su cosa fosse il jazz era notevole, e da qui una serie di incomprensioni che sarebbero divenute oggetto di una prima riflessione teorica da pate della neonata critica jazz (europea). D’altra parte, una ventina delle più belle canzoni di Gershwin sono divenute parte essenziale del repertorio del jazz (a mio giudizio, soprattutto per le loro qualità melodiche e armoniche, di matrice europea, più che per i loro aspetti ritmici). Invece di focalizzarsi sulle quasi infinite interpretazioni jazz del songbook gershwiniano, la mia relazione analizza tre fra le quasi duecento versioni di una sua composizione estesa, la Rhapsody in Blue (vedi www.secondhandsongs.com): quelle particolarmente significative di Sammy Price e Doc Cheatman (1958), di Neal Hefti (1957) e di Duke Ellington (1962), un capolavoro senza tempo.

6 Cesare Fertonani, Forma ciclica e struttura narrativa nel Concerto in F di Gershwin. Il Concerto in F è una delle più importanti composizioni sinfoniche di George Gershwin, in cui l’autore propone una propria versione, molto personale, del concerto per pianoforte e orchestra in sottile equilibrio fra tradizione e modernità. Nella concezione di questa ambiziosa partitura la ricerca di un’elevata coesione e integrazione, resa evidente dalla forma ciclica, appare in funzione di una spettacolare intenzionalità e strategia narrativa. Una trama di temi, segnali, elementi ritmici e armonici, percorsi e relazioni tonali, luoghi topici e gesti fortemente connotati percorre il concerto da cima a fondo e interagisce con le convenzioni strutturali, retoriche ed espressive del genere così da avvincere l’ascoltatore.

7 Ian Sapiro, «Look at What I’ve Got». Identificazione ed edizione critica di Girl Crazy (1930) Il musical Girl Crazy di Gershwin del 1930 lanciò la carriera di Ginger Rogers ed Ethel Merman, produsse due successi nella top-five già a pochi mesi dalla prima («Embraceable You» e «I Got Rhythm»), presentò un’orchestra di futuri direttori d’orchestra e fu adattato più volte per il cinema. Tuttavia, i materiali pubblicati esistenti contengono numerosi e significativi errori e incongruenze, al punto che in alcuni casi lo spettacolo sembra nascosto da qualche parte, al loro interno, piuttosto che rivelato dai testi pervenuti. Questa situazione è aggravata dall’incompletezza delle fonti archivistiche dello spettacolo, con nessuna partitura originale completa o parti strumentali sopravvissute, e alcune canzoni che non esistono nemmeno nelle versioni per pianoforte e voce scritte da George Gershwin. Questo contributo si basa sul mio attuale lavoro di creazione di un’edizione critica di Girl Crazy nell’ambito del progetto internazionale «The George and Ira Gershwin Critical Edition», per il quale ho raccolto materiale d’archivio e pubblicato per lo spettacolo da diverse biblioteche e archivi statunitensi. I brani musicali dello spettacolo sono utilizzati come case studies per rivelare alcune delle questioni relative alla revisione dell’opera e gli approcci adottati per cercare di identificare Girl Crazy così come Gershwin l’avrebbe ideata quando debuttò a Broadway quasi un secolo fa.

8 Riccardo Scivales, Lo stile pianistico di Gershwin, fonti «nere» e «bianche». Il presente contributo vuole descrivere il fecondo rapporto che Gershwin ebbe con le principali correnti pianistiche «bianche» e «nere» della musica popular del suo tempo, evidenziandone vari elementi che ebbero un ruolo decisivo nella formulazione del suo stile pianistico. Particolare attenzione è quindi rivolta ai generi «Popular Ragtime», «Stride Piano» e «Novelty Ragtime» e ad alcuni loro grandi esponenti, come Phil Ohman, Luckey Roberts, James P. Johnson e Willie «The Lion» Smith. Oltre all’importante tecnica nota come «secondary rag», vengono qui evidenziati alcuni pattern ritmici latinoamericani (tresillo, clave, ecc.) che furono anch’essi importanti nella formulazione del linguaggio gershwiniano. Al tempo stesso, viene analizzato il modo in cui Gershwin seppe sintetizzare e trascendere questi vari elementi, creando una miscela vincente e perfettamente dosata per riscuotere un successo durevole ed universale, al di fuori di ogni categoria stilistica.

9 Howard Pollack, George Gershwin e la musica ebraica. Tra le numerose tradizioni musicali assimilate da George Gershwin, la musica tradizionale e popolare ebraica caratteristica della New York dei primi del Novecento ha svolto un ruolo particolarmente significativo. Questa presentazione esplora il background ebraico di Gershwin, compreso il suo rapporto con il teatro yiddish e i legami tra la sua musica, il canto ebraico e le canzoni yiddish.

10 Gilbert L. Gigliotti, Versi per varie occasioni: l’Ars Poetica di Quintus Horatius Gershwin. Ira Gershwin, nel suo Lyrics on Several Occasions del 1959 (dal sottotitolo provocatorio A Selection of Stage and Screen Lyrics Written for Sundry Situations, and Now Arranged in Arbitrary Categories: to which Have Been Added Many Informative Annotations & Disquisitions on Their Why and Wherefore, Their Whom-for, Their How, and Matters Associative), quando descrive il suo approccio alla scrittura dei testi, ricorda in modo sorprendente l’Ars Poetica (Liber Epistularum II.iii) di Quinto Orazio Flacco, alias Orazio, poeta latino del I secolo a.C. Entrambi gli autori, che rispettivamente nel 1959 d.C. e nel 19 a.C. avevano già raggiunto grande fama e il massimo rispetto del pubblico, dei loro pari e dell’élite al potere, riflettono sulle competenze necessarie per scrivere un testo di successo, nonché sulle responsabilità che tutti gli autori hanno sia nei confronti della loro arte sia della società. In primo luogo, tanto Orazio quanto Gershwin sottolineano la priorità dell’armonia e della coerenza nel carattere e nella composizione. Ma, in aggiunta, ciascuno di essi prende atto dell’influenza che gli scrittori hanno sulla loro lingua (cioè, idiomi, arcaismi, neologismi); del loro rapporto – sia di debito sia di differenza – con i precedenti praticanti del loro genere; e del ruolo significativo che la loro arte poetica svolge nella più ampia cultura sociale e politica. Sottolineando le preoccupazioni e gli approcci simili di due importanti opere di critica poetica, separati da circa duemila anni, «L’Ars Poetica di Quinto Orazio Gershwin» mira a descrivere in dettaglio come i grandi testi siano necessariamente attuali e senza tempo.

11 Valentina Voto, I pop rhythm, I rock music. I songs di Gershwin nel repertorio pop-rock. Partendo dalle affermazioni di Susan Richardson nel suo contributo Gershwin on the Cover of Rolling Stone nel volume The Gershwin Style: New Looks at the Music of George Gershwin (a cura di Wayne Schneider, Oxford University Press, 1999), che sottolineano la natura popular di un musicista e compositore come Gershwin, quindi il legame intrinseco della sua opera con la popular music, il mio intervento si propone di presentare e analizzare alcuni esempi di cover realizzate e/o interpretate da noti artisti pop e rock. Si intende infatti ricollegare – e così in parte motivarne la genesi – all’alveo «popular» in cui si colloca la figura di Gershwin il gran numero di riletture di brani del suo repertorio in cui si sono cimentati artisti come Ray Charles e Peter Gabriel, Elton John e Janis Joplin, Willie Nelson e Sting, perfino di recente Lana del Rey, e molti altri ancora (particolare menzione verrà riservata alle operazioni compiute da parte dell’allora gotha del pop e del rock angloamericano nell’album del 1994 The Glory of Gershwin e da Brian Wilson nel suo Reimagines Gershwin del 2010). Indagate da un punto di vista storico-critico, con alcune note di analisi tecnico-musicale, le cover verranno lette alla luce del «dialogo duplice» che la rilettura del repertorio gershwiniano comporta, intendendolo da un lato come il misurarsi con «la quintessenza della musica americana» incarnata dal compositore e con ciò che ormai è divenuto «tradizione» (cosa che avviene e.g. in Gershwin Country, album di Michael Feinstein del 2022 con i nomi più noti della country music), quindi anche tornare circolarmente all’ambito popular da cui i suoi brani provengono, dall’altro come il confrontarsi più o meno apertamente con il jazz, con cui, a posteriori, la sua figura è arrivata a essere associata – e spesso anche confusa – anche a fronte della pletora di songs che, a firma sua e del fratello Ira, sono diventati standard del genere.

12 Guido Michelone, Gershwin al cinema. Biopic, musical e colonne sonore I rapporti tra il cinema e George Gershwin in vita risultano brevi, esigui, sporadici, per via della malattia che lo conduce alla morte proprio quando – arrivato a Hollywood da un paio d’anni – si sta affermando e ambientando nella «Mecca del Cinema» quale autore di tre partiture per altrettante commedie musicali. Tuttavia è assai più interessante soffermarsi su come la figura e soprattutto la musica dello stesso Gershwin venga utilizzata, post-mortem, nei film americani di ogni genere, dai cortometraggi ai lungometraggi di fiction, dai documentari fino ai recenti tributi o alle riprese di lavori teatrali. Infatti è importante rivelare quanto di gershwiniano vi sia nei molti film che utilizzano i song divenuti celeberrimi anche grazie al pop e la jazz. Paradossalmente, le pellicole dove maggiormente viene esaltato una sorta di umore o spirito gershwiniano sono le due girate quasi a ridosso della sua scomparsa ossia, rispettivamente sei e dodici anni dopo, Rapsodia in blu e Un americano a Parigi, che invece impiegano i due poemi «classici» quale plot espressivo, più che narrativo. E dunque grazie a una discreta, romanzata biopic, e a uno splendido moderno musical arrivano le testimonianze audiovisive della rappresentazione della musica di un genio dell’arte del Novecento: testimonianze che curiosamente resteranno opere a se stanti, senza seguito.

13 Todd Decker, «Hollywood è la mia esperienza più interessante». Gli undici mesi di Gershwin nello studio system. George Gershwin e suo fratello Ira si trasferirono a Los Angeles con grande clamore a metà agosto del 1936. I due si recarono nella costa occidentale per scrivere le canzoni per Shall We Dance, il settimo (di nove) musical con Fred Astaire e Ginger Rogers realizzati dalla RKO negli anni Trenta. Seguirono rapidamente altri due incarichi cinematografici: A Damsel in Distress (sempre con Astaire) alla RKO e The Goldwyn Follies, che George descrisse sarcasticamente come un «super, super, stupendo, colossale, straordinario spettacolo cinematografico». Questo intenso periodo di lavoro come autori di canzoni per il cinema lasciò i fratelli desiderosi di una vacanza. La morte prematura di George, avvenuta appena undici mesi dopo il loro arrivo a Hollywood, interruppe gli impegni professionali che stavano già pianificando di ridurre. Sia George sia Ira seguirono il processo di produzione di Shall We Dance il più da vicino possibile. (Ira portò persino a casa dei filmati di Astaire mentre girava un numero musicale). Ma nel contesto della Hollywood classica, i compositori non avevano voce in capitolo su come venivano utilizzate le loro canzoni. Tuttavia, George cercò di influenzare il contenuto di Shall We Dance. Alcune lettere rivelano il suo tentativo di aggiungere la sua voce al «genio del sistema [dello studio]» in modo simile a quanto faceva negli anni in cui componeva per i musical di Broadway, dove i compositori, a differenza di Hollywood, erano fondamentali per la riuscita del prodotto finale. Ciò che Gershwin trascurò, o probabilmente non gli interessava, era l’utilizzo del sistema per promuovere le parti dei suoi musical cinematografici che gli appartenevano, ossia le canzoni. Un breve confronto con Irving Berlin, maestro nello sfruttare il sistema degli studios per i propri fini, suggerisce come Gershwin, perfetto per Broadway, fosse invece un pesce fuor d’acqua a Hollywood.

14 Olivia Mattis, L’occhio del compositore: George Gershwin e l’arte moderna. George Gershwin – il leggendario compositore di An American in Paris, Rhapsody in Blue, The Man I Love, Porgy and Bess e molti altri brani – aveva un orecchio musicale raffinato. Ma il pubblico non sa che aveva anche un occhio attento, sia come collezionista d’arte sia come artista. Gershwin acquistò capolavori di Picasso, Modigliani, Chagall, Kandinskij e altri artisti moderni, e lui stesso realizzò dipinti, disegni e splendide fotografie, come il suo intenso Autoritratto con Irving Berlin. Molti compositori nel corso della storia hanno avuto il dono della sinestesia, ovvero vedevano dei particolari colori quando venivano suonati determinati suoni. Per il compositore francese Olivier Messiaen, una certa combinazione sonora gli appariva come «un arancione giallastro con una sfumatura rossastra». La leggenda del jazz Duke Ellington, compositore di Mood Indigo e Black and Tan Fantasy, definiva la sua band come la sua tavolozza e le sue esibizioni come dipinti. Come si inserisce George Gershwin in questa tradizione? In breve, quanto è «blu» la sua Rhapsody? Questo contributo vuole esplorare la dimensione visiva di Gershwin per aprire nuovi modi di pensare al compositore e ai suoi impulsi creativi.

15 Giuseppe Rossi, Who’s got Rhythm? Appunti su Gershwin, il concetto di autore e la proprietà intellettuale. Nonostante si dica che abbia sostenuto che il jazz, proprio come la vita, dà il meglio di sé quando si improvvisa, George Gershwin era, innanzitutto, un compositore. In un certo senso, egli incarna perfettamente la figura dell’autore, figura centrale nel sistema concettuale alla base della proprietà intellettuale. Allo stesso tempo, Gershwin attingeva apertamente da un’ampia gamma di fonti musicali, anche non scritte, come le improvvisazioni pianistiche di alcuni artisti neri, il blues e gli spiritual. Proprio come altre figure di spicco dell’epoca, probabilmente Gershwin credeva che il pieno valore di queste fonti potesse essere compreso meglio se gli impulsi eterogenei che esse fornivano (arricchiti da alcune interazioni con elementi provenienti dalla musica europea della fine dell’Ottocento), fossero stati rielaborati e messi su carta, seguendo il classico canone occidentale. Inoltre, sebbene fosse solitamente molto attento alla gestione dei diritti d’autore, Gershwin si affidava a collaboratori cui non veniva riconosciuto lo status di co-autori (come la sua relazione di lunga data Kay Swift, solo per citarne uno), per gli arrangiamenti, le trascrizioni e la scrittura di alcune parti strumentali. L’opera di Gershwin potrebbe dimostrare che la figura, centrale nella logica della proprietà intellettuale, del compositore-autore unico creatore di un’opera musicale potrebbe essere, semplicemente, irrealistica, poiché la musica può essere considerata assai di rado risultato del lavoro di una sola persona. Allo stesso tempo, l’opera di Gershwin sfida la distinzione, fondamentale nella proprietà intellettuale, tra ispirazione, opera derivata e plagio. Paradossalmente, il «Gershwin Estate» è stato tra i principali sostenitori delle riforme sull’estensione della durata del copyright negli Stati Uniti, sostenendo che l’estensione fosse necessaria per preservare la «purezza» dell’interpretazione di opere come Porgy and Bess, che è un esempio lampante di ibridazione musicale. Questo può indurre a supporre che la tutela della proprietà intellettuale sia eccessiva, ed abbia effetti negativi sulla libertà d’espressione e di interpretazione artistica, soprattutto dopo la morte dell’autore. D’altra parte, poiché il diritto esclusivo sulla musica è, fondamentalmente, limitato ad alcune melodie, molti aspetti che Gershwin ha «preso in prestito» da opere preesistenti, così come molti dei suoi contributi alla pratica successiva (come, ad esempio, il giro armonico noto come «rhythm changes»), semplicemente non sono tutelabili dal diritto d’autore. Pertanto, quando si tratta di musica, la proprietà intellettuale sembrerebbe basarsi su un equilibrio bizzarro tra la sopravvalutazione degli autori come creatori, da un lato, e la limitatezza dei diritti esclusivi che vengono loro attribuiti, dall’altro.

I relatori in ordine alfabetico

Carrera Alessandro è Direttore del Dipartimento di Lingue Moderne e Classiche dell’Università di Houston. Ha conseguito una laurea in filosofia presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi su Arnold Schönberg e un dottorato in Music, Media, and Humanities presso la University of Huddersfield (U.K.) con una tesi sulle categorie estetiche della popular music. Come studioso di musica ha pubblicato Musica e pubblico giovanile (1980, ed. ampliata 2014), La musica e la psiche (a cura di, 1984), La voce di Bob Dylan (2001, 3a ed. ampliata, 2021), Parole nel vento. I migliori saggi critici su Bob Dylan (a cura di, 2008), Music and Society in Italy (numero speciale di «Forum Italicum», Vol. 49, No. 2, 2015), La memoria delle canzoni. Musica popolare e identità italiana (a cura di, 2017), La ballata del Nobel. Bob Dylan a Stoccolma (2017), Filosofia del minimalismo (2018), Bob Dylan and the Arts (a cura di A. Carrera, Fabio Fantuzzi e Maria Anita Stefanelli, 2020), e Polvere di stelle. Dall’armonia delle sfere ai concerti negli stadi (2023). Fa parte del comitato editoriale di «The Dylan Review» e attualmente sta lavorando agli atti del convegno «The Lyric Writer» tenutosi presso l’Università IULM nel 2024, che saranno pubblicati su «Gradiva. International Journal of Italian Poetry» (autunno 2025).

Cerchiari Luca dirige il Master in «Editoria e produzione musicale» ed è Professore di «Storia della musica pop e jazz» presso l’Università IULM di Milano. Ha pubblicato e curato un centinaio di libri e articoli, alcuni editi in Europa e negli Stati Uniti. Prossimi libri: George Gershwin (Feltrinelli 2026) e The Cambridge Companion to Frank Sinatra (curatore con Gilbert L. Gigliotti, Cambridge University Press 2026).

Decker Todd è Professore «Paul Tietjens» di Musica, cinema e media della Washington University di St. Louis. Ha pubblicato cinque libri, tra cui il più recente Astaire By Numbers: Time & the Straight White Male Dancer, oltre a numerosi articoli e contributi sulla musica americana per il teatro e il cinema.

Everett William A. è Professore emerito di Musicologia presso l’University of Missouri-Kansas City Conservatory, dove ha tenuto corsi che vanno dalla musica medievale al teatro musicale americano. Ha all’attivo numerose pubblicazioni sul teatro musicale e su altri argomenti musicali ed è curatore di The Cambridge Companion to the Musical (con Paul R. Laird, 3° ed., 2017), The Palgrave Handbook of Musical Theatre Producers (con Laura MacDonald, 2017), e Intertextuality in Music: Dialogic Composition (con Violetta Kostka e Paulo F. de Castro, 2021). Il suo ultimo libro è The Year that Made the Musical: 1924 and the Glamour of Musical Theatre (Cambridge University Press, 2024). Attualmente è curatore della collana Cambridge «Elements in Musical Theatre», anch’essa pubblicata dalla Cambridge University Press, e insegna Storia della musica nel Master in «Editoria e Produzione Musicale» dell’Università IULM di Milano.

Fertonani Cesare è professore ordinario di Storia della musica e Musicologia all’Università degli Studi di Milano «La Statale». Ha concentrato i suoi interessi soprattutto sugli aspetti semantici, rappresentativi e narrativi della musica dal Settecento al Novecento. Tra le sue pubblicazioni ci sono i volumi La musica strumentale di Antonio Vivaldi (1998), La memoria del canto. Rielaborazioni liederistiche nella musica strumentale di Schubert (2005), «L’amerò, sarò incostante». Mozart e la voce del violino (2015), Giovanni De Santis, virtuoso di violino e compositore «napolitano» nella prima metà del Settecento (2021). Come critico musicale ha scritto per «Il Corriere della Sera» e «Amadeus» e collabora con «Music Paper».

Gigliotti Gilbert L. (Ph.D., The Catholic University of America, 1992) è Professore di Inglese e Latino e Preside ad interim del Carol A. Ammon College of Liberal Arts and Social Sciences presso la Central Connecticut State University di New Britain (CT), USA. Ha tenuto diversi corsi di Letteratura americana antica, Letteratura greca e romana antica in traduzione e Cultura popolare americana. È autore di A Storied Singer: Frank Sinatra as Literary Conceit, ed è curatore, insieme a Luca Cerchiari, di The Cambridge Companion to Frank Sinatra di prossima pubblicazione.

Harwell Celenza Anna è docente presso la Johns Hopkins University (Baltimora, USA), dove ricopre un doppio incarico presso The Writing Seminars (Krieger School of Arts & Sciences) e il dipartimento di Musicologia (Peabody Conservatory). Ha pubblicato vari libri accademici, tra cui Jazz Italian Style, from Its Origins in New Orleans to Fascist Italy and Sinatra (2017), The Cambridge Companion to George Gershwin (2019) e Music and Human Flourishing (2023). I suoi ultimi libri, On the Record: Music that Changed America (W.W. Norton) e George Gershwin: The Search for an American Sound (Reaktion), usciranno nel 2026.

Kerzner Jacob è assistente professore di Teatro alla Syracuse University, dove insegna canto, cabaret e storia del teatro musicale. È anche redattore associato della George and Ira Gershwin Critical Edition, dove dirige progetti come La, La, Lucille (1919), creando la prima ricostruzione filologica completa dello spettacolo a partire dai materiali d’archivio recentemente riscoperti, e Of Thee I Sing (1931). Dopo gli studi al Royal Conservatoire of Scotland, all’Ithaca College e al Bard College at Simon’s Rock, ha al suo attivo la ripresa teatrale a Broadway nel 2019 di Oklahoma!, l’anteprima canadese di Hadestown e la prima produzione completa di Pipe Dream di Rodgers & Hammerstein dalla sua prima rappresentazione nel 1955. Il prossimo ottobre i dirigerà il suo adattamento musicale di Bernarda Alba di Michael John LaChiusa.

Mattis Olivia è la curatrice della mostra di grande successo del 2024 «George Gershwin and Modern Art: A Rhapsody in Blue» presentata al Baker Museum di Naples (Florida) e autrice del catalogo che accompagna la mostra (Scala Publishing). È una musicologa pluripremiata specializzata nei legami tra musica e arti visive. Ha curato insieme allo storico dell’arte James Rubin Rival Sisters, Art and Music at the Birth of Modernism, 1815-1915 (Routledge/Ashgate, 2014) ed è coautrice insieme a un team di storici dell’arte di Visual Music: Synaesthesia in Art and Music Since 1900 (Thames and Hudson, 2005). Ha conseguito un dottorato in Musicologia presso la Stanford University e una laurea in Musica presso la Yale University. La sua mostra itinerante a livello nazionale «Gershwin to Gillespie: Portraits in American Music», curata per il George Eastman House Museum of Photography and Film, presentava cinquanta ritratti di famosi musicisti americani realizzati da famosi fotografi americani. Oltre al suo lavoro di ricerca musicologica, è presidente della Sousa Mendes Foundation, un’organizzazione per la memoria dell’Olocausto dedicata all’eroe che nel 1940 salvò la sua famiglia e migliaia di altre persone dall’Europa occupata dai nazisti.

Michelone Guido – docente di Storia della Musica Afroamericana al Master in Comunicazione Musicale dell’Università Cattolica di Milano – è un divulgatore, giornalista e critico musicale italiano che ha scritto ampiamente di jazz, rock e pop. Ha collaborato con importanti quotidiani e riviste musicali italiani. È noto per le sue analisi semiotiche e sociologiche su un’ampia gamma di generi musicali ed è anche autore di diversi libri, tra cui i recenti Il Dizionario del jazz (2023) e Jazz e… I-X Volumi, 2014-2025), che offrono una panoramica completa dello sviluppo della musica jazz dalle origini ai giorni nostri.

Pollack Howard è Professore «John e Rebecca Moores» di musica presso l’Università di Houston, dove insegna dal 1987. Nato a Brooklyn nel 1952, ha conseguito lauree presso l’Università del Michigan e la Cornell University, dove ha ottenuto un dottorato in musicologia nel 1981. Tra i suoi otto libri figurano le biografie pluripremiate dei compositori Aaron Copland, George Gershwin, Marc Blitzstein e Samuel Barber, e del paroliere e librettista John Latouche. Attualmente sta conducendo una ricerca sulla vita e la musica del compositore ebreo svizzero-americano Ernest Bloch.

Rossi Giuseppe è professore di Diritto privato comparato presso l’Università IULM di Milano, e avvocato del Foro di Milano. I suoi interessi di ricerca includono, oltre alla proprietà intellettuale, il diritto dei media e delle comunicazioni e la tutela del consumatore. È autore di vari saggi di law and humanities, tra cui Diritto e comicità (con Paola Carbone, Giappichelli, Torino, 2021; ed. inglese: The Law and Comedy, DeGruyter, Berlin-Boston, 2023). Law and Music: A Relational and Improvisational Theory si trova in corso di pubblicazione.

Sapiro Ian è Professore associato di musica per il teatro e il cinema presso l’Università di Leeds (UK); la sua ricerca si concentra sulla musica da film, il teatro musicale, l’adattamento, i processi di produzione e le sovrapposizioni tra questi ambiti. Attualmente sta lavorando all’edizione critica del musical Girl Crazy di George e Ira Gershwin del 1930, nell’ambito del progetto internazionale «The George and Ira Gershwin Critical Edition». È stato il primo borsista Annegret Fauser e Tim Carter presso la Sezione Musica della Library of Congress (2024-25) e nell’aprile 2025 ha tenuto una conferenza di grande successo basata sulla ricerca, esplorando le sfide legate alla creazione di un’edizione critica di un’opera del teatro musicale. È anche direttore d’orchestra professionista di teatro musicale amatoriale, avendo lavorato come direttore musicale per quasi sessanta produzioni negli ultimi venticinque anni.

Scivales Riccardo è pianista, compositore e musicologo che vive a Venezia; si è laureato alla facoltà di Lettere dell’Università di Venezia con una tesi musicologica sullo Harlem Stride Piano. Dal 1999 al 2009 ha insegnato Storia del Jazz e Musica afro-latinoamericana all’Università di Venezia. È autore di circa trenta libri e metodi per pianoforte sul jazz, il blues e la musica latina pubblicati negli Stati Uniti, Italia e Regno Unito, tra cui Play… Latin Piano Like A Pro!, Harlem Stride Piano Solos, The Right Hand According to Tatum, Jazz Piano: The Left Hand, Storie di Vecchi Pianisti Jazz e Dick Wellstood Jazz Piano Solos. È anche coautore dei libri Gershwin (AA.VV.), L’improvvisazione è improvvisata? (con Enrico Intra) ed Easing Into Stride (con Ed Shanaphy). È traduttore dei primi trentaquattro volumi italiani del metodo americano per pianoforte BASTIEN e insegna Pianoforte Moderno in diverse scuole di musica. Dal 1981 è tastierista e compositore della sua band progressive rock Quanah Parker, con la quale ha tenuto numerosi concerti e ha pubblicato quattro dischi acclamati dalla critica. Dal 1995 al 2018 è stato anche attivo come pianista e compositore della sua latin band Mi Ritmo. Molti dei suoi arrangiamenti, composizioni e trascrizioni nota per nota sono stati registrati e/o eseguiti in concerto. Ha inoltre contribuito con articoli, saggi, composizioni, arrangiamenti e trascrizioni a riviste e ha collaborato con la RAI-Radiotelevisione Italiana, e come autore di trecento puntate dei programmi radiofonici «Galleria del Jazz» e «Archivio del Jazz» (RadioTre). È stato relatore in conferenze internazionali su Ellington, Gershwin e Monk, ed è stato collaboratore all’orchestrazione della prima italiana del musical Lady Be Good! di Gershwin (PalaFenice, Venezia, 2001). Nel 2020 ha fondato la sua casa editrice indipendente Scivales Music.

Voto Valentina è laureata in Scienze della Musica e dello Spettacolo presso l’Università degli Studi di Milano «La Statale» e diplomata in Musicoterapia presso il Centro di Ricerca Arpamagica di Milano. Opera attualmente come musicoterapeuta e ricercatrice indipendente e, in quest’ultima veste, ha collaborato ai volumi Arrigo Polillo. Un maestro internazionale della critica jazz, a cura di Luca Cerchiari e Roberto Polillo (Mimesis, 2021), e Il jazz e la critica. 80 interviste a giornalisti, docenti, musicologi di Guido Michelone (Arcana, 2025). È autrice del profilo biografico-critico Bobby McFerrin e il gioco libero della voce (Mimesis, 2024), primo libro non solo in lingua italiana sul noto vocalist statunitense.

George Gershwin
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