«M’ha fatta l’amore» del Naima Quartet: il jazz come racconto intimo, tra parola e suono (EMME Record Label, 2025)

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Un lavoro che, nel suo insieme, oltrepassa il status di semplice raccolta di brani, emergendo come un racconto coerente, un viaggio sonoro che taglia trasversalmente luoghi, memorie e visioni, tenendo sempre al centro la relazione tra parola e suono, fra tradizione ed invenzione.

// di Stefano Lana //

Siamo sul finire dell’estate, una lenta discesa verso l’autunno, forse la stagione più cara ai poeti e alle anime più sensibili. Gli alberi sono ancora verdi e gonfi, ma a volte è possibile scorgere qualche solitaria foglia arrugginita. In questa cornice è stato dato alla luce il primo album del Naima Quartet. Si pensi a ciò che potremmo scoprire: il sottofondo risulta pregno di delicatezza, poesia e gocce di femminilità che impreziosiscono maggiormente il frutto del questo lavoro. Con «M’ha fatta l’amore», il quartetto firma un debutto discografico che si distingue per eleganza, profondità ed una sorprendente coerenza stilistica. Il progetto nasce da un sodalizio umano e musicale tra il pianista Claudio D’Amato e la cantante Maria Donata Candeloro, completandosi con la sensibilità ritmica di Giuseppe Venditti alla batteria ed il contrabbasso lirico di Vincenzo Quirico. Il risultato è un jazz contemporaneo che non si limita a citare la tradizione, ma la reinventa con delicatezza e autenticità.

L’album si compone di sette tracce, cinque delle quali sono standard rivisitati con rispetto e inventiva, mentre le due composizioni originali firmate da D’Amato e Candeloro rappresentano il cuore pulsante dell’album. L’intero album risulta attraversato da un senso di narrazione sonora che riflette le radici geografiche e culturali dei musicisti: l’Abruzzo, il Molise, Roma. Questi luoghi non sono semplici coordinate, ma diventano paesaggi interiori che si traducono in timbri, dinamiche e scelte armoniche. Il Naima Quartet riesce a coniugare accessibilità e sofisticazione, proponendo un jazz che parla a tutti senza mai rinunciare alla complessità. M’ha fatta l’amore si attesta come un disco che non cerca di stupire con artifici, ma conquista con sincerità, equilibrio ed un’attenta cura del dettaglio.

In «M’ha fatta l’amore», il Naima Quartet costruisce un iter narrativo che si disloca con naturalezza tra standard e composizioni originali, senza mai perdere il filo di una poetica coerente e marcatamente personale. L’apertura con «Smile» non rappresenta solo un omaggio a Chaplin, ma una dichiarazione d’intenti: il quartetto gioca con la metrica e con le dinamiche, restituendo al brano una malinconia lucida, quasi sospesa, dove il pianoforte di D’Amato disegna spazi di attesa e la voce di Candeloro agisce con grazia, senza mai cedere all’enfasi. Da qui si passa a «Sono quella che sono», dove la parola poetica di Prévert diventa veicolo di una tensione più decisa, più andante, con un’interpretazione che si apre ad una modernità consapevole, senza perdere il senso della misura. Il viaggio prosegue con «September In The Rain», che il quartetto affronta con una lettura dilatata, lasciando che le armonie si distendano e che il contrabbasso di Quirico trovi spazio per una narrazione interna, mentre la batteria di Venditti accompagna con discrezione, costruendo un tessuto ritmico che non invade ma sostiene.

«Skylark» arriva come una pausa lirica, un momento di sospensione dove il canto si fa sussurro e il pianoforte si ritrae, lasciando che siano le sfumature timbriche a parlare. Siamo alle prese con un costrutto che vive di chiaroscuri, di respiri, di piccoli slittamenti armonici che rivelano una precisa attenzione al dettaglio. Con «You’d Be So Nice To Come Home To» il quartetto cambia registro, abbracciando uno swing asciutto, diretto, dove l’interplay tra voce e sezione ritmica si fa più serrato, più giocoso, senza mai perdere la raffinatezza che caratterizza l’intero lavoro. Quindi arriva «M’ha fatta l’amore», la title-track, che rappresenta il cuore pulsante del disco, basato una melodia cantabile, delicata, che si appoggia su un testo di Prévert trasformato in canzone, in gesto musicale intimo e universale. In tale contesto, il quartetto si avvicina al cantautorato, ma lo fa con una scrittura sobria, lasciando che siano le emozioni ad emergere, senza artifici. Infine «Centerpiece» chiude il cerchio con energia e consapevolezza, riportando il discorso su un terreno più ritmico, più strutturato, dove il jazz torna a farsi linguaggio condiviso, spazio di dialogo e di sintesi. Un lavoro che, nel suo insieme, oltrepassa il status di semplice raccolta di brani, emergendo come un racconto coerente, un viaggio sonoro che taglia trasversalmente luoghi, memorie e visioni, tenendo sempre al centro la relazione tra parola e suono, fra tradizione ed invenzione.

Naima Quartet
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