«Suite n. 1» per Orchestra» di Riccardo Catria. Contrappunto del pensiero in un viaggio immaginifico (Encore Records, 2025)

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Riccardo catria_Orchestra

Riccardo Catria Orchestra

Il disco, nel suo sviluppo, afferma una compiuta visione estetica: l’assenza di concatenazione formale non genera dispersione, ma intensifica la coerenza sostanziale. La musica diventa esercizio speculativo, e l’ascolto, esperienza fenomenologica.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Di particolare rilievo nel panorama della produzione musicale contemporanea, la «Suite n. 1» per Orchestra di Riccardo Catria si caratterizza per la capacità di coniugare l’intenzione astrattista con un’articolazione formale rigorosa ed una scrittura orchestrale densamente stratificata. Il progetto non si propone come narrazione, bensì come esercizio poetico sull’autonomia espressiva del suono: una dichiarazione estetica che rinuncia all’elemento descrittivo, rivendicando la libertà semantica dell’ascolto.

Il titolo, spogliato da suggestioni geografiche e precise indicazioni ambientali, afferma un posizionamento ideologico preciso, dove la scelta di una denominazione essenziale non costituisce una privazione, bensì un’apertura verso una pluralità di letture. L’ascoltatore è chiamato a sospendere l’attesa di situazioni e significati prefissati, affidandosi alla materia sonora nella sua essenza. In tal senso, la composizione trova accoglienza nell’orizzonte della cosiddetta musica assoluta, nella scia delle riflessioni di Hanslick e Brahms, e nella sensibilità di autori quali Kenny Wheeler, la cui influenza risulta percepibile nella grammatica musicale di Catria. La «Suite n. 1» si articola in otto movimenti, ciascuno distinto per impianto timbrico ed organizzazione ritmica, ma coerente all’interno di una macrostruttura che privilegia il dialogo contrappuntistico, la tensione modale e la compenetrazione fra le sezioni dell’orchestra. Tale coesione interna permette alla varietà di forme di convergere in un disegno unitario, mantenendo viva l’interazione fra solisti ed ensemble, in una costante negoziazione espressiva.

Nel contesto esecutivo, risalta il contributo della Perugia Big Band, alla quale si affiancano interpreti di rilievo nazionale ed internazionale. L’intervento di Jeff Ballard, Gabriele Evangelista, Marta Raviglia e Massimo Morganti non introduce fratture, ma si innesta organicamente nella tessitura orchestrale, amplificandone la duttilità e la ricchezza. Catria stesso, alla tromba, offre una lettura intimamente partecipata della propria scrittura, riconoscibile nella cura del fraseggio e nella profondità melodica. Di rilevante interesse appare l’utilizzo della voce umana non in funzione testuale, ma come componente timbrica, spogliata del significato semantico per divenire strumento tra gli strumenti. Tale scelta rafforza la vocazione pluritematica del concept, negando ogni riferimento linguistico e riconoscendo alla vocalità una qualità puramente fonica. Il trattamento armonico si svincola dai modelli tonali tradizionali, privilegiando scale di provenienza etnica eterogenea e strutture ritmiche variabili, da tempo ternario a pulsazioni swinganti, sino ad increspature ritmiche di matrice africana. Ne emerge un tessuto fluido, dove la melodia conserva un ruolo centrale, pur in un contesto fortemente contrappuntistico. La dimensione visiva, benché marginale nel progetto musicale, si riveste di significato attraverso la copertina ideata da Meri Tancredi. Lo sfondo nero, animato da onde di luce, non offre descrizioni ma suggerisce una condizione interiore, divenendo il simbolo dell’indistinto, del silenzio e dell’infinito. Nelle culture occidentali il nero convoca il mistero e l’assoluto; altrove evoca l’elemento acquatico, la saggezza antica, il principio Yin. L’immagine, come la musica, si rende aperta, plurivoca ed inattingibile.

La sequenza dei movimenti non segue una narrazione, ma s’irradia come un percorso di emersione sonora, dove ciascun segmento contribuisce a una sintesi musicale che si nutre di tensione modale, elaborazione timbrica e ricerca formale. L’album imperniato su un’articolazione in otto quadri consente al compositore di dispiegare una gamma espressiva estesa, interrogando continuamente le potenzialità dell’orchestra ed i limiti stessi della forma-suite. Nel Movement I si configura un’introduzione densa, che stabilisce subito l’estetica dell’intero progetto: il tessuto modale s’intreccia a pulsazioni ritmiche articolate, con un uso calibrato del contrappunto ed un’esposizione melodica condotta per stratificazione. La tromba di Catria assume un ruolo di richiamo, come segnale d’inizio di un viaggio sonoro privo di destinazione dichiarata. Nel Movement II, la scrittura si fa più rarefatta, prediligendo uno spazio acustico in cui le sezioni orchestrali emergono e si ritirano in cicli sottili. La voce, disancorata dalla parola, si impone come linea timbrica fluttuante, in equilibrio tra evocazione ed astrazione. La componente ritmica si frammenta, lasciando emergere microcellule di swing che si dissolvono senza consolidarsi. Il Movement III intensifica la tensione formale, introducendo metriche composite ed incastri accordali che suggeriscono una ritualità implicita. Le scale etniche si fondono con dinamiche di gruppo, il contrabbasso di Evangelista delinea zone di profondità timbrica, mentre il trombone di Morganti scava nel tessuto armonico per riscriverne i contorni. Nel Movement IV si assiste a una ripresa lirica, dove la melodia viene offerta in tratti più estesi, quasi distesi. La scrittura appare più trasparente, pur senza cedere all’ovvietà: ogni frase mantiene una dualità costruttiva, invitando l’ascoltatore a ricostruire internamente il percorso melodico. Il gioco timbrico fra sezione fiati e groove trova un equilibrio di grande raffinatezza.

Il Movement V, il più lungo, agisce come epicentro dell’intera Suite. Catria espande l’interplay in senso plastico, lasciando che i solisti si insinuino nella scrittura senza mai romperne la tessitura. Il jazz modale si fonde con segmenti di improvvisazione strutturata, in una dialettica che rimanda alla poetica di Wheeler, ma tradotta in una grammatica orchestrale personale. Nel Movement VI riemerge la componente afro-ritmica, in una riorganizzazione della pulsazione che non mira a generare groove, bensì a destabilizzare la percezione metrica. Il trattamento della voce si fa più percussivo, privato di ogni residuo di cantabilità, mentre i fiati fungono da tessuto connettivo, ridefinendo la funzione armonica dell’ensemble. Il Movement VII esibisce un ritorno alla ricchezza cromatica, con un intreccio contrappuntistico più serrato e una trama che accoglie l’irruzione della batteria di Ballard come elemento strutturante. Non si tratta di accompagnamento, ma di architettura ritmica, in cui ogni accento è parte di un disegno più vasto. Infine, il Movement VIII conclude senza chiudere: la Suite non si spegne, ma si dissolve. Le linee si smembrano lentamente, il nero della copertina si fa musica, non come vuoto ma come spazio aperto. La voce, ormai assimilata all’orchestra, emette le ultime modulazioni, e l’intera struttura si ritrae nel silenzio senza drammatizzazione. L’opera, nel suo sviluppo, afferma una compiuta visione estetica: l’assenza di concatenazione formale non genera dispersione, ma intensifica la coerenza sostanziale. La musica diventa esercizio speculativo, e l’ascolto, esperienza fenomenologica. Catria non compone per descrivere: compone per interrogare. In definitiva, la «Suite n. 1» per Orchestra non si limita ad esibire una perizia tecnica, ma si delinea quale manifesto poetico, dove l’atto compositivo incontra una visione estetica precisa e non conciliatoria. Il risultato è un lavoro che non cerca il consenso dell’orecchio, ma la complicità del pensiero.

Riccardo Catria
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