Matteo Ciminari con «Mentalcoredrillings», un impervio tratturo musicale, tra jazz ed elementi sperimentali (FMR Records, 2025)

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…una sfida sonora che intriga, sorprende e conquista, una seduta polisensoriale, dove una volta arrivati in fondo si ha il desiderio di riascoltare tutto da capo. Un tempo avremmo detto: con la voglia di riavvolgere il nastro.
// di Francesco Cataldo Verrina //
«Mentalcoredrillings» è un’affascinante incursione nei meandri sonori della mente. Matteo Ciminari e la sua ciurma attira il fruitore su un impervio tratturo musicale che sfida le convenzioni, mescolando con destrezza jazz ed elementi sperimentali. Ogni traccia è come un carotaggio mentale, che scava in profondità nelle strutture poliritmiche, nei tempi dispari e nelle armonie complesse, spesso abbracciando la dissonanza con sorgiva naturalezza. Prima di approfondire l’analisi dell’album, è bene spiegare che cosa sia il Theremin, considerato un sintetizzatore elettronico a tutti gli effetti: oggi ne esiste un’infinità varietà in commercio, ma bisogna sapere che è il più antico strumento conosciuto che non preveda il contatto fisico dell’esecutore con lo strumento. Theremin, nomen omen, fu messo a punto nel 1920 dal fisico sovietico Lev Sergeevič Termen (noto in Occidente, appunto come Léon Theremin o Theremine) e si basa su oscillatori che, lavorando in isofrequenza al di fuori dello spettro udibile, producono dei suoni nel campo udibile per alterazioni delle loro caratteristiche, grazie al principio fisico del battimento. Tutto ciò è determinato della presenza delle mani del musicista nel campo d’onda.
L’aspetto più sorprendente di «Mentalcoredrillings» è il punto di sutura tra complessità e fruibilità: mentre gli arrangiamenti stratificati offrono un ascolto fluido e ricco di sfumature; le melodie rimangono orecchiabili, il senso di collegialità e di improvvisazione permea l’intera opera. Il risultato è una continua tensione tra caos e ordine, dove l’abilità dei musicisti si manifesta senza mai risultare fine a sé stessa. Il line-up agisce con disinvoltura: Ciminari alla chitarra elettrica e Theremin distilla tessiture sonore ipnotiche, mentre Maurizio Moscatelli, con una vasto campionario di cromatismi e tutta la gamma degli strumenti a fiato, sassofoni, clarinetti e flauti, porta sfumature timbriche che spaziano dal lirismo al virtuosismo. Il pianoforte elettrico ed i synth di Simone Maggio aggiungono profondità, mentre la retroguardia, con Mattia Borraccetti al contrabbasso e Michele Sperandio e Luca Orselli alla batteria, garantisce un nutrimento ritmico che sorregge e contiene ogni tentativo deviazione sonora o di eccedente volo pindarico.
«Atom Sluring Zooid» è un’apertura audace che stabilisce subito il tono dell’album, elettrica e irregolare, con ritmiche spezzate ed una fusione di strumenti che creano un senso di instabilità affascinante. Il theremin gioca con il sax in un dialogo surreale, tra poliritmie complesse e un interplay che chiama al proscenio anche la chitarra. In «Shoesoup» la sperimentazione si fa ancora più profonda: melodie frammentate, armonie spiazzanti e una sezione ritmica che guida con precisione i cambi di atmosfera e le transizioni tra dissonanza e risonanza. Pianoforte elettrico e clarinetto si intrecciano in modo imprevedibile. «Doubledream» ostenta un’aura più meditativa, ma appare musicalmente più strutturato, con echi di Mingus e Monk. Il pianoforte elettrico aggiunge una dimensione free-form e sofisticata con un groove ipnotico e linee melodiche sospese. Qui il contrabbasso assume un ruolo centrale, dando profondità alla struttura armonica. «Fried Ouroboroi» si sostanzia come un gioco concettuale con il tempo e il suono secernendo un groove flessuoso: il titolo richiama l’idea del serpente che si morde la coda, mentre musicalmente il brano si sviluppa in cicli ripetuti con variazioni sempre più audaci, tra un vortice di effetti sonori e progressioni inaspettate. In «Zazzà» l’energia esplode con un’escrescenza fiati impetuosa, un crescendo zorniano e un drumming serrato. Il costrutto sonoro implementato sembrerebbe quasi una celebrazione del caos ordinato, dove le dissonanze diventano parte della struttura melodica.
«Attitu-de Reduction» dispensa un’atmosfera più oscura e riflessiva, con suoni che sembrano evocare tensione e rilascio. Il sax basso ed il Theremin si combinano per un effetto magnetico, mentre la batteria assume un ruolo destrutturante, con colpi abrasivi e cambi improvvisi. «Pettodipongo» quasi un’endovena, un brano breve ma intenso, che sviluppa una sensazione quasi ritualistica. Il dialogo tra clarinetto e chitarra dà luogo a una dinamica contrappuntistica fortemente catalizzante, mentre la batteria sposa un groove leggero e stralunato. «Tanghero» è la traccia più lunga dell’album è una vera e propria suite musicale che indaga diversi stati d’animo ed approcci stilistici. L’improvvisazione domina, con momenti che sembrano sospesi e sfuggenti, ed altri di pura deflagrazione sonora. «Babydonnol» si sostanzia come un componimento sferragliante, con sonorità che evocano un viaggio al centro della terra, mentre una melodia screziata e dispensata in pillole simili ad ostinati, offre la tempra dell’autentica sperimentazione ad oltranza, senza smarrire, però, la retta via. «Toesoup» suggella l’album in maniera giocosa e dissonante, un’efficace fusione fra jazz ed esperimenti sonori. Finale progressivo, con gli strumenti che dialogano in un intreccio sonoro seducente, suddiviso tra corde, fiati ed effettistica. Il perfetto epilogo di un’escursione sonora sottotraccia nelle acque inquiete della sperimentazione.
Registrato e mixato presso Cantiere Sonoro e magistralmente masterizzato da Alex Wharton agli Abbey Road Studios, l’album vanta una produzione raffinata che esalta ogni dettaglio, permettendo agli ascoltatori di cogliere le molteplici sfaccettature di queste composizioni audaci. L’artwork di Alessandro Vagnoni completa il progetto, suggerendo visivamente l’intricata complessità musicale contenuta nell’album. Per gli amanti delle esplorazioni su sentieri accidentati e all’interno di stretti cunicoli armonici dove, come pipistrelli, aleggiano gli spiriti inquieti di Thelonious Monk, Frank Zappa, John Zorn e Charles Mingus, «Mentalcoredrillings» costituisce una package dial da non perdere, una sfida sonora che intriga, sorprende e conquista, una seduta polisensoriale, dove una volta arrivati in fondo si ha il desiderio di riascoltare tutto da capo. Un tempo avremmo detto: con la voglia di riavvolgere il nastro.
