Chico_Hamilton_Sony

Una piccola storia di ordinaria follia… per un album grazioso, adagiato su una piacevole quiete interiore ed esplorativa, consigliato a quanti cercano la pennellata dolce e spazzolata.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Parlando di questo album, mi sovviene una storiella divertente e surreale al contempo, di cui sono stato protagonista nel luglio del 1988 o giù di lì, durante una calda ed affollata edizione di Umbria Jazz, quando il mood era ancora quello giusto e i «turisti del jazz» affollavano le vie della città. Anni fa, a Perugia c’era un fornitissimo negozio di dischi, che durante la kermesse jazzistica diffondeva musica ad alto volume. I clienti che entravano venivano subito accolti dal titolare che chiedeva: «Siete qui per Umbria Jazz?». Molti di essi rispondevano di sì, quindi venivano simpaticamente sottoposti ad un quiz. L’intraprendente anfitrione lasciava partire improvvisamente un disco e domandava: «Lo sapete che cos’è questo?». Nessuno riusciva mai ad indovinare. Era sempre lo stesso album, non recentissimo e troppo anomalo per i cultori del jazz, specie del mainstream o della fusion di quegli anni, ma anche del free o del bebop. A me non lo chiedeva mai, pur avendomi visto entrare ed uscire centinaia di volte dal negozio: sapeva che non ero un turista. Un giorno mi disse: »Secondo me neppure tu lo sai!». «Scommettiamo?» – gli risposi – «però se indovino, me lo regali, altrimenti andiamo al bar e ti offro da bere!». «Affare fatto!» -aggiunse lui – «Sputa fuori il rospo!». Non mi feci attendere, quindi esclamai: «Chico Hamilton Quintet!». L’esercente provò a fare il furbo, dicendomi: «Va bene, però ho solo questa copia, magari te la ordino e poi passi a ritirarla». Misi subito le cose in chiaro, mostrandomi contrariato e ricordandogli che la scommessa andava pagata subito, quindi mi portai a casa il suo trastullo.

Non credo che l’abbia più ordinato, forse all’epoca non era più disponibile in catalogo. Ovviamente non c’era nulla per identificare l’artista o l’album, la copertina era ben nascosta sotto il tavolo e lui si premurava di abbassare il coperchio brunito del giradischi, quindi si ascoltava solo la musica e d al’ bisognava di risolvere l’arcano. In genere erano le prime note di un violoncello che confondevano molto le idee anche ai patiti jazz. Non è che io fossi un genio del quiz improvvisato, della settimana enigmistica per turisti fai dai te, o un orecchio assoluto, ma questo disco lo conoscevo, perché l’avevo visto e sentito in radio. «Chico Hamilton Quintet Featuring Buddy Collette & Jim Hall», un album del 1955 anticipatore dei tempi e visionario, un laboratorio aperto verso un’ipotetica «terza via», registrato in California nell’agosto del 1955 con due facciate completamente diverse: la Side A registrata in studio e la Side B dal vivo. In quell’anno per la prima volta si parlò di «jazz da camera», dove il flauto di Buddy Collette e la chitarra di Jim Hall in prima linea con l’aggiunta di un violoncello suonato da Fred Katz creano un’atmosfera vagamente classicheggiante e barocca, anche se appoggiata su un substrato jazz molto leggero, sostenuto dal basso di Carson Smith e dalla batteria di Chico Hamilton, in vena di poliritmie percussive molteplici e cangianti.

Chiunque non l’avesse mai ascoltato potrebbe pensare a un disco recente, di certo non ad un album del 1955 prodotto in piena deflagrazione hard bop, ma ad una più recente produzione del catalogo ECM. È uno di quei concept che gli Americani chiamano wall-to-wall, ossia molto ambient, chiuso tra due pareti. Il momento di spicco è certamente «Blue Sands» firmato Buddy Colette, a cui si associano per originalità anche «The Monring After» di Chico Hamilton e «Spectacular» di Jim Hall. Molto suggestive la versioni di «Walking Carson Blues», un componimento tradizionale riarrangiato per l’occasione e di «My Funny Valentine». «Chico Hamilton Quintet Featuring Buddy Collette & Jim Hall» è un album grazioso, adagiato su una piacevole quiete interiore ed esplorativa, consigliato a quanti cercano la pennellata dolce e spazzolata. Peccato, perché il «suddetto», come altri negozi di dischi del centro storico di Perugia non vi siano più.

Chico Hamilton

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