«Just» del Bill Hart Quartet. Nuovo disco ECM per il grande batterista afroamericano
…un bel quartetto che pur adottando il tipico sound cristallino della nota label bavarese riesce a essere se stesso, ossia pronto e originale nell’esternare un con vincente post-bop a cui la definizione ormai corrente di new mainstream va strettissima.
// di Guido Michelone //
Oggi, quasi a festeggiare i vent’anni di musica insieme, il Billy Hart Quartet, in«Just» sempre con di Mark Turner (sassofono), Ethan Iverson (pianoforte) e Ben Street (contrabbasso), conferma la propria apertura stilistica, in cui andrebbe sempre più elogiata, come già fece il noto critico John Fordham, la superba enorme ampiezza nei confronti della storia del jazz a cui il band sottilmente si riferisce e si plasma In effetti si tratta di puro jazz contemporaneo – di ascendenza hard bop – che attinge con maestria e abbondanza a ogni tradizione, sottolineando una chiarezza melodica legate alle sottigliezze della popular-song usata per improvvisare. Il leader del resto propone un approccio sonoro ‘multidirezionale’ ben coadiuvato da tre comprimari (anch’essi a loro volta alla testa di loro formazioni): e in tal senso ogni brano sembra quasi un gioco di scatole cinesi. Sul piano compositivo Iverson scrive per l’album quattro prezzi: e risultano incisivamente apprezzabili sia Chamber Music dall’andamento furtiva e ondoso sia Aviation movimentato, quasi irruentemente motoria. Turner e Hart stesso aggiungono tre brani a testa, con il batterista che aggiorna due cavalli da battaglia come Layla Joy e Naaje, con il saxman a blueseggiare con Billy’s Waltz rendendolo quasi un ballo aggraziato e a svisare controtempo in Top of the Middle.
«Just» è dunque un disco anche di gruppo, un bel quartetto che pur ‘adottando’ il tipico sound cristallino della nota label bavarese riesce a essere se stesso, ossia pronto e originale nell’esternare un con vincente post-bop a cui la definizione ormai corrente di new mainstream (adottata per il jazz non sperimentale del XXI secolo) va strettissima. Prima di discuterne, però, bisogna iniziare con una teoria del leader Bill Hart: «Il ritmo è almeno pari all’armonia nello schema dell’evoluzione umana. Il concetto europeo collegava l’armonia all’emozione in modo così chiaro che sembrava l’unico modo per farlo. A questo punto, sappiamo che è diverso: ovviamente il ritmo può darti lo stesso valore emotivo». Così dunque parla, uno dei maggiori batteristi viventi di certo da annoverare tra i maestri nella storia del jazz drumming iniziata con Baby Dodds e Sid Cattlett ed ‘esplosa’ con il bebop di Kenny Clarke e Max Roach per continuare con Art Blakey ed Elvin Jones, giusto per nominare la ‘mezza dozzina’ che segna il passaggio dalla tradizione alla modernità. Nato nel 1940 nella capitale Washington, agli inizi si esibisce in loco con artisti soul quali Otis Redding e Sam & Dave, per diventare poi turnista, lungo gli anni Sessanta, con gli hared bopper Montgomery Brothers, Jimmy Smith, e Wes Montgomery staccatosi dai due fratelli. Da quando nel 1968, si trasferisce a New York Hart registra con McCoy Tyner, Wayne Shorter e Joe Zawinul o suona live con Eddie Harris, Pharoah Sanders e Marian McPartland; all’inizio dei Settanta è nel sestetto di Herbie Hancock e poi lungo i Seventies assieme a Tyner, a Stan Getz, mentre negli Ottanta milita nei Quest di Dave Liebman, non senza rinunciare a una proficua attività freelance che include ad esempio l’incisione del mitico On the Corner (1972) unico studio album Miles Davis per quasi un decennio.
Va ricordato che i dischi di Hart per ECM a proprio nome con questo «Just»sono solo tre, giacché il debutto di Bill quale leader per Manfred Eicher avviene nel 2011 (All Our Reasons): tuttavia la prima registrazione per l’etichetta bavarese con lui presente risale al 1974, quando il suo ritmo swingante con un delicato gioco sui piatti si ascolta con nell’ormai classico Jewel In The Lotus di Bennie Maupin; ma va pure ricordato che per dieci anni Hart risulta il batterista del Charles Lloyd Quartet, che sforna album memorabili come The Call, All My Relations, Canto e Lift Every Voice. Invece il Billy Hart Quartet si forma nel 2003 e si compone dei citati Turner/Iverson/Street da allora a New York, che per molti versi resta ancora il crocevia del jazz mondiale, ogni volta che il gruppo si esibisce nei club fa il tutto esaurito. Il debutto del quartetto avviene con il cd omonimo della HighNote (2006) quasi dieci anni dopo un lungo silenzio discografico e a circa trenta dall’esordio come leader con Enchance (Horizon); per la ECM invece si parla dunque di All Our Reasons quasi subito seguito da One is the Other 2014; insomma in quasi mezzo secolo di attività solistica sono solo 14 gli album a proprio nome (di cui due in condivisione) per via degli onerosi impegni sia all’Oberlin Conservatory of Music sia nell’insegnamento da professore associato al New England Conservatory of Music e da contrattista alla Western Michigan University, alla New School e alla New York University. Ma dopo questo Just a nomedelBill Hart Quartet c’è da augurarsi subito un nuovo disco (ECM o meno) per il grande batterista afroamericano!

