L’altra faccia del jazz italiano: «Other Interaction…On July 5th» di Tononi / Parrini / Ottaviano / Grossi / Swell (Felmey Records, 2024)

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Tononi-ParriniAnte

Parliamo di un concept sonoro giocato su linee trasversali e territori impervi: una forma libera con schemi asimmetrici, suoni abrasivi ed alterazioni accordali, per quanto i cinque sodali non perdano mai il controllo alfanumerico della macchina del jazz.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Tiziano Tononi ed Emanuele Parrini sono diventati negli ultimi anni una coppia artisticamente di fatto, specie negli album realizzati per la Felmey Records, i quali si muovono sul piano inclinato di una sintassi jazzistica e para-jazzistica multitematica e multilaterale, che tocca molti aspetti dello scibile sonoro, talvolta legati a profonde motivazioni di natura storico-sociale. Nelle produzioni di Tononi-Parrini, la prevedibilità e il dej-vu sono sistematicamente banditi: non si sa mai cosa aspettarsi, ma la sorpresa è pressoché appagante. «Other Interaction…On July 5th» è il sequel di un’avventura musicale partita nel 2022 con l’album «The Many Moods Of Interaction», in cui Parrini e Tononi si misuravano in duo, sul difficile terreno di interazione sine die e di un interplay suggestivo e ricco di spunti da poter ampliare e dilatare con un line-up più composito. Tutto ciò è accaduto con l’arrivo di Roberto Ottaviano sax soprano, Steve Swell trombone ed Andrea Grossi contrabbasso. Emanuele Parrini violino e Tiziano Tononi batteria, percussioni e gong hanno trovato tre sodali con i quali avevano interagito in altre occasioni, dunque capaci di dilatare e magnificare l’idea di un costrutto sonoro, complesso e vitale al contempo, proposto attraverso otto composizioni originali: tre farina del sacco del batterista e cinque del violinista.

Buona parte dei concetti, quelli forse rimasta in nuce, che i due musicisti avevano precedentemente esplorato, trovano una nuova forma geometrica attraverso un modulo esecutivo a cinque, in un consesso di elevato livello strumentale, assolutamente inter pares, tanto che l’excursus musicale si è trasformato in una sessione just-play. A tal proposito, la conoscenza reciproca tra i cinque componenti del line-up ed un background piuttosto simile sono diventati sicuramente un fattore chiave e vincente. I tre «capitani di ventura» aggiunti, pur operando attraverso una un imprinting basato su una libertà individuale ed espressiva non comune, non hanno tradito le aspettative e le dinamiche ritmico-armoniche dei due progettisti. Parliamo di un concept sonoro giocato su linee trasversali e territori impervi: una forma libera con schemi asimmetrici, suoni abrasivi ed alterazioni accordali: per quanto i cinque sodali non perdano mai il controllo alfanumerico della macchina del jazz. L’iniziale «Tre Momenti Allusivi», con Ottaviano che verticalizza e Parrini che disegna traiettorie spiraliche, diventa subito una sorta di manifesto programmatico dell’intero progetto, fissando alcuni paletti e talune regole d’ingaggio che serviranno da indicatore di marcia per gli sviluppi successivi, in cui la retroguardia ritmica, con Tononi e Grossi sugli scudi, funge da vasodilatatore ed il trombone di Steve Swell da camera di decompressione. «Pee Wee’s Corner», introdotta dal basso e dalle percussioni giocherellanti e dai gong rimbombanti di Tononi, s’inerpica attraverso una lunga perifrasi sonora, che dopo più di un minuto assume una forma galoppante, mentre sax, violino e trombone si succedono in un canto di battaglia, attraverso un crescendo spinto al «massacro» dal kit percussivo. Man mano che si procede il terreno diventa più insidioso ed armonicamente svincolato con i tre strumenti di prima linea che intessono melodie ispide e tetraedriche fino allo spasimo, mentre sulle retrovie non si fanno prigionieri. Siamo all’apoteosi del free nella sua perfetta forma estatica ed estetica. «For Mumia Abu-Jamal» è un urlo straziante che si riverbera per oltre dieci minuti in un crescendo post-alyerano con effetti marching-bang-band innalzati all’ennesima potenza, dove il sax squittisce tagliando l’aria come un affilato coltello, il violino trilla segando le corde, il trombone borbotta come un contestatore seriale ed il basso saltella sotto la spinta di un’orda barbarica di percussioni. Mumia Abu-Jamal, all’anagrafe Wesley Cook, attivista, giornalista e membro delle Pantere Nere diventato un simbolo della lotta contro la pena di morte, fu condannato alla pena capitale per l’omicidio di un poliziotto di Filadelfia. Nel 2001 il giudice annullò però la sentenza a causa di alcuni vizi procedurali, mentre l’esecuzione venne commutata in ergastolo; in carcere, Mumia Abu-Jamal divenne noto per i suoi scritti contro il sistema giudiziario USA, da sempre falsato dai pregiudizi razziali.

«For Assata Shakur» parte con un movimento compatto marciante, dove inquietudine e rabbia, sembrano cercare una nuova dimora o un altrove in cui rifugiarsi, mentre progressivamente i singoli strumenti si liberano dalle catene delle armonia surrogata con un by-play da manuale. Assata Olugbala Shakur, vero nome Joanne Chesimard, attivista afro-americana, ex membro del partito delle Pantere Nere e del Black Liberation Army, fu arrestata con diverse accuse, molte infondate, tra cui l’uccisione di un agente di polizia avvenuta nel 1973; evasa nel 1979, ha ottenuto asilo politico a Cuba, dove attualmente vive. «For All The Dead Panthers» affronta ancora il medesimo argomento politico, legato alle lotte e alle ingiustizie subite dai neri d’America. L’inizio è quasi un’elegia funebre tracciata come una marcia collettiva, fino al momento di rottura, in cui l’ensemble si sbriciola in una piccola diaspora multidirezionale ad appannaggio della libertà dei singoli, nonostante il flusso melodico mantenga un’intensità struggente e facilmente combustibile, mentre la ritmica rimane perfettamente cadenzata, quasi ad acuire il senso di vuoto e di smarrimento, sino all’atto conclusivo ancora corale e sinergico. «Hibaku» rappresenta il simbolo della resistenza. L’hibakujumoku è un tipo di albero che ha resistito alle conseguenze delle radiazioni causate dalle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Anche qui l’atmosfera è alquanto sofferta, mentre il line-up s’ingegna a costruire un commento sonoro, quasi documentaristico dai sapori nipponici, ma dando il senso di una natura che si ribella e che si risveglia, nonostante le angherie degli umani, mentre le melodie singole e corali diventano languide e toccanti. «Another Corner», viene concepito come una fuga metropolitana in una dimensione di disagio, in cui gli strumenti creano ingorghi e sovrapposizioni melodiche, riuscendo però a divincolarsi abilmente senza urtarsi oltremodo. Trombone e sax si strattonano attraverso contrafforti ritmici insanguati di funk a traccia libera, il violino punge con i sui strali acuminati e il presidio ritmico non fa sconti né saldi di fine stagione. Il finale con «Altri Momenti Allusivi» è la ripresa e la conferma di quasi tutti gli umori e gli amori contenuti nell’album: il groove muscolare di Tononi apre la strada al sax di Ottaviano che si dipana flessuoso ed arabescato con il suo genetico melodismo a presa rapida; il violino irrompe con un flavour quasi balcanico sino all’esplosione collettiva a metà tragitto, che sfumerà in un finale «lento pede», in cui il trombone giunge a più miti consigli, deponendo le armi ed affidandosi all’intensità dei sentimenti. «Other Interaction…On July 5th» non è un «Tranquillo week end di paura» come potrebbe sembrare, per arrivare a valle, però, bisogna avere nervi saldi e voglia di avventura; è un disco dalle dinamiche potenti e dalle tinte accese, strumentalmente impeccabile e assertivo grazie al summit di personalità in ballo. Sembrerà banale sottolinearlo, ma il risultato complessivo è superiore alla somma delle singole individualità.

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