«OBRAS» DI STEFANO FALCONE, UN PICCOLO «DE RERUM NATURA» DEL JAZZ CONTEMPORANEO

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OBRAS_Falcone

// di Francesco Cataldo Verrina //

L’idea del piano solo nel jazz ha sollevato spesso perplessità notevoli, soprattutto con l’avvento del bop e relative evoluzioni, anche se con il tempo ha finito per essere una delle formule espressive più adottate, talvolta anche per motivi pratici. I detrattori del piano solo la definiscono, la meno costosa, ma non la meno impegnativa, anche se priva di interplay e di scambio sinergico con altri strumenti, tanto da produrre una sorta di effetto cameristico, a tutto svantaggio del ruvido dialogo da jam session che è una delle caratteristiche strutturali del jazz moderno. Il pianista solleva il proprio super-io ad altezze siderali o per contro s’inabissa in un languido intimismo ripiegato su sé stesso. Tecnicamente il piano solo rappresenta l’epitome di un circuito chiuso, un enclave sonora di tipo circolare dove il musicista si muove a spirale nel tentativo di rompere gli argini e di portarsi all’esterno.

Va detto che il pianoforte è una macchina prodigiosa, dotata di alimentazione ibrida, sia melodica che ritmico-armonica: Stefano Falcone, pianista e compositore, versatile e ricercato, ne sfrutta appieno la doppia funzionalità, emergendo con un costrutto sonoro a larghe maglie che si sostanzia attraverso nove composizioni originali. Il titolo «Obras» nasce da una recente esperienza di falcone: nel 2021 fu selezionato dalla Fondazione OBRAS al fine di sviluppare un progetto di composizione per pianoforte solo nel contesto di una residenza artistica situata nel cuore del Portogallo. Per tanto, le varie composizioni hanno subìto l’influsso dell’esperienza diretta con il territorio lusitano, del contatto con gli artisti presenti in quel ambiente, ma soprattutto incanalato nelle partiture le suggestioni e i pensieri emersi nel bucolico e quieto vivere della campagna portoghese.

«Obras» si apre con «Montado», che nasce dall’idea di un’armonia ecologica e di un rapporto fisco e sensoriale con la natura (lo stesso mood è presente in tutto l’album), è un costruzione sonora spaziosa e riflessiva al contempo, adagiata su una scorrevole melodia, segnata da momenti di calibrata libertà espressiva e di elegia profonda. «Carlud» si muove su un terreno di coltura diverso che guarda verso la musica eurodotta, seguendo una regola d’ingaggio basata su ripartenze veloci e su progressioni pianistiche distribuite a piene mani tra il registro più alto e quello più basso dello strumento. A salti quantici ed alternati l’album è caratterizzato da tre composizioni chiamate «Obras 1, 2 e 3» collocate rispettivamente all’altezza delle tracce 3, 7, 9 che fungono da collante e da enzima catalizzante rispetto al tutto l’impianto sonoro dell’album, soprattutto sono idealmente connesse dal medesimo mood che a volte risulta più ruvido, meditabondo e giocato sul registro basso, altre più adamantino ed euforico. «White Falcon» è foriero di un senso di ottimismo ritrovato, sia pure conservando un’aura profondamente lirica ed introspettiva. «Red Door N°2» da proprio l’idea di un desiderio di voler sfondare quella porta e di liberare tutta l’energia sonora accumulata. Ma se è stata davvero Demetra, dea della natura con i suoi ritmi e di suoi tempi, a muovere l’ispirazione di Falcone, complici Euterpe, la musa col flauto e della poesia lirica ed Erato la musa della poesia corale e amorosa, «Alentejo», come sostiene l’autore, costituisce «un inno all’impatto che la natura ha sulla genesi creativa e alla sua capacità di amplificare quella sensazione di astrazione necessaria per dare credito a ciò che il nostro corpo troppo spesso urla ma rimane inascoltato». L’impianto melodico di «Alentejo» è a tratti surreale e sospeso in una sorta di limbo poetico, per quanto il metodo propositivo adottato sia piuttosto attuale.

L’album si conclude con «A Thousand Lies», quasi una summa di tutto il vissuto precedente, magnificato dal cristallino fraseggio, dal tempo mercuriale e dal tocco impeccabile di Falcone che appare pienamente consapevole di essere giunto alla meta e di aver trovato il proprio Nirvana: un senso di catarsi risolutiva e di appagamento sono distintamente percepibili. «Obras» di Stefano Falcone, pubblicato dal Workin’ Label, è una pennellata lieve e pregna di sensibilità, un «De Rerum Natura» del jazz contemporaneo, mai eccessivamente ricurvo e calato nell’autocompiacimento stilistico o pesantemente liturgico: lirismo, senso della vita e poesia del presente, ma anche desiderio di fuga e di libertà dall’assordante fragore mediatico del quotidiano affiorano da ogni piega del concept sonoro. Il trasferimento della sensazione è perfettamente riuscito, la natura ha vinto ed il piano solo non fa rima con solitudine.

Stefano Falcone
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