«Inspired» di Ron Magril, un album che ridefinisce i canoni di un modello di jazz classico dall’impatto contemporaneo (GleAM, 2025)

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Il trio guidato da Magril, arriva a destinazione in scioltezza sulla scorta di otto componimenti originali che non danno mai segni di stanchezza e ripetitività. Pur guardando a livello ispirativo nello specchietto retrovisore, vanno oltre…

// di Francesco Cataldo Verrina //

Il jazz è stato nel corso dei decenni un uccello migratore che spesso non ha trova più la via del ritorno, a causa delle mutate condizioni ambientali, quindi sovente si è adatta, mutando il «piumaggio» in relazione al nuovo ambiente in cui andava allignando, ma soprattutto nutrendosi di tutto ciò che trovava nei paraggi. A differenza di molti luoghi dell’emisfero Sud-Orientale, dove il vernacolo jazzistico ha subito forti caratterizzazioni territoriali, incursioni ed attacchi alla sua genetica molecolare da parte di agenti esterni – pensiamo ad esempio al jazz balcanico – in Israele si è creata un enclave quasi impermeabile alle contaminazioni locali, stabilendo un collegamento diretto con la tradizione americana ed afro-americana. Basta sentire le prime note di «Inspired» di Ron Magril, edito dalla GleAM Records, per capire quanto in un disco di tale fattura si respiri un’atmosfera molto newyorkese, almeno il taglio e l’impostazione sonora posseggono tutti i contrassegni salienti di una produzione internazionale, non geolocalizzata e condizionata da interferenze indigene.

Ron Magril è un chitarrista dal talento conclamato, il quale conosce bene le regole sintattiche del jazz di alta scuola, ma le usa cum grano salis, discernimento e precisione chirurgica, al fine di giungere a una dinamica compositiva ed espressiva, mai calligrafa o clonata sugli stampini di un passato che affascina e seduce chiunque vi venga a contatto. Wes Montgomery e Grant Green sono sullo sfondo, ma restano solo due gigantografie che arredano – o che affollano per istinto la mente di tutti i giovani chitarristi jazz – e che, nello specifico, sembrano dire a Magril: ricordati da dove sei venuto, ma soprattutto dove vuoi arrivare. Il trio guidato da Magril, con Yonatan Riklisa all’organo Hammond e Ofri Nehemya alla batteria, arriva a destinazione in scioltezza sulla scorta di otto componimenti originali che non danno mai segni di stanchezza e ripetitività. Pur guardando a livello ispirativo nello specchietto retrovisore, vanno oltre: il titolo, «Inspired», da questo punto di vista, è emblematico. L’album si consuma tra hard-bop, soul-jazz, boogaloo e post-bop di grana finissima, tutti elementi ricontestualizzati in un habitat contemporaneo, che testimonia l’immortalità di taluni metalinguaggi tipici del jazz post-bellico, ma soprattutto la loro flessibilità ed adattabilità ai tempi. Per contro non c’è la traccia minima di contaminazione, distorsione o tentativo di dirottamento verso situazioni sperimentali o fuorvianti. «Inspired di Ron Magril è disco jazz suonato in purezza, dove per purezza s’intende piena adesione ai dettami di un idioma permeabile, ma fermo nelle sue regole di base. Il resto lo fanno l’inventiva e dinamiche relazionali fra i tre musicisti.

L’opener, «Playing For Wes« è una dichiarazione d’intenti. Un’inequivocabile ode da parte di Magril al suo mentore ideale, al di fuori di qualsiasi tentativo di tributarismo calligrafo. Si ha come l’impressione che Wes compaia solo per dare la benedizione al suo devoto seguace, che al netto di un’ambientazione riferibile a talune formule descrittive del passato, si muove su un tracciato più accidentato e meno scolastico del classico hard bop, inanellando una scatena di cambi di passo e di svolte improvvise. Di seguito, «Twists And Turns», un originale mid-range segnato da una serie di fermate e ripartenze, che determinano, in prima linea, un equilibrato intreccio tra chitarra e organo, mentre la batteria diventa incisiva ed energivora, pur non debordando mai verso il baratro dell’inconcludenza. «Neri» è una ballata brunita e sognante, eseguita al chiaro di luna sotto un cielo ammantato di pensieri, in cui emergono implicazioni affettive e genitoriali, mentre la chitarra e l’organo camminano mano nella mano parlando al mondo in maniera quasi sussurrata. «Mi è venuta in mente, mentre pensavo a mio figlio», dice Magril. «Minor Blues», nome omen, il tipico blues in forma e sostanza, in cui il chitarrista, sostenuto dall’incessante apporto del kit percussivo, offre una saggio della sua tempra strumentale e dell’innata capacità di astrarsi da un contesto che, diversamente, potrebbe risultare piuttosto scolastico. «Another One For Wes» è un altro tributo diretto ed inequivocabile al principale canale di assorbimento nutrizionale ed ispirativo. Montgomery è di per sé paradigmatico, ma i tre sodali riescono ad oltrepassare il guado dell’hard bop di maniera e del boogaloo a controllo numerico, dilatando la trama accordale ed il flusso melodico attraverso improvvisazioni ampi e dialoganti. «Cool Breeze» è un vento leggero fatto di note spaziate che si addensano lentamente per dare vita ad una melodia distesa, quasi un intervallo fra un prima e un dopo, tanto da diventare una camera di decompressione. «Vorrei che arrivasse come una profonda boccata d’aria fresca», sottolinea il chitarrista. «Africa», già presente in un precedente lavoro di Magril, viene riletta in una chiave diversa, caratterizzandosi come una lunga distesa progressiva, simile alla terra che l’ha ispirata. Un piccola Odissea sonora di oltre dieci minuti, segnata da cambi armonici e repentini mutamenti delle frazioni temporali che sembrano cogliere appieno l’essenza della componente afro-ritmica tipica del jazz di ogni latitudine. In chiusura, «Friday», il preambolo ad un rilassato fine settimana che, a detta di Magril, determina una sorta di «pigra jam da venerdì pomeriggio», in cui il sangue blues zampilla a fiotti descrivendo umori e stati d’animi cangianti. Registrato al Pluto Studio di Tel Aviv, «Inspired» di Ron Magril è un disco dai ricercati intarsi armonici e dalle ricche trame melodiche, in cui sapienza compositiva ed esecutiva ristabilisco i canoni di un modello di jazz classico dall’impatto contemporaneo.

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