Un viaggio di andata e ritorno fra post-bop contemporaneo e reminiscenze del passato: «Polaris» dei Trinetones (Emme Record Label, 2025)

// di Francesco Cataldo Verrina //
I cinque sodali agiscono con buona sinergia ed un discreto senso della collegialità, senza mai eccedere nel virtuosismo dimostrativo che, generalmente, risulta essere una delle pecche più evidenti dell’opera prima.
Le note di copertina parlano di un viaggio tra Nord e Sud Italia, in realtà, l’orizzonte dei Trinetones è molto più ampi0 e getta un ponte tra un’America, sia pur lontana, «dall’altra parte della luna», come avrebbe detto Lucio Dalla, ed un effluvio di sonorità che affondano le radici nelle italiche melodie. «Polaris», pubblicato dalla Emme Record Label, è un lavoro contemporaneo che attinge a piene mani a quel post-bop molto amato nei club newyorkesi, nonché ad un coacervo di esperienze vissute dai Trinetones a contatto con le loro terre d’origini, tra Puglia e Sicilia, tra mondi immaginari, viaggi, reminiscenze ed ataviche suggestioni.
Il disco d’esordio dei Trinetones nasce da un trio ampliato in quintetto grazie alla partecipazione di Giovanni Balistreri al sax tenore e Filippo Schifano alla tromba, mentre Domenico Sanna al pianoforte, Marco Lenoci al contrabbasso e Francesco Cotugno alla batteria, costituiscono invece la struttura originaria dell’ensemble. I tre soci in affari tengono a precisare che questo progetto rappresenta un percorso iniziato nel Nord Italia tra le Alpi Orobie nell’autunno del 2022, frutto dell’incontro di tre amici musicisti provenienti dalla Puglia e dalla Sicilia. I cinque sodali agiscono con buona sinergia ed un discreto senso della collegialità, senza mai eccedere nel virtuosismo dimostrativo che, generalmente, risulta essere una delle pecche più evidenti dell’opera prima.
L’album si apre con la title-track «Polaris», dal nome latino della stella polare, che sin dall’antichità ha guidato i viaggiatori verso Nord. La struttura del brano è quasi itinerante e scandita dalla retroguardia ritmica come se volesse indicare le coordinate del viaggio, fatto di pause e ripartenze, mentre il sax, dalle marcate influenze coltraniane, sembra a tratti dileguarsi negli anfratti di quel sound molto caro ai musicisti nordici, fatto di spazialità e dilatazione armonica. A seguire, «Chavez», ispirato all’impresa dell’omonimo aviatore peruviano che per primo trasvolò le Alpi, ambizioso di poter sfiorare il cielo. Introdotto dal basso, il componimento sembra innalzarsi e planare ripetutamente, mentre la tromba diventa l’io-narrante con il piacevole contrappunto del sassofono. Il quintetto distilla un flusso sonoro, in cui i due strumenti a fiato si fanno promesse per l’eternità, a volte alzando la temperature ed incalzando sul groove, mentre in altre circostanze si abbandonano alla componente emozionale, lasciando spazio a un lirismo melodico con la complicità del pianoforte, così come accade in «Stockholm Street», metafora di un luogo vissuto, una strada da cui provengono le esperienze del passato tese ad arricchire il cammino del presente. «Trinacria», ispirato al nome antico della Sicilia, diventa un’ode alle proprie radici e alle musiche popolari del Sud Italia, quasi un cantico dagli umori ancestrali, magnificamente spalmato su un substrato ritmo-armonico metropolitano ricco di contrasti e colpi di scena. «Mountain Mates», rafforza il primigenio legame a tre del progetto Trinetones, mentre i due ospiti restano in stand-by. Il componimento è impostato su un serpentino mid-range esplorativo, in cui il basso funge da indicatore di marcia. In chiusura «To Trane», un omaggio non calligrafo al decano del sax tenore, approntato con personalità e vicino all’ipermodale di «Giant Steps». La sequenza narrativa delle tracce è impostata in maniera alquanto congrua, soprattutto depone dalla parte dei Trinetones il fatto di aver operato solo su farina del loro sacco, ma forse un paio di composizioni in più avrebbero dato una visione più ampia delle loro credenziali artistiche che, in nuce, sono ben evidenziate, ma vanno arricchite osando di più. Con «Polaris», che non manca di immediatezza e di originalità, il primo little step è stato compiuto. Ora si aspetta il passo successivo.
