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«Ramblin With Bley» promulga una pagina musicale di notevole rilevanza, non soltanto per la rarità del documento, ma per la qualità dell’interazione e per la capacità della terna di traslare un repertorio eterogeneo in un costrutto concettuale coerente.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Dopo la prima edizione scarsamente distribuita dall’etichetta Actuel nel 1969, la sessione romana del 1° luglio 1966 venne pubblicata, nove più tardi dalla Red Records, grazie all’interessamento di Alberto Alberto, Cicci Foresti e Sergio Veschi, all’epoca maggiorenti della label milanese. La registrazione restituisce una testimonianza preziosa del percorso di Paul Bley in un momento di transizione fertile, quando il suo linguaggio pianistico si apriva ad una dialettica sempre più in bilico tra rigore formale e libertà improvvisativa. L’origine del nastro rimane avvolta da una certa opacità documentaria, ma proprio questa condizione ne accresce il valore storico, poiché consente di osservare il pianista in un contesto europeo, affiancato da Mark Levinson al contrabbasso e Barry Altschul alla batteria, entrambi già allora musicisti di solida formazione e dotati di una sensibilità cameristica che si riflette nell’outfit acustico dell’intero trio.

Il triunvirato opera nel solco di un post-bop avanzato, radicato nella tradizione afroamericana e arricchito da inflessioni europee e riferimenti alla musica accademica. Tale sistema operativo produce un impianto sonoro stratificato, nel quale la linearità melodica di Bley si confronta con la trama ritmica di Altschul e con la fisionomia del suono di Levinson, sempre incline a un fraseggio asciutto e meditato. L’interazione procede secondo una procedura di continua ridefinizione degli spazi: il pianoforte non sovrasta, bensì dialoga con le pulsazioni del contrabbasso e con le geometrie percussive della batteria, generando un ambiente espressivo in cui ogni gesto musicale trova una collocazione necessaria.

Il repertorio scelto per questa sessione rivela la rete di relazioni artistiche che circondava Bley in quegli anni. «Ida Lupino» reca la firma della consorte Carla Bley, la cui scrittura, già allora incline a un lirismo obliquo ed a una costruzione modulare delle frasi, offre al trio un terreno fertile per esplorazioni armoniche asimmetriche e divergenti. «Mazatalon», cofirmato da Paul e Carla, mostra un disegno tematico più frastagliato, nel quale il pianista modella linee spezzate e improvvise aperture modali, sostenuto da un contrabbasso che ne amplifica le tensioni interne e da una batteria che ne accentua le deviazioni ritmiche. «Ramblin», proveniente dal repertorio di Ornette Coleman, introduce un diverso tipo di energia: la struttura melodica, apparentemente semplice, permette al trio di far emergere un interplay più diretto, quasi una conversazione in tempo reale che sfrutta la libertà colemaniana per ridefinire il rapporto tra melodia e percussione. «Both», «Albert’s Love Theme» e «Touching», firmati da Annette Peacock, cantautrice e moglie del contrabbassista Gary Peacock, aggiungono un ulteriore livello di complessità: la scrittura della compositrice americana, spesso orientata verso un lirismo rarefatto e interiormente sedimentato, invita Bley a un pianismo più introiettato, nel quale le armonie si dispongono come velature acustiche e le linee melodiche si sviluppano secondo un andamento quasi narrativo.

Nello specifico, l’opener «Both» si colloca in una zona di energia frastagliata, con un tempo rapido e irregolare che permette al trio di muoversi secondo una procedura quasi centrifuga. Il pianoforte insiste sul registro grave, articolando grappoli di note che generano un moto rotatorio, come se il suono scivolasse in avanti senza mai stabilizzarsi. La retroguardia interviene con colpi netti e mirati: Levinson definisce un asse interno asciutto, mentre Altschul frammenta la pulsazione con una precisione assertiva. L’insieme evoca la furia controllata del primo Cecil Taylor, ma filtrata attraverso la lucidità analitica di Bley, sempre incline a riplasmare la materia sonora in un organismo mobile e imprevedibile. «Albert’s Love Theme» si apre a una dimensione più meditativa. Il pianoforte procede con un passo contemplativo, quasi assorto, lasciando emergere un profilo melodico che si distende come una scia di luce tenue. Il contrabbasso e la batteria sorreggono il discorso con un comping essenziale, fatto di tocchi minimi e di un respiro cameristico che amplifica la profondità del brano. Nei nove minuti abbondanti, ciascun musicista trova un proprio spazio espressivo: Levinson scolpisce un assolo dal carattere introspettivo, Altschul lavora su micro-variazioni timbriche, mentre Bley modella le gli accordi con un senso figurativo che rimanda a un impianto frastagliato, sempre in equilibrio tra elegia, poetica ed astrazione. «Ida Lupino» assume le sembianze di un’ode sommessa, costruita su un’escavazione armonica che procede verso il fondo, come se il pianoforte cercasse una voce interiore da far emergere lentamente. L’andamento cinematografico suggerisce un commento in tempo reale, quasi un accompagnamento immaginario alle vicende di Ida Lupino, figura di attrice e regista tra le più aperte alle istanze moderniste e alle tensioni femministe del suo tempo. Il trio lavora con una delicatezza estrema: Levinson interviene con note isolate, Altschul disegna ombre percussive, mentre Bley lascia che il tema si dipani come un pensiero che affiora e si ritrae.

Con «Ramblin» avviene un cambio di prospettiva. Il trio affronta l’ordito tematico con un post-bop venato di libertà, nel quale il pianoforte incasella progressioni oblique su un tempo che si deforma e si riaggrega di continuo. Levinson e Altschul assecondano il gioco del band-leader con una vitalità contagiosa, abbandonandosi a lunghi assoli che ampliano la gamma dinamica del brano. I cambi di passo si susseguono con naturalezza, mentre la dissonanza cresce progressivamente, traducendo la composizione in una fucina di tensioni e rilasci. L’interpretazione non mira alla fedeltà, bensì ad una reinvenzione che rispecchia la poetica di Bley: libertà come metodo, non come gesto estemporaneo. «Touching» conforma un’atmosfera più introspettiva. Il pianoforte distribuisce le note con parsimonia, come se ogni suono dovesse trovare una collocazione precisa all’interno di un’aura fonica brunita e rarefatta. Levinson e Altschul imbastiscono un tessuto sonoro discreto, quasi un velo che avvolge il pianoforte senza mai soffocarlo. L’episodio assume una qualità ipnotica, inquieta, sospesa su un corda flessibile che non cerca risoluzioni, ma preferisce indugiare sulle sfumature. In chiusura della seconda facciata, «Mazatalon» riporta il trio ad una dimensione più energica e disinibita. Il pianoforte disegna linee zampillanti, arcuate, animate da un impulso ritmico che richiama la vitalità delle sessioni più incandescenti di Bley. Il contrabbasso e la batteria incrementano la partitura con decisione, dando vita ad un ambiente sonoro compatto e vibrante. L’episodio si sviluppa come un flusso continuo, nel quale l’interplay raggiunge una chiarezza quasi geometrica: ogni gesto trova risposta, ciascuna deviazione apre un nuovo varco, qualsiasi tensione diviene un’occasione di rilancio

Nel complesso, «Ramblin With Bley» promulga una pagina musicale di notevole rilevanza, non soltanto per la rarità del documento, ma per la qualità dell’interazione e per la capacità della terna di traslare un repertorio eterogeneo in un costrutto concettuale coerente. La registrazione romana del 1966 attesta un momento in cui Bley, Levinson e Altschul operavano con una lucidità creativa che univa rigore, immaginazione e una profonda consapevolezza delle possibilità armoniche del trio jazz, dove ciascuna pagina musicale diventava il tassello di un discorso più ampio, nel quale la forma non si irrigidiva mai, ma si rinnovava costantemente nel gesto, nel respiro e nella tensione interna del suono. Il disco è stato ristampato su CD nel 1995, sempre dalla Red Records, ma il fascino del vinile rimane immutato, specie con gli autori dei titoli che non corrispondono: sul vecchio microsolco, etichetta e copertina mostrano qualche incongruità.

Paul Bley

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