Il racconto di Chet Baker a Città di Castello, attraverso il libro di Francesco Cataldo Verrina e la musica del Baker Street Trio

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L’incontro si terrà, il 7 novembre, a partire dalle 21.00, presso The Frame-Art Lab, in via Sant’Antonio, 3, a Città di Castello (PG), con ingresso libero fino ad esaurimento posti.

// a Cura della Redazione //

Cercare di comprendere la figura di Chet Baker attraverso la lettura e la narrazione da parte dell’autore di un libro a lui dedicato, con l’accompagnamento di un gruppo che sottolinei le varie fasi musicali della sua carriera, può diventare un’esperienza olistica e totalizzante ed un’immersione profonda nelle pieghe di un personaggio dalle infinite contraddizioni. L’incontro con la storia e la musica di Chet Baker, a Città di Castello, presso The Frame-Art Lab, venerdì 7 novembre a partire dalle ore 21.00, organizzato dall’associazione Città di Castello Jazz & Blues, con il sostegno di Marco Sarti Jazz, del web magazine DoppioJazz ed il patrocinio del comune, offrirà tutto questo ed anche di più.

Chet Baker si può amare o detestare, essendo stato un unicum, una sorta di «prendere o lasciare», la cui musica, unitamente ad un’attività concertistica e discografica, spesso frammentari e di necessita, con circa duecento album all’attivo, ha subito i contraccolpi, le incongruenze e gli imprevisti di una vita dissoluta e consumata sul filo del rasoio, lontana dai lumi della ragione ed offuscata dai fumi dell’alcool e delle droghe. Per contro, la sua musica, e non di meno la sua voce foriera di un canto elegiaco, si traducevano sovente in una sorta di arma di seduzione di massa. Dense di pathos, di sentimentalismo a presa rapida e di sofferenza, reale o studiata alla stregua di una postura funzionale, le performance del trombettista dell’Oklahoma hanno sempre diviso, perfino i suoi colleghi su due schiere, l’una contro l’altra armata. Da una parte i sostenitori, facile preda di quel fraseggio preciso, levigato e sempre assiepato in una sorta di zona comfort che non elargiva mai troppe digressioni sul piano tecnico, almeno rispetto ai canoni evolutivi del vernacolo afro-americano; un modus operandi quello di Chet Baker che ha disseminato, peraltro, una lunga scia di epigoni, specie fra i musicisti europei, tanti anche in Italia. Sull’altro fronte, i detrattori che l’hanno considerato sempre marginale rispetto a tutte le evoluzioni storiche che, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, molti colleghi bianchi, ma soprattutto afro-americani, hanno impresso nell’idioma jazzistico spingendolo sino alla contemporaneità. In tanti fra questi – nondimeno molti fra musicologi, critici, studiosi e storici del jazz – l’hanno additato, sistematicamente, come un compositore occasionale, nonché un modesto conoscitore dell’armonia, il quale avrebbe usato il vernacolo jazzistico in maniera non dissimile a un deposito di standard da cui attingere, nonché capace di irretire soprattutto il pubblico bianco. Probabilmente la verità, come sempre, sta nel mezzo.

Nella serata di Città di Castello, Francesco Cataldo Verrina, autore non allineato, porterà una sua visione del trombettista, descrivendone la vita e gli atti più significativi della discografia, di certo, non in maniera conforme al racconto spesso omologato, che i media e tante pubblicazioni, specie europee, ne hanno fatto nel corso degli anni. Già il titolo del libro: «Chet Baker, Vissi d’Arte, Vissi d’Amore», per quanto attinente – e l’autore ne spiegherà le motivazioni – si presta a diverse interpretazioni. Il racconto del musicista dell’Oklahoma, che per motivi dei comodità editoriale, è sempre stato associato al West Coast Jazz, verrà proposto mediante un realismo rigoroso e scevro da qualsiasi retorica, tributarismo accademico o nostalgismo. Contestualmente, la musica rivisitata dal Trio Baker Street / Memories Of Chet (Diego Ruvidotti tromba e flicorno, Luca Grassi contrabbasso e Marco Pellegrini batteria) svilupperà l’ambientazione più congrua alla storytelling dell’autore, il quale intercalerà i propri commenti alle esecuzioni scelte per l’evento, collocandole nella corretta dimensione storica e spazio-temporale. La scaletta musicale metterà in risalto alcune variabili, rispetto al modus operanti di Chet Baker, ossia tra il giovane musicista di belle speranze, ammirato perfino da Charlie Parker, paragonato ai divi del cinema e preso a modello da alcune riviste di moda, e il tossicodipendente legato alla fuga in Europa, costretto ad una vita raminga, fatta di espedienti, tra Germania, Francia, Inghilterra, Paesi Scandinavi e Italia (il nostro paese ebbe un peso determinante nella sua vita); non ultimo, il bohémienne apolide, incontrollabile, incappato più di una volta nelle maglie della giustizia, irascibile e bugiardo che sparlava dei colleghi americani, mettendo a soqquadro le vite di quanti gli stavano vicino, perfino violento con le donne, ma soprattutto schiavo delle droghe e schiacciato da un modo di vivere caotico al limite del lecito; sino a giungere alla parte terminale di una parabola esistenziale ed artistica, sempre segnata dagli imprevisti e dalla precarietà, in cui il trombettista, conscio che il tempo a sua disposizione stava per esaurirsi, produrrà alcuni capolavori, legandosi a varie etichette europee e ad alcuni validi autori capaci di intercettarne il mood e di immedesimarsi in lui, prima che la sua morte, ancora avvolta nel mistero, non porrà fine al travaglio esistenziale di colui che potrebbe essere definito, senza tema di smentita, il più grande intrattenitore jazz del Novecento.

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