Dal ritmo delle macchine al respiro dell’acqua: l’esordio dei Prolex, cartografia sonora di una generazione iperconnessa (Auand Records, 2025)

0
Prolex_Cover_Ante

«Prolex» non va letto come un semplice esordio, bensì come un atto di auto-definizione, un tentativo di cristallizzare in forma musicale le inquietudini e le aspirazioni di una generazione che vive sulla soglia fra iperconnessione e smarrimento.

// di Cinico Berallot //

La prima pubblicazione dei Prolex, edita da Auand Records, reca con sé la forza inaugurale delle produzioni che intendono non soltanto presentare un line-up, ma già fissarne l’identità, dichiararne l’orizzonte di senso e delinearne l’estetica. L’album omonimo – in verità un EP – si colloca, infatti, come manifesto sonoro di una generazione cresciuta all’interno di un universo iperconnesso e vertiginosamente accelerato, in cui l’imperativo della perfezione e l’impossibilità dell’errore hanno generato forme nuove di solitudine e di estraneazione. La musica di Maurizio de Gennaro (chitarra), Fabio Angeli (basso) e Matteo Stefani (batteria) si pone dunque quale testimonianza artistica di un vissuto collettivo, ossia quello di chi, nato nei primi anni Duemila, si confronta con l’inaridimento dei ritmi naturali e con un costante senso di inadeguatezza, trasformando tale esperienza in materia sonora.

La scelta di strutturare «Prolex» come un concept album non obbedisce ad un disegno programmatico di tipo narrativo, quanto piuttosto a una volontà di creare un continuum emotivo e timbrico che riflette la condizione esistenziale dei suoi autori. L’improvvisazione, lungi dall’essere esibizione virtuosistica, assume il ruolo di dispositivo narrativo, una sorta di scrittura istantanea che alimenta la coesione del trio e preserva il carattere collettivo dell’opera. In questo senso, la rinuncia a lunghi soli individuali non va intesa come negazione della personalità dei singoli musicisti, ma come strategia estetica, dove l’intenzione è privilegiare la coralità, l’unità timbrica, la riconoscibilità di un suono che ambisce ad essere tanto flessibile quanto identificabile. Il percorso compositivo risulta volutamente fluido, tanto che talvolta scaturisce da un’idea pressoché compiuta, altre volte si origina da schizzi embrionali o da jam session che si trasformano in tracce definite. Tale varietà di approccio testimonia la volontà del gruppo di evitare gerarchie rigide e di mantenere vivo il carattere dialogico della creazione musicale. Questa apertura si riflette nella gamma stilistica dell’album, che non riconosce confini di genere e si colloca in un territorio ibrido, in cui la stratificazione di riferimenti sonori diventa cifra estetica piuttosto che somma eclettica. L’ascolto dei quattro titoli rivela come il trio sappia coniugare energia propulsiva e sospensione contemplativa. «(vai in vacanza col) Cane» rivela una dimensione ironica e spigolosa, sorretta da un interplay serrato che rende palpabile la tensione fra libertà e controllo. «Tyrrell P34», con il suo titolo che richiama un’iconica vettura di Formula 1, suggerisce una musica dal passo rapido e dalla costruzione complessa, capace di evocare un senso di velocità tecnologica che diventa metafora del presente. «MAS», unica composizione firmata dal solo Angeli, appare come il brano più introspettivo, quasi un momento di riflessione interiore che si dipana con andamenti più meditativi. Infine «When The Water Rests» dispiega un lirismo sospeso, in cui l’evocazione dell’elemento acquatico coincide con un desiderio di tregua rispetto al ritmo implacabile del mondo contemporaneo.

«Prolex» non va letto come un semplice esordio, bensì come un atto di auto-definizione, un tentativo di cristallizzare in forma musicale le inquietudini e le aspirazioni di una generazione che vive sulla soglia fra iperconnessione e smarrimento. La sua forza non risiede nella spettacolarizzazione dell’individuale, ma nella capacità di dare voce ad un’esperienza condivisa, traducendo in linguaggio sonoro l’inquietudine e la vulnerabilità del presente. In «(vai in vacanza col) Cane», la materia ritmica dei Prolex si presenta con un fitto tessuto percusso che evoca un moto perpetuo e instabile. La batteria di Matteo Stefani impone moduli ritmici che si intersecano con l’estrazione pulsante del basso di Fabio Angeli, generando un impulso che, sebbene propulsivo, conserva una tensione controllata. La chitarra di Maurizio de Gennaro, evocativa più che virtuosistica, riporta alla mente colori sonori occasionalmente abrasivi oppure carezzevoli, ma sempre con lenti processi dinamici. Si arriva così a percepire un dialogo continuo fra scansione ritmica e atmosfera dissonante. L’improvvisazione vive come respiro collettivo, non invade la forma, ma la sostiene da dentro, contribuendo ad un equilibrio dinamico dove l’anelito verticale dell’energia si misura con un controllo sottile della densità sonora. «Tyrrell P34», che – come accennato – rimanda alla storica monoposto di Formula 1 Tyrrell P34 a sei ruote, sembra cristallizzare l’idea di velocità meccanica e compressa nel gesto sonoro. La struttura ritmico-armonica si dispiega come un circuito meccanico, dove la scansione ritmica risulta precisa, quasi ostinata, mentre le scelte armoniche si orientano verso intersezioni tra modulazioni brusche e progressioni lievi densificazioni scandite dal basso. La chitarra, talvolta sfrangiata da accenti grevi, si muove per piccoli cluster tonali o motivi spezzati che evocano il meccanismo complesso dell’automobile. L’impressione è quella di un suono ad orologeria, composto da elementi che procedono secondo un disegno interno serrato, ma che, nel loro insieme, producono un senso di accelerazione concatenata, simbolo sonoro di una contemporaneità in corsa, affetta da una vertigine di ordine e ansia.

«MAS», firmata esclusivamente da Fabio Angeli, assume una posizione concettuale differente, come un tempo riflesso, interiore. Il fraseggio basso-chitarra pare confluire in un dialogo meditativo, dove la linea di basso diventa centro di gravità ed invito alla modulazione timbrica. L’andamento rallentato e ponderato favorisce l’emergere di dettagli armonici, quali microvariazioni di registro e timbro che spalancano lo spazio riflessivo della composizione. La batteria, discretamente minuta, sembra intonarsi a questo respiro introspettivo attraverso una dinamica contenuta, quasi sussurrata, che valorizza la torsione armonica degli intervalli minori o l’uso di colori meno convenzionali. L’ambiente sonoro chiude un cerchio evocativo, quasi un piccolo, intenso rilievo emotivo in cui la riflessione trova un suo spazio rigenerativo. L’ultimo pezzo, «When The Water Rests», rivela una sospensione tonale che richiama l’immobilità fluida dell’acqua. La tessitura ritmica si fa delicata, sommessa; il contrabbasso o il basso si dilata in inviti melodici che paiono galleggiare su un letto timbrico più rarefatto. La chitarra, con accenti arrotondati, sembra accarezzare invece di penetrare, disegnando armonie diafane che rifuggono l’asprezza. Si avverte una dilatazione del tempo, in uno spazio sonoro che lascia respirare, dove la tensione si scioglie in pause; il risultato è una quasi densità di silenzio dentro il suono, un invito a un ascolto che si fa quasi contemplazione. Determinante è stato il contributo di Francesco Ponticelli in fase di registrazione presso il Cicaleto Studio: la sua sensibilità ha saputo tradurre le intenzioni del trio in un suono coerente e incisivo, capace di restituire la delicatezza e l’urgenza di questa ricerca. Non meno rilevante il ruolo di Marco Valente, fondatore di Auand Records, che ha sostenuto il progetto cogliendone il valore inaugurale e prospettico.

0 Condivisioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *