Alyn Shipton, ricercatore, autore, musicista. Intervista con l’autore della Nuova Storia del jazz

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Alyn Shipton

// di Guido Michelone //

In Italia il nome di Alyn Shipton, oggi settantaduenne, comincia a circolare solo quando la prestigiosa casa editrice Einaudi pubblica la sua Nuova storia del jazz nell’ormai storica collana Saggi (i libroni con la costola arancio scuro, quasi vermiglio) dove, sull’argomento, nel 1965 era uscita l’ormai topica Storia del jazz di Barry Ulanov. Da allora però nessuno, in Italia, che si sia affrettato a conoscere meglio l’Autore, magari traducendo alcuni dei suoi molti altri libri di grande valore oppure invitandolo a suonare in uno dei gruppi con cui collabora o che ha fondato (ma si sa che nel nostro Paese gli stili ante bebop, che pur si sono evoluti e aggiornati sono off limits per critici, organizzatori, musicisti non si sa per quali ragioni). Con la sola eccezione del Prof. Luca Cerchiari, non ha mai nemmeno avuto il piacere di partecipare a convegni, dove invece gli inviti a giornalisti locali senza nemmeno una laurea si sprecano quasi ovunque. E poi – cosa importantissima – una volta avuto il contatto, chiesto l’intervista, domande per e-mail le risposte, Alyn mi ha consegnato il tutto in meno di 24 ore (come già accadutomi con luminari di tutto il mondo): alla faccia di certi giornalistini tricolori (e trinariciuti, si potrebbe aggiungere) che ti fanno aspettare per mesi senza poi farne niente.

D In tre parole chi è Alyn Shipton?

R Ricercatore, autore, musicista.

D Mi parli del primo ricordo che hai della musica jazz?

R Da bambino ho iniziato ad ascoltare la collezione di dischi jazz di mio padre, Fats Waller, Earl Hines e Duke Ellington, in particolare. Verso i cinque anni ho iniziato a scegliere i brani che avevo sentito, come Your Feet’s Too Big o Twenty-four Robbers al pianoforte.

D Quali sono le ragioni che ti hanno spinto a diventare uno storico del jazz?

R Ero interessato a ‘colmare le lacune’ nelle informazioni pubblicate. Il mio primo libro (su Fats Waller, uscito nel 1988) cercava di integrare le informazioni contenute nei libri pubblicati in precedenza, in particolare quelli del suo manager Ed Kirkeby, di suo figlio Maurice e del critico britannico Charles Fox. Ma volevo saperne di più sulle ‘storie che hanno dato inizio alle storie’ e così (a metà degli anni Ottanta) ho intervistato molte persone che avevano conosciuto Fats, tra cui il suo chitarrista Al Casey e il primo batterista del suo ‘Rhythm’ Harry Dial. Ho parlato anche con altri grandi musicisti che avevano suonato o registrato con lui, tra cui il trombettista Jabbo Smith e il suonatore di ance Garvin Bushell. Ho adottato un approccio simile nel mio libro successivo su Bud Powell (all’epoca, 1993, la prima biografia in lingua inglese del pianista), per il quale ho parlato con musicisti che lo avevano conosciuto e lavorato con lui, soprattutto durante il suo soggiorno in Francia. Quando scrissi la mia terza grande biografia, quella su Dizzy Gillespie (1999), portai avanti l’approccio e, oltre a contattare quanti più colleghi sopravvissuti di Dizzy possibile e i suoi familiari, aggiunsi un resoconto dettagliato delle sue registrazioni.

D E parallelamente, quali sono state le ragioni che ti hanno spinto a suonare jazz?

R Ho iniziato a suonare brani jazz al pianoforte molto presto, ma poi ho preso lezioni di pianoforte classico e violoncello. Ho suonato in orchestre locali e in alcuni gruppi da camera. Ho sempre desiderato suonare il contrabbasso, ma inizialmente ero troppo piccolo, ma nella prima adolescenza sono riuscito a trovare un basso un po’ più piccolo di uno strumento a tre quarti e ho iniziato a suonare jazz. Mi piacevano di più i musicisti jazz rispetto ai miei colleghi classici, perché erano più divertenti, e (dall’età di quattordici anni), mentre ero ancora a scuola e continuavo a suonare in orchestra, mi esibivo in concerti jazz professionali con band nelle zone del Surrey e dell’Hampshire, nel Regno Unito. Il mio primo amore è stato il jazz tradizionale, e ho avuto modo di conoscere sia lo stile revivalista di musicisti come Muggsy Spanier, sia la musica di New Orleans di George Lewis, Kid Thomas e Louis Nelson. Andare a New Orleans nel 1976, all’età di 22 anni, mi rese ancora più desideroso di suonare bene questa musica e negli anni successivi ebbi la fortuna di suonare con diversi musicisti di New Orleans in tournée in Europa, tra cui Thomas e Nelson, ma anche con il trombettista Alvin Alcorn.

D Ma ti senti più un musicologo, un critico, un musicista jazz o qualcos’altro?

R Non mi piace pensare in termini di etichette. Probabilmente sono più conosciuto nel Regno Unito come conduttore radiofonico, avendo trasmesso (principalmente di jazz) per BBC Radio dal 1989, ma sono stato attivo per tutto questo tempo come autore, critico per giornali (tra cui il «Times» di Londra per vent’anni) e riviste, oltre che come musicista. Ma sono anche un editore professionista e ho pubblicato molti libri sul jazz di altri autori nel corso degli anni. Attualmente curo la collana di storia della musica popolare per Equinox nel Regno Unito. Tra i titoli più recenti ci sono libri di Brad Mehldau ed Eberhard Weber, biografie di Ray Brown e Keith Jarrett e una storia dell’etichetta discografica Rounder negli Stati Uniti.

D Qual è il tuo metodo di lavoro e di analisi quando scrivi un libro sulla storia della musica jazz?

R Il mio libro più recente, sui Quartetti di Gerry Mulligan degli anni Cinquanta (per Oxford University Press, 2023), ne è un buon esempio. Nel corso degli anni ho raccolto interviste con quanti più suoi collaboratori sono riuscito a rintracciare, inclusi, tra gli altri, i batteristi Chico Hamilton e Dave Bailey, il trombonista Bob Brookmeyer, i bassisti Bill Crow e Henry Grimes (oltre a conversazioni informali con Red Mitchell) e colleghi suonatori di ance come Lee Konitz. Ho poi letto e trascritto ogni articolo di giornale statunitense disponibile su Mulligan dal 1948 al 1962, creando un documento lungo quanto il libro stesso. Questo mi ha fornito date precise, oltre recensioni di concerti e dischi. Ho poi assemblato una discografia completa per il periodo, con ogni sessione di registrazione comprensiva dei brani eseguiti e dei musicisti. Poi ho passato quasi un anno ad ascoltare tutti questi dischi, annotando i dettagli dei brani e trascrivendone alcuni in notazione musicale. Solo allora, dopo diversi anni di lavoro, ho iniziato a scrivere il testo.

D Qual è il libro di cui sei più orgoglioso? E per quali motivi?

R Non è un libro di jazz, ma una biografia del cantautore Harry Nilsson, edito nel 2015. Mi sono innamorato della sua musica e volevo saperne di più. All’epoca non esistevano altri libri su di lui o sulla sua musica, e ci volle una lunga trattativa con i suoi avvocati e la sua famiglia per ottenere l’accesso ai suoi documenti. Ma acconsentirono, e io seguii un processo simile a quello che ho descritto per il libro su Mulligan, ma allo stesso tempo trascorrendo diverse settimane a Los Angeles, per conoscere le zone in cui viveva e lavorava. La sua musica non era particolarmente nota, a parte le sue poche canzoni di successo, tra cui due vincitrici di Grammy, ma mi piace pensare che questo libro abbia contribuito molto a riportare all’attenzione del pubblico l’intera sua opera, e sono molto grato ai membri della sua famiglia e al suo avvocato per il loro aiuto e supporto.

D Quali libri sulla storia del jazz (scritti da altri autori) stimi di più?

R Ho imparato moltissimo da libri pionieristici come Jazzmen (1939) di Smith e Ramsey e, nonostante la sua impostazione molto ristretta, Shining Trumpets (1946)di Rudi Blesh. Questo mi ha portato ad altre analisi generali, tra cui quelle di James Lincoln Collier e, più tardi, di Ted Gioia. Ma credo che la maggior parte di quei libri abbia adottato un approccio più ristretto rispetto al mio nella mia Nuova Storia del Jazz, e attualmente sto lavorando a una terza edizione che uscirà alla fine del 2026 per la Cambridge University Press.

D Chi sono i tuoi maestri nel jazz?

R Ho avuto diversi mentori nel corso degli anni, a partire dal chitarrista e storico Danny Barker, con cui ho scritto due libri. Con il mio strumento ho avuto la fortuna di ricevere incoraggiamento e aiuto da Ray Brown, Jimmy Woode e Bill Crow. Ho imparato molto anche da Nils-Henning Örsted Pedersen. Ma il musicista più influente è stato l’ex trombettista di Count Basie, Buck Clayton. È diventato un caro amico, ho pubblicato la sua autobiografia, mi portava ai concerti a New York e, quando è morto, mi ha lasciato la raccolta della sua musica, che ora suono con la mia Buck Clayton Legacy Band. Abbiamo eseguito le sue opere non solo in Gran Bretagna, ma anche in Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Spagna e Svizzera

D Qual è stato per te il momento più bello della tua carriera di storico del jazz?

R Vincere il premio UK Jazz Writer of the Year e poi il premio della Jazz Journalists’ Association come miglior libro dell’anno per la mia New History of Jazz (uscita nel 2001 e poi in Italia nel 2011). Ma subito dopo, nel 2022, è arrivata la pubblicazione dell’edizione inglese dell’Autobiografia di Tomasz Stanko, e più tardi, nello stesso anno, la presentazione di un concerto che includeva la prima esecuzione delle sue composizioni orchestrali a Londra, con diversi musicisti di spicco, tra cui ex membri della sua band, e la BBC Concert Orchestra.

D Come definiresti la musica jazz?

R Non credo nell’applicare una definizione restrittiva della musica. Mi piace piuttosto l’opinione del lessicografo Dr. Johnson del 1785 secondo cui una definizione del dizionario registra il modo in cui la parola viene usata nel linguaggio e nella conversazione popolare, e che dobbiamo essere sufficientemente aperti da accettare che tali definizioni cambino nel tempo.

D Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associo alla musica jazz?

R Penso che il jazz, come molte altre forme di musica, possa riflettere ogni stato d’animo umano. Ciò che lo distingue è che i musicisti creano la musica in tempo reale e non ci sono mai due esecuzioni uguali.

D Come vedi, in generale, il presente della musica jazz?

R Il jazz gode attualmente di ottima salute. C’è molto da fare in quasi ogni parte del mondo e, sebbene raramente sia la forma musicale più popolare, mantiene una posizione stabile nella società. Come docente di jazz alla Royal Academy of Music di Londra, sono lieto di vedere così tanti dei nostri studenti (e i loro coetanei di altri college) intraprendere carriere di successo su entrambe le sponde dell’Atlantico e di vedere le loro nuove idee concretizzarsi.

D In America c’è ancora la percezione che noi europei consideriamo il jazz una forma d’arte o culturale e non un puro intrattenimento o spettacolo?

R Credo che negli Stati Uniti ci sia una crescente percezione che il jazz sia e debba essere trattato come una musica d’arte oltre che come un intrattenimento popolare, ed è bello vedere questa coesistenza lì e in Europa.

D Quali sono i tuoi progetti musicali per il futuro?

R Voglio continuare a suonare il più possibile, oltre alle mie numerose attività. Mi sono divertito molto negli ultimi dodici mesi suonando il repertorio di Gerry Mulligan con il mio quartetto, continuando a suonare la musica di Buck Clayton e a lavorare con la mia band di appassionati di New Orleans per mantenere viva la musica che ho sentito suonare per la prima volta in città nel 1976. Oltre a rivedere la mia storia del jazz, sono a buon punto con un secondo volume autobiografico che seguirà il mio ‘viaggio personale’ attraverso la musica, On Jazz (Cambridge University Press 2022).

Un percorso biografico

Occorre aggiungere che, oltre quanto detto in prima persona, Shipton dapprima studia formalmente violoncello, pur suonando anche il contrabbasso in una jazz band scolastica. Con entrambi gli strumenti si esibisce nella West Surrey Youth Orchestra partecipando alla prima esecuzione di Tom Sawyer’s Saturday del celebre sassofonista inglese John Dankworth, commissionata per il Farnham Festival.

Dopo una borsa di studio per Inglese alla St Edmund Hall di Oxford, gestisce il jazz club universitario, dove suona suonò con i molti ospiti che vi esibiscono, fra i quali George Melly che, secondo John Chilton, va in tournée con i Feetwarmers rafforzati da Shipton per i concerti del 1973 a Oxford; qui Alyn scrive anche per la rivista studentesca «Isis» e dirige opere teatrali come L’alchimista di Ben Jonson, nutrendo altresì uno spiccato interesse per le arti visive (anche come uno degli autori del catalogo dei dipinti della collezione della St Edmund Hall). Successivamente consegueil dottorato di ricerca in musica presso l’Università di Oxford Brookes.

Dopo l’università, Shipton è redattore presso la Macmillan Publishers, lavorando su libri per la scuola primaria e narrativa per ragazzi. La sua prima pubblicazione risulta un’antologia di racconti sul tema del fantasy per John Murray (1982). In questo periodo suona il contrabbasso nei New Iberia Stompers, per poi unirsi alla band di Sammy Rimington e al gruppo guidato dal grande dixielander Ken Colyer. Negli anni Ottanta Alyn diventa editore dei Grove’s Dictionaries of Music. Come editore musicale presso la Macmillan, crea una serie di storie orali di jazzisti, tra cui le vite di Barney Bigard, Buck Clayton, Adrian Rollini e Bill Coleman. Il suo primo libro sul jazz, una biografia di Fats Waller, viene invece pubblicato nel 1988.

Nel 1987, Shipton si trasferisce da Londra a Oxford per gestire le pubblicazioni di riferimento presso la Blackwell Publishers, fondando anche la casa editrice NCC Blackwell, con il National Computing Centre di Manchester. Inizia a trasmettere sulla stazione radio locale di Oxford Fox FM nel 1989, per poi passare a BBC Radio 3 lo stesso anno con una serie basata sulla vita di Fats Waller. Per sei anni resta presentatore di Jazzmatazz, programma del BBC World Service, collaborando regolarmente alla serie di BBC Radio 3 Impressions, condotta principalmente da Brian Morton dal 1992 al 1998. Dal 1998 al 2001, Shipton conduce il programma notturno Jazz Notes per Radio 3, introducendo poi numerose edizioni della serie di documentari Jazz File.

Oltre i premni da lui già citati, nel 2010 è Jazz Broadcaster of the Year agli UK Parliamentary Jazz Awards. Dal 2007 al 2012 presentaJazz Library su BBC Radio 3, prima di subentrare a Geoffrey Smith nel programma di lunga data Jazz Record Requests. Dal 2016 al 2019, Shipton diventa produttore esecutivo sia della nuova serie di BBC Radio 3 Jazz Now sia del programma di musica classica Sunday Morning di Radio 3 dal 2012 al 2019.

Shipton è autore di biografie su Bud Powell, Dizzy Gillespie (vincitore del premio ARSC per la ricerca sul jazz nel 2001), Ian Carr (2007), Jimmy McHugh (2009), Cab Calloway (2010) e Harry Nilsson (2013).

E proprio la biografia sul cantautore statunitense (1941-1994) vanta un ASCAP Deems Taylor Award per la biografia pop e un ARSC Award per la ricerca sulla musica pop. Il libro successivo nasce dalla collaborazione con il trombonista Chris Barber, per curarne l’autobiografia. A cui fan seguito le memorie della pop star degli anni Sessanta Billy J. Kramer, dal titolo Do You Want To Know a Secret. Shipton scrive di jazz per il prestigiosissimo «Times» dal 1992 al 2012, collabora ancora occasionalmente al giornale fino a oggi; ha scritto di jazz anche per «The Guardian, «The Daily Telegraph», «Gramophone» e «Jazzwise»: per quest’ultima cura una recensione mensile delle ristampe discografiche. È altresì curatore della collana di libri di storia della musica popolare presso Equinox Publishing, tra cui The History of European Jazz (2018).

Shipton risulta pure un musicista attivo per tutta la carriera, collaborando con la London Ragtime Orchestra (con cui incide due LP), la big band Vile Bodies, le band di Bill Greenow Chansons e Rue Bechet, e attualmente è co-leader della Buck Clayton Legacy Band con il CD Claytonia registrato in concerto al Sage di Gateshead da BBC Radio 3 2013. Shipton suona nei dischi via via di Ken Colyer (anche in DVD), Herb Hall, Pat Halcox, Bill Greenow, Sammy Rimington, Bob Wilber Butch Thompson & His King Oliver Centennial Band. Shipton infine insegna storia del jazz in diverse università, tra cui l’Oxford Brookes University e la City University di Londra. Attualmente è docente di storia del jazz e ricercatore presso la Royal Academy of Music di Londra.

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