Enrumbado_ante

Non è un semplice disco, ma un animale strano ed affascinante che parla più lingue, vive in più mondi e non chiede il permesso per entrare in scena. Antonino De Luca e Leonardo Rosselli non si limitano a suonare, ma costruiscono un organismo vivente fatto di fisarmonica, fiati, elettronica ed intuizioni che scorrono come un torrente.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Un tempo confinata alle sue radici popolari, la fisarmonica ha silenziosamente infranto le barriere del jazz accademico per diventare voce autonoma e sorprendente nella musica contemporanea. Grazie al lavoro di pionieri come Richard Galliano e Frank Marocco, non semplici virtuosi, ma veri scultori di linguaggio, questo strumento ha perso il suo alone di nostalgia per acquisire un nuovo statuto timbrico. Oggi la fisarmonica non accompagna: contrappunta, improvvisa ed interroga, entrando nel mondo del jazz non come ospite esotico, ma come interlocutore alla pari, capace di contaminare e di essere contaminata.

Nel caso di «Enrumbado», la fisarmonica di Antonino De Luca non rivendica nulla, ma costruisce tutto con loop, effetti e sintesi, plasma paesaggi sonori, i quali dialogano con il sax di Leonardo Rosselli in un gioco di specchi ed ombre, senza mai ricadere nel pittoresco. Questo è jazz che non cerca l’identità, ma la trasforma; è voce elettronica, concreta, flamenca, brasiliana, mai neutra, mai decorativa. Il costrutto sonoro di «Enrumbado» non ambisce ad essere classificata, e meno che mai collocata in quel reparto un po’ polveroso delle «fusioni di genere». Al contrario, ci si trova dentro un laboratorio acustico in cui non esiste la parola ibrido, bensì nascita. Il duo De Luca–Rosselli non mescola, ma crea. E nel farlo, si concede il lusso di invitare il flauto di Jorge Pardo, che non entra come ornamento, bensì come catalizzatore del progetto. La sua presenza non risulta semplicemente prestigiosa, piuttosto diventa strutturale. L’omaggio ad Egberto Gismonti, ad esempio, non ha nulla di didascalico. Al contrario, diventa pretesto per un viaggio che salta tra i confini culturali e temporali della musica popolare, passando per il flamenco come religione espressiva, il baião come gesto quotidiano, la musica concreta come fotografia dell’abitudine, non solo descrivendo il mondo sonoro circostante, ma reinventandolo senza proclami e con artigianalità che sa farsi arte.

«Enrumbado» non è un semplice disco: è un animale strano ed affascinante che parla più lingue, vive in più mondi e non chiede il permesso per entrare in scena. Antonino De Luca e Leonardo Rosselli non si limitano a suonare, ma costruiscono un organismo vivente fatto di fisarmonica, fiati, elettronica ed intuizioni che scorrono come un torrente. L’incontro con Jorge Pardo non è ospitale, ma necessario: il suo flauto non impreziosisce, ma stravolge in profondità, è un atto rituale che evoca il flamenco, ma lo attraversa senza folklore, di cui rimane un battito irregolare e febbrile. Il disco apre con «Sevilla», dove Jorge Pardo, ospite d’eccezione, soffiando nel suo flauto, dà il via a una geografia sonora senza confini. La fisarmonica di De Luca ed il sax di Rosselli non accompagnano, ma rispondono, suggeriscono ed insinuano come voci che si conoscono da tempo ma si ascoltano ancora con curiosità. Da subito si capisce che il linguaggio sarà fatto di incontro, non di incastro. Poi arriva «Palhaço», la carezza di Gismonti: non riprodotta, ma ricreata. Il duo sembra raccontare il brano come se fosse una fiaba da tramandare, con Rosselli che tesse il filo narrativo e De Luca che ne colora gli angoli. Non è una cover, ma un dialogo rispettoso ed inquieto con una figura mitica; i musicisti non si inginocchiano, ma si avvicinano con mani aperte. Quando si arriva a «Enrumbado», il disco prende coscienza di sé, mentre il titolo diventa stile, quasi il gesto libero ed un po’ ladro del bambino birichino (lôro melandro in portoghese) che vola tra i generi senza fare il nido. È qui che l’anima vagabonda del progetto esplode, tra loop, synth e fraseggi che sembrano rubati ad una festa segreta.

«Baião Quotidiano» è ciò che succede quando il reale viene manipolato con affetto. I rumori dell’abitudine, le tracce del quotidiano diventano danza, senza fungere da maquillage. La ripresa, «Baião Quotidiano (Reprise)», ritorna come una memoria alterata, quasi un sogno ricorrente che cambia colore ogni volta che lo si ripensa. «Sintra», seconda incursione del flauto di Pardo, sancisce il momento più cinematografico, mentre i paesaggi si fanno nebbiosi, le armonie sfumano e lo spazio acustico si dilata. Pardo questa volta si pone in veste di viaggiatore solitario. Il suo flauto appare come una strada nel bosco, seguita da sax e fisarmonica che osservano e non disturbano. Con «Mezzodì» si entra nel silenzio che vibra, quel punto sospeso in cui il tempo si arresta per far respirare il suono; non è un brano, ma assume le sembianze una tregua luminosa. Poi «Sparrow», che vola basso, con leggerezza e grazia, lasciando il segno senza strepiti. Il jazz qui si mostra nella sua forma più discreta e priva di protagonismo. Nell’ultima parte, «Recerca» e «Resiliencia», Il duo chiude con misura, senza fuochi d’artificio, ma con l’intensità che solo le idee vere sanno lasciare. Si tratta di movimento, desiderio e forza che non si piegano; non sono codine emotive, ma spinta finale, come se il disco, anziché terminare, cominciasse a pulsare in chi ascolta. E nel mezzo, il «lôro» figura simbolica, malandrina, capace di trasformare le contaminazioni in affermazioni, l’artigianato in arte ed il sentire in forma. «Enrumbado» non è un album da ascoltare per riconoscere qualcosa, ma per perdersi, poiché non mira al consenso, ma suggerisce un itinerario fatto di radici che non affondano, muovendosi, di strumenti che parlano dialetti diversi, costruendo frasi limpide. Siamo alle prese con un concept che dichiara il diritto alla divagazione come forma d’arte. Il suo merito non è ravvisabile nell’eccellenza esecutiva, ma nel coraggio compositivo. In tempi di formule e certezze musicali, un po’ di malandrina instabilità è proprio ciò che mancava.

1 Condivisioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *