«George Coleman Live At Smalls Jazz Club», un disco che celebra il passato, risplendendo nel presente

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L’album, nel suo insieme, rappresenta uno scandaglio attraverso la storia del jazz mentre l’immarcescibile talento esecutivo ascrive Coleman di diritto all’albo d’oro dei maestri del sassofono moderno.

// di Cinico Bertallot //

Nel cuore di New York, in uno dei luoghi più iconici per il jazz, George Coleman si conferma ancora una volta una leggenda vivente del sassofono. «George Coleman Live At Smalls Jazz Club», pubblicato il 19 maggio 2023, è molto più di un semplice live album, ma è la celebrazione di una carriera straordinaria che attraversa sette decenni di storia del jazz. Coleman, cresciuto tra le influenze blues e jazz, dà vita a una performance memorabile, accompagnato da un trio stellare composto da Peter Washington al contrabbasso, Joe Farnsworth alla batteria e Spike Wilner al pianoforte. La sinergia tra i musicisti è palpabile e si traduce in un meeting che cattura l’anima della musica improvvisata, sotto il segno della migliore tradizione afro-americana.

Il disco si apre con una travolgente reinterpretazione di «Four» di Miles Davis, che trasporta l’ascoltatore direttamente agli anni ’60, quando Coleman era uno dei pilastri della scena jazzistica americana. Il suo fraseggio rimane fluido, ricco di sfumature e incredibilmente espressivo. Il viaggio prosegue con «At Last», in cui Coleman intreccia il suo passato blues con l’eleganza del jazz, creando un’atmosfera intima e struggente. Uno dei momenti più emozionanti del live è la sua interpretazione di «My Funny Valentine», dove il sassofonista esprime tutta la sua abissale emotiva, dando vita a una rilettura che suscita brividi. Il tocco delicato ammanta anche «The Nearness Of You», dove l’esperienza e la sensibilità di balladeer si manifestano tra gli anfratti ogni nota. Non manca un tributo alla città che l’ha accolto per gran parte della sua carriera: l’interpretazione di «New York, New York» è tanto un sentito omaggio quanto una brillante reinvenzione, attraverso una lettura vibrante e intensa del classico di Sinatra. Il disco si conclude con «When Sunny Gets Blue», un pezzo che esprime tutta la maestria del quartetto nel creare un clima evocativo e profondamente toccante. Coleman afferma: «Questo album è un tributo alla nostra grande città e ai nostri meravigliosi fan. Che tu sia di New York o ci venga solo per la musica, sei un vero newyorkese». Ed è proprio questo senso di appartenenza e di storia musicale che rende «George Coleman Live At Smalls Jazz Club» un album imperdibile per gli cultori del jazz, senza distinzione di età e di cittadinanza.

L’opener «Four» – come già detto – è un’ode agli anni trascorsi da Coleman alla corte di Miles Davis. L’introduzione del sassofonista è intensa e lirica, lasciando poi spazio a una travolgente sezione swing in cui Coleman sfoggia il suo fraseggio fluido e una tecnica impeccabile. Il suo assolo è un’escursione tra bebop e hard-bop, arricchito da un interplay dinamico con Spike Wilner al pianoforte. In «At Last» di Mack Gordon e Harry Warren, Coleman si avvicina al mondo del blues con un’esecuzione profonda e carica di sentimento. Il suo sax esprime una nostalgia palpabile, intrecciando il lirismo del brano con una raffinata sensibilità jazzistica. Washington e Farnsworth creano un tappeto ritmico delicato, enfatizzando ogni sfumatura della melodia. «My Funny Valentine» di Richard Rodgers, definita dal batterista Joe Farnsworth «la migliore versione di sempre», diventa uno dei punti salienti dell’album. Coleman sfrutta ogni respiro del suo strumento per conferire al costrutto sonoro un’intensità lirica struggente, giocando con il tempo e la dinamica per creare un’ambientazione quasi sospesa. L’assolo di Wilner aggiunge ulteriore profondità e stille di poesia in musica.

«Meditation» di Antônio Carlos Jobim, è un’incursione nel mondo della bossa nova, con Coleman che abbraccia il mood brasiliano mantenendo intatta la sua identità jazzistica. La sua rivisitazione è fluida e melodica, ricca di nuance armoniche che evocano il romanticismo del brano. L’accompagnamento leggero del trio ne enfatizza ulteriormente la rilassatezza. «Blues For Smalls» a firma George Coleman, è una composizione originale del sassofonista, quale un manifesto della sua anima blues. Il groove è profondo e incalzante, con Farnsworth e Washington che creano un drive ritmico perfettamente calibrato. Coleman si lascia andare in un assolo energico e trascinante, celebrando la tradizione del jazz e la vitalità del Smalls Jazz Club. Una delle performance più toccanti dell’album è sicuramente «Nearness Of You» di Hoagy Carmichael, una revisione brunita e intimista, dove le lunghe frasi melodiche del sax trasmettono un senso di vicinanza e nostalgia, mentre il trio supporta il band-leader con armonie lievi e un groove morbido. «New York, New York» di John Kander e Fred Ebb è un inno alla Grande Mela. L’introduzione risulta vigorosa ed il fraseggio del sassofonista è audace e brillante, trasformando il classico di Sinatra in un autentico costrutto jazzistico, mentre la sezione ritmica ne alimenta la carica del brano con un swing distillato in scioltezza «When Sunny Gets Blue» di Marvin Fisher suggella l’album con un momento di pura poesia musicale. Coleman e Wilner si scambiano frasi melodiche evocative, sviluppando un’aura sognante e malinconica. Il sax espelle ogni nota con una calibratura millimetrica, chiudendo il tema con una senso di riflessione e intimità. «George Coleman Live At Smalls Jazz Club» si sostanzia come un’opera che celebra il passato, risplendendo nel presente, a dimostrazione che la buona musica non ha età. L’album, nel suo insieme, rappresenta uno scandaglio attraverso la storia del jazz mentre l’immarcescibile talento esecutivo ascrive Coleman di diritto all’albo d’oro dei maestri del sassofono moderno.

George Coleman

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