Cligola_Cut

Dice il patron Claudio Donà in un’intervista rilasciata a Doppio Jazz: «Caligola Records – che occupa ormai gran parte della mia giornata – è il modo in cui riesco meglio ad esprimere oggi la mia passione per il jazz. Nata nel 1994 quasi per caso con «Sweet Sixteen», il disco di Keptorchestra con Steve Lacy, l’etichetta è stata fino al 2003 una label di High Tide, società dell’editore Toni Tasinato, che allora distribuiva i cataloghi Enja e Dreyfus. Dopo nove anni e quaranta dischi Caligola è finalmente diventata un’etichetta indipendente, oltre che editore musicale. In trent’anni abbiamo collezionato oltre 350 produzioni discografiche, e nel 2011 abbiamo creato una seconda label, Gutenberg Music, che si occupa di canzone d’autore, blues, rock ed etnica. Qui abbiamo pubblicato, fra gli altri, Max Manfredi, Ustmamo, Djana Sissoko, un reading della poetessa Patrizia Valduga, e siamo riusciti a vincere il Premio Tenco nel 2012 con il cantautore Cristiano Angelini quale migliore opera prima».

// a Cura della Redazione //

Stefano Onorati & Fulvio Sigurtà – «Extended Singularity» (Caligola Records, 2024)

Nato quattro anni fa come estensione del duo formato da Fulvio Sigurtà e Stefano Onorati (Singularity), il quartetto completato da Gabriele Evangelista e Alessandro Paternesi porta avanti nel migliore dei modi una lunga gestazione, non priva di difficoltà, ma alla fine estremamente proficua se questi sono i risultati. C’è un album storico di Don Cherry che nel titolo esprime al meglio la filosofia che guida le scelte musicali del quartetto: «Complete Communion». Nel jazz, questa sinergia positiva viene solitamente definita «interplay». Tutti e quattro i musicisti di «Extended Singularity» sono esponenti di spicco del jazz italiano, hanno un percorso professionale e artistico più o meno lungo alle spalle, eppure in questo caso ognuno rinuncia a una parte della propria personalità per mettersi al servizio del collettivo. I nove brani portati in sala d’incisione – sette di Onorati e due di Sigurtà – sono il risultato di un lungo e paziente lavoro di impercettibili rifiniture sviluppate progressivamente, continui ritocchi. È davvero difficile stilare una classifica, tutti, da qualsiasi punto li si voglia esaminare, presentano numerosi motivi di interesse, dall’ipnotico incedere ritmico di «Thrills» all’astratto e lunare «A Moment and Then», dalla lirica «Parallel Dimension» all’intima, quasi classica, «First Scene». Ci vengono in soccorso a questo punto le brevi ma sentite e sincere note di copertina di Enrico Rava: «Mi sono bastati pochi secondi per essere catturato da questa bellissima musica. Quattro musicisti straordinari che esprimono il loro piacere nel suonare insieme. Una concentrazione assoluta che non si arrende mai. Momenti sublimi in cui ognuno dà e riceve ciò di cui ha bisogno».

Claudio Cojaniz & Alessandro Turchet – «Madeleine» (Caligola Records, 2024)

La collaborazione tra Claudio Cojaniz e Caligola Records è iniziata nel 2004 con «War Orphans», in duo con il trombonista Giancarlo Schiaffini. Il pianista friulano è da tempo uno degli esponenti più originali e coerenti della scena jazzistica italiana, e con «Madeleine» pubblica il diciottesimo album da leader per la nostra etichetta. A distanza di vent’anni esatti, Cojaniz torna nella formazione del duo, uno dei suoi preferiti, affiancando il collaudato e sempre più autorevole contrabbasso del più giovane Alessandro Turchet, con il quale suona da oltre un decennio sia in trio che in quartetto. Il pianista non è nuovo a questo tipo di duo, avendo già sperimentato a lungo e con profitto con Franco Feruglio, contrabbassista della sua generazione, con il quale aveva pubblicato due splendidi album, «Blue Africa» e «Blue Question». Qui troverete le sue sette composizioni, e una nuova accattivante interpretazione della celebre «’Round Midnight» di Monk, il suo modello mai dimenticato, un’ispirazione che vi fa sentire di nuovo in «Buena suerte». Se gli atti iniziali sono lasciati alle melodie malinconiche ed evocative di «Heraklia» e «Acqua Marina», nella festosa e danzante «Guadalupe» si torna a sentire l’Africa, l’amore mai dimenticato. Si può apprezzare anche l’incalzante «Big Sur», dal ritmo sostenuto, dove l’interazione tra il suo pianoforte e il contrabbasso di Turchet, a tratti sontuoso, raggiunge forse l’apice. «Madeleine», ad appena un anno di distanza da «Black», è l’ennesima perla della splendida collana a cui Claudio Cojaniz continua a lavorare, e che i suoi tanti estimatori sperano non finisca mai.

The Last Coat of Pink (K.West/A.Dipace/D.Gallo) – “Water’s Break” (Caligola Records, 2023

Tre anni dopo aver pubblicato «The Last Coat of Pink», Kathya West, Danilo Gallo e Alberto Dipace continuano la loro originale interpretazione del repertorio rock d’avanguardia con questo intrigante e ispirato «Water’s Break». Dopo aver esplorato il repertorio dei Pink Floyd, l’attenzione del trio è ora tutta rivolta alla cantautrice islandese Bjork, una delle figure più visionarie e innovative degli ultimi trent’anni. The Last Coat of Pink è diventato anche il nome di quella che è ormai una band stabile. Dall’esplorazione e dalla reinterpretazione del repertorio della musica popolare, senza distinzione di generi e stili, il trio trae la sua forza originale e la sua ragion d’essere. Il loro omaggio a Bjork è intimo e personale, ma anche rispettoso di certe indimenticabili canzoni che hanno cambiato il corso della musica contemporanea. Il trio ha ormai raggiunto un interplay invidiabile e riesce a padroneggiare con sicurezza anche il materiale più difficile e complesso. Kathya West aveva forse il compito più difficile. Il paragone con Bjork poteva sembrare proibitivo: il risultato invece la conferma come una delle voci più sensibili, raffinate e complete del panorama jazzistico italiano. Brani come «Joga», «Stonemilker» o «Pleasure Is All Mine» sembrano prendere nuova vita in un progetto tanto audace quanto unico, che non ha bisogno di urlare per farsi sentire, perché in questo suggestivo viaggio musicale i sussurri sono più rumorosi delle grida.

Michele Di Toro, Yuri Goloubev, Hans Mathisen – «Trionomics» (Caligola Records, 2023)

Introdotto da Art Tatum e reso popolare da Nat King Cole, il trio pianoforte-chitarra-basso ha raggiunto il suo apice a metà degli anni Cinquanta con il pianista Oscar Peterson. Questa combinazione, sebbene poco utilizzata nel bop moderno e nel jazz d’avanguardia, ha resistito alla prova del tempo ed è tornata in auge con un trio composto da Ron Carter, Mulgrew Miller e Russell Malone. Il contrabbassista russo Yuri Goloubev sembra molto affezionato a questa particolare formazione, visto che a dieci anni dall’uscita di «Standpoint» (Caligola, 2012), che lo vede insieme a Roberto Olzer al pianoforte e Fabrizio Spadea alla chitarra, torna in scena con «Trionomics». In questa nuova e ispirata sessione, registrata nella splendida Sala dell’Ermellino di Milano, Goloubev è affiancato dal pianista Michele Di Toro – con cui condivide una lunga esperienza sia in duo che in trio (con Marco Zanoli alla batteria) – e dal chitarrista norvegese Hans Mathisen. Tuttavia, se dal repertorio di un trio senza batteria vi aspettereste forse una sequela di standard, questi tre artisti vi sorprenderanno con dieci composizioni originali, quasi a sottolineare che questa formazione non è affatto antiquata e legata al passato. Nella loro musica, lontana dal mainstream convenzionale, si avvertono echi sia di Bill Evans che di Lennie Tristano, che guidò un gruppo simile a metà degli anni ’40. È curioso notare come l’unico brano non in trio, «The Call», un piano solo di Di Toro che chiude l’album, sia stato composto da Yuri Goloubev.

0 Condivisioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *