innerr-works_Cover

Il quintetto semina e raccoglie su un fertile terreno sonoro perfettamente dissodato, ritorna sui consolidati e sicuri sentieri del jazz post-bellico, per poi riemergere attraverso l’uso di energie rinnovate e rinnovabili.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Nei meandri della contemporaneità, talvolta è difficile enucleare il jazz nella sua essenza. Lungi dal voler tirare in ballo la vexata quaestio sul che cosa sia il jazz o il suo esatto contrario, o del quanto jazz debba esserci in un disco per poter essere inquadrato in tale ambito. Evitando di aggrovigliarci nei sofismi o ricorrere ad arditi espedienti linguistici giustificativi, possiamo affermare, senza tema di smentita, che «Inner Works» di Luca Cipiciani sia un disco jazz allo stato dell’arte: ne rispetta le regole sintattiche mantenendosi nel cerchio magico della regolarità e della congruenza ritmico-armonica, soprattutto non cede allo sterile tentativo d’involarsi sui sentieri impervi di un facile sperimentalismo sensazionalistico fine a se stesso o di una ricerca di elementi diluenti, i quali, talvolta, abbelliscono la forma a detrimento dei contenuti.

Il lavoro del pianista umbro, sostenuto nel suo excursus sonoro da un line-up di musicisti agili e adattivi, segue le coordinate di un post-bob espanso, in cui elementi della tradizione si rafforzano sulla scorta di suggestioni captate da un radar creativo aperto sull’attualità. Riccardo Catria tromba, Francesco Angeli sassofono tenore, Ruggero Bonucci Contrabbasso e Dino Caravello batteria, pur non rinunciando mai alle loro individualità esecutive, mostrano una perfetta aderenza al costrutto concettuale e armonico del titolare dell’impresa sviluppando insieme la vena compositiva di Cipiciani, autore delle sette tracce contenute nell’album, le quali nascono da un ricco immaginario musicale rispettoso dei maestri del passato ma capace di nutrirsi di una vibrante sensibilità contemporanea. Scrive Cipiciani: «Sette composizioni originali ognuna con un proprio storytelling, ma allo stesso tempo facenti parte del medesimo universo compositivo. Comporre è creare soluzioni ad un problema musicale, attraverso le quali si creano brani unici. Sono proprio gli «ingranaggi interni» a compiere questo atto e dare il nome al disco». Il plot narrativo fa appello al medesimo universo stilistico e si dipana come un volo radente sulle più acclamate formule jazzistiche della seconda metà ventesimo secolo e della lunga tradizione della musica sincopata afro-americana, non attardandosi mai eccessivamente a guardare nello specchietto retrovisore o a ricalcare pedissequamente le tematiche del jazz storico, pur ponendosi sul medesimo lineage evolutivo.

Il quintetto semina e raccoglie su un fertile terreno sonoro perfettamente dissodato, ritorna sui consolidati e sicuri sentieri del jazz post-bellico, per poi riemergere attraverso l’uso di energie rinnovate e rinnovabili. Cipiciani concede molto spazio ai sodali di prima linea, non è difficile capire che la trama sonora degli arrangiamenti sia stata concepita per favorire l’inserimento e l’interscambio ripetuto fra la tromba di Riccardo Catria, portatrice sana di effluvi «hardgroveriani» e di venature «wheeleriane» ed il sax di Francesco Angeli, a tratti, ricco di emulsioni esoteriche di natura shorteriana. Basterebbe ascoltare attentamente l’opener «Slippery Climb», con il suo abito sonoro in tessuto di pregio trapuntato di accentazioni funkfied, per percepire il suono vivido delle metropoli fitte di suggestioni e atmosfere notturne, dove il mood dei jazz-club di un tempo trasforma i nuovi luoghi di aggregazione in un’esperienza intensa e coinvolgente. Dal canto suo, il pianista-leader esprime un mero tappeto armonico dal sapore quasi ambientale e rassicurante, muovendosi in modo perpetuo sullo sfondo, specie nei momenti più raccolti, come una guida talvolta impercettibile ma non assente. «Sintagma» ne è la dimostrazione tangibile ad orecchio nudo: la sua atmosfera soffusa e ammantata di suspance rimanda a talune ambientazioni noir di tipo cinematografico, in cui i fiati incedono in maniera esplorativa e flessuosa, come un gatto nel buio, quasi volessero schivare dei pericoli incombenti. «Imperfetto», introdotto dal piano con note gocciolanti, è una ballata fumé dal sapore retrò ed evocativo, in cui il sax e la tromba si fanno promesse per l’eternità. «Blue Pale Dot» segue i medesimi indicatori di marcia solidificandosi in una ballata dalle nuances autunnali, messe in risalto dal delicato tintinnare del piano e dalla forza di balladeer insita nei due strumenti a fiato, costantemente sostenuti dallo «spazzolato» ondeggiare della retroguardia.

Il cinetico fraseggio degli ottoni e le escursioni della retroguardia ritmica, basso e batteria, continuano imperterrite per l’intero tratturo sonoro attraverso molteplici variabili timbriche e cromatiche, nonché al fine di agevolare l’interplay collettivo. «Axis (Avnod)» è un’elegia magnificata dal piano che diventa l’io-narrante, affidando a due strumenti a fiato suggestive progressioni che spaziano tra l’impeto del sax al limite del free form ed il velluto millerighe adornato dalle cuciture della tromba. Le suggestione dispensate al fruitore risultano infinite con accostamenti possibili e plausibili ai quintetti di Miles Davis, Wayne Shorter, Herbie Hancock, fino ad arrivare alla densità metropolitana di Roy Hardgrove, basta lasciarsi trascinare a valle dalle spire di «Blues For R.C.», un hard-wing sorretto da un passionale intreccio di convergenze sonore collettive ed individuali, in cui ciascuno dei sodali trova il proprio spazio espressivo. L’atto conclusivo è un ennesimo escavo profondo nella tensiottività emotiva: «Step By Step» mostra le sembianze di una ballata progressiva e moderna, dotata di un flusso tematico dall’umore mutevole, segno delle inquietudini della nostra epoca che, passo dopo passo, si addensano in coinvolgente finale. «Inner Works» di Luca Cipiciani non è un disco rivoluzionario, ma non risente dell’eccesso di concetti cumulativi tipici dell’opera prima, frettolosa espressione di colui che vorrebbe dire tutto e subito. Un altro paio di composizioni avrebbero però dato maggiore sostanza al progetto, magari anche qualche standard non troppo inflazionato. Il concept è, oltremodo, equilibrato e non ci sono bollori avanguardistici o esibizionismo muscolare. Del resto, «L’avanguardia sta nei sentimenti», come diceva Massimo Urbani.

Luca Cipiciani
0 Condivisioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *