Roccella Jonica, Rumori Mediterranei: appunti per una riflessione sui jazz festival

// di Guido Michelone //
Risulta sempre difficile, arduo, complesso, ragionare sui festival jazz in Italia, a maggior ragione riflettere a caldo su una kermesse da poco conclusasi quale Rumori Mediterranei di Roccella Jonica. Tuttavia vale la pena discutere subito su quest’iniziativa che fa emergere moltissimi lati positivi su come dev’essere organizzata una manifestazione del genere, che in 43 anni di attività, non ha mai perso la propria identità e ha sempre pensato e offerto la musica attuale fenomeno culturale a 360 gradi, senza dimenticare ciò che sta attorno o a fianco al concerto quale naturale approccio di un’arte – il jazz – che, in quanto sonorità audiotattile improvvisata vive sia di spettacoli dal vivo sia di produzioni registrate (dischi et similia).
Ma affrontare un festival , come sta facendo Roccella Jonica, significa non solo allestire un cartellone di eventi live con grandi jazzisti, ma anche creare tutt’attorno un insieme di attività caratterizzanti: il village con mostre di fotografia e pittura e con l’enogastronomia locale, la presentazione di libri sul jazz, gli incontri e i dibattiti con musicisti, produttori, esperti, le masterclass con gli stessi jazzmen protagonisti la sera prima o dopo. E per quanto riguarda il programma è giusto insistere, come ribadisce il direttore professor Vincenzo Staiano, sulla collaborazione con gli enti locali (Comuni e Regione) e sui progetti originari e sulle anteprime assolute, guardando anche ai rapporti con il territorio: in tal senso la Calabria è terra di musicisti italoamericani che hanno fatto grande la storia del jazz e che per questo hanno meritato il tributo e l’omaggio da parte di solisti e gruppi, orchestre d’oggigiorno.
Per concludere, va segnalato quanto accaduto nelle notti del 2 e del 3 settembre a livello concertistico a cominciare al Footprint Project che ha riscosso immediato successo e genuino entusiasmo da parte del folto pubblico nello splendido Teatro all’aperto: una band di giovani provenienti da Berlino per la prima volta in Italia con una ventata di musica nuova che è difficile da classificare come genere, poiché appare un riuscito mix di jazz, hip-hop, afro-beat, funk, che va oltre il concetto di crossover; i continui cambi di tempo, ritmo e registro della band generano, infatti, un universo sonoro che è in grado di sconvolgere in modo piacevole le aspettative di chi ascolta.
Notevole pure il tributo a Chick Corea da parte del Rotondi Rosen Piccirillo Fiore Quintet, in grado di proporre gli arrangiamenti di composizioni relative ai vari periodi dell’intensa carriera del tastierista scomparso nel 2021 a ottant’anni; pregevoli i contributi di Jim Rotondi alla tromba e Michael Rosen al sassofono (serata in stato di grazia la sua); e rispolverata “Sicily” da molti erroneamente attribuita a Pino Daniele e un brano di Gershwin suonato da Corea, ma erroneamente attribuito a lui.
Da non dimenticare infine la prima assoluta del Luca Cerchiari & Greta Panettieri Quartet, il primo – assai noto come critico e didatta – nel ruolo di story teller per raccontare la vita e l’opera Frank Sinatra, protagonista mondiale nel jazz, nel pop, nel cinema. Di notevole originalità gli arrangiamenti di brani famosi di The Voice da parte del graziosa jazz singer, la quale è ormai diventata la first lady del jazz italiano.
