Agnese Toniutti

// di Guido Michelone //

Agnese Toniutti giovane artista udinese, attiva in ambito classico-contemporaneo quale pianista, performer, ricercatrice vanta al proprio attivo quattro dischi: Lento trascolorare (2020), monografico dedicato alle composizioni di Giancarlo Cardini, Subtle Matters (2021) un’esplorazione delle possibilità timbriche del pianoforte attraverso le tecniche estese, con musiche di LDlugoszewski, Dun, Corner, Sonatas and Interludes for prepared piano (2023) di John Cage e, sempre quewst’anno, un contributo per il primo volume della collezione Fluxus&Neo Fluxus – Stolen Symphony, con brani tra gli altri di La Monte Young, Mieko Shiomi, Dick Higgins. Agnese si avvicina pure al jazz d’avanguardia collaborando al piano preparato con il percussionista Roberto Dani e il clarinettista Claudio Puntin per il progetto Haiku 3 come ella stessa spiega la fine di questa lunga intervista con una sensibilità tutta femminile il suo rapporto costante con l’arte musicale, in un atteggiamento da lei definito, proprio all’inizio, quale curiosità totale verso il linguaggio sonoro.

D. Così, a bruciapelo chi è Agnese Toniutti ?

R. Me lo chiedo da vari anni. Immagino la domanda si riferisca alla sfera professionale. Direi che è una pianista, una musicista, una curiosa di suoni.

D. Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?

R. Mio padre che fischiettava la mattina, dopo essersi fatto la barba, con impeccabile intonazione.

D. Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una musicista?

R. Tutte le altre alternative non avrebbero avuto abbastanza senso.

D. E in particolare una musicista attiva nella prassi della contemporaneità?

R. Curiosità. E un certo fastidio per le ripetizioni che diventano verità assolute.

D. Come colleghi il ruolo di musicista a quello di didatta ad esempio alle lezioni-concerto per l’infanzia?

R. I processi creativi e i processi di apprendimento sono gemelli siamesi. Sono nascite. Mi lasciano ogni volta a bocca aperta dalla meraviglia. Difficile starne lontana, la vita lì è più intensa. Dunque li osservo, cerco di farne parte io stessa e di farne partecipare gli altri quanto possibile, sempre all’interno del mondo dei suoni, l’ambiente in cui mi muovo. Rispetto a questi due processi l’infanzia differisce poco dall’età adulta. Le differenze sono per lo più operative, ma ce n’è una essenziale, invece: bambini e ragazzi possono far germogliare i semi ricevuti molto più facilmente, e la loro forma interna ne viene plasmata in modo più radicale. Dai tempi dei tempi, chi desidera avere presa sui propri cittadini lo sa bene. Ha senso allora trasmettere dei modelli di creatività a dei futuri adulti? Secondo me sì. E’ come insegnargli a costruirsi una bussola, una casa e una via di fuga allo stesso tempo.

D. Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica? O anche, esiste qualche definizione della musica a te particolarmente congeniale?

R. C’è un problema, rispetto alla musica: comprende in se stessa anche il suono e il senso delle parole, ma sfortunatamente il rapporto non funziona al contrario. La parole, per quanto si sforzino, si soffermano solo su piccoli dettagli di un fenomeno, quello della musica, che le travalica completamente.

D. Come vedi le distinzioni tra generi (contemporanea, rock, jazz, folk, ecc.)? Facilitano o no il dialogo tra musicisti?

R. Le distinzioni in senso generale servono a mettere ordine. Dalla nascita del mercato discografico quelle tra generi musicali servono sicuramente anche a vendere. Che dire… come per ogni altro fenomeno, la vita va avanti anche grazie ad analisi e categorizzazioni, dopodiché invece si ferma quando questi stessi processi razionali debordano, non sono più funzionali ma parassiti. Le differenze sono utili a stabilire l’identità delle cose e delle persone, e in questo sono benvenute, anzi fondamentali. Quando però si eccede, e le si utilizza per chiudere cose e persone dentro a scatole separate, il tutto diventa più ridicolo che altro. Mi aspetto nella musica quel che mi aspetterei nella vita: sta al singolo musicista il buonsenso di farsi una bella risata, quando la foga “categorizzatrice” prende il sopravvento.

D. Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionata?

R. Tutti – non sono molti. Ognuno, nella sua diversità, è stato un parto molto desiderato e molto amato.

D. E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?

R. Il lusso di un’isola deserta impone un religioso ascolto del silenzio (umano) e dei suoni del mare.

D. Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?

R. Ce ne sono stati moltissimi e ce ne sono tuttora, tanti inaspettati, quotidiani. Dai maestri veri e propri dei corsi di studio a quelli che ti insegnano tagliando una siepe, riparando una bici, chiacchierando in treno, suonando uno strumento diverso dal tuo. Cantando preghiere sconosciute, componendo un quadro con vecchie traversine del treno. Alcuni libri, concerti, partiture, certi dischi, sguardi, oggetti. Le difficoltà. Il bello della vita è che ti mette sulla strada tutti i docenti, dal livello base ai master di perfezionamento e dottorati, di cui hai bisogno. Il brutto è che se non te ne accorgi, hai perso l’occasione. E fin che puoi ripeti il corso…

D. E i pianisti che ti hanno maggiormente influenzato?

R. Non ho elenchi di nomi da scrivere, o meglio, l’elenco sarebbe lunghissimo. Ho invece un mosaico di immagini fugaci e momenti sonori ispirati di tanti pianisti, quei gesti, quelle frasi musicali, in cui la natura della persona si manifesta e crea uno spazio vasto dove i suoni si espandono. Dove si ascolta sospesi e commossi. E il bello è che, sì, alcuni Grandi della musica ci regalano spesso questi momenti, ma a volte è la presenza totale sullo strumento di un allievo, di un compagno di studi, che ci trasporta altrove.

D. Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?

R. Quando qualcuno si prende il tempo per venirmi a cercare, per scrivermi, e dirmi che la musica l’ha toccato.

D. Come vedi la situazione della musica in Italia?

R. Come uno specchio della situazione della cultura in Italia.

D. E più in generale della cultura in Italia?

R. Come uno specchio della società che si è formata in Italia. Possiamo guardare quel che siamo attraverso i vari aspetti della vita sociale, ambito culturale e musicale compresi. Il quadro non è allegro, per usare un eufemismo, ma il lamento dovrebbe avvenire solo in casi estremi e non rimediabili, come i funerali. Abbiamo già deposto la salma della Nazione? Oppure qualcosa si può fare (e cosa)?

D. Ti interessa il jazz? Come lo vedi da musicista classica?

R. Mi incuriosisce. L’ovvia “differenza”, per tornare al discorso a cui accennavo sopra, è il ruolo sostanziale dell’attitudine improvvisativa, che la classica ha storicamente riassorbito fino ad azzerarlo completamente in favore di altri processi esecutivi. Ma poi mi chiedo: cos’è il jazz?

D. Infine cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?

R. Sono tutti progetti con diverso gradiente di “imponderabilità”, mettiamola così. Un progetto con pianoforte, elettronica e improvvisazione video che andrà in scena questo autunno in Scozia (Ludic Inventions, Covarrubias/Dirse/Riley/Toniutti), la prosecuzione della ricerca sull’opera compositiva di Lucia Dlugoszewski in collaborazione con il festival berlinese MaerzMusik, e un trio con due musicisti eccezionali che lavorano nella terra di mezzo tra jazz e contemporanea (Haiku 3, Dani/ Puntin/Toniutti). Sono tutti e tre progetti in cui, sono sicura, non mancheranno occasioni per meravigliarmi.

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