…un capo musicale in stoffa pregiata, mai ridondante, ma soprattutto lontano dai fragori della contemporaneità affogata nel caos della liquidità mediatica.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Esistono forme di espressione musicale che dal jazz si dipanano verso altri territori, aggiungendo nuove essenze ed arricchendo il contenuto di ambientazioni e di umori molteplici e cangianti. Nell’accezione di jazz contemporaneo, «Ask» di Filippo Cosentino sarebbe perfettamente a suo agio, ma se si scandaglia la profondità del costrutto concettuale, ci si avvede che il tragitto sonoro del chitarrista si espande in molte direzioni, attraverso una confluenza di elementi folk, country, schegge di mediterraneità e reminiscenze eurodotte, a cui il jazz, come impianto strutturale, offre un’intelaiatura sostanziale e malleabile al contempo; una rete a maglie larghe che lascia penetrare idee, suggestioni e pensieri provenienti da ogni angolo dello scibile sonoro. Il formato del trio, piuttosto anomalo nella fattispecie jazzistica, rende possibile la convivenza della chitarra del leader, il pianoforte di Marc Copland, indiscusso anfitrione internazionale, già compagno di John Abercrombie e, non ultimo per importanza, un percussionista d’eccezione che risponde al nome di Daniele Bertone.

Filippo Cosentino, già rinomato autore di musiche per film, propone un plot sonoro finemente elegante ed intenso, ricamato su stoffa di pregio come la colonna sonora di un film, quale messa in scena della vita, da cui trae spunti, colori, immagini, inquietudini, sogni e passioni che si riverberano attraverso sei composizioni originali con l’aggiunta di una take alternativa, tutte avvolte un’aura di leggerezza che si disperde su un vasto territorio ispirativo e contemplativo. L’album si apre con «Leeway», una costruzione jazz-rock, in cui Cosentino puntella il territorio con frasi brevi e scorrevoli per poi affidare al piano di Copland il compito di esplorare le profondità armoniche. I due strumenti si alternano con fare quasi mutualistico, piacevolmente sostenuti dal kit percussivo. Inizialmente la melodia sembra dispensare serenità a piene mani ma, dopo il cambio di passo si arriva ad una fase più intensa, in cui il chitarrista accenna a qualche calibrato virtuosismo caratterizzato da un’intrigante dissonanza armonica locupletata dall’attento groove proveniente dalla retroguardia. In «Beneath« la chitarra di Cosentino s’increspa soavemente come le acque del Mediterraneo, attraverso una narrazione fine ed elegante che sembra riportare in superficie atmosfere lontane nel tempo, a tratti esotiche, che si mescolano ad input provenienti dalla modernità, grazie al perfetto intreccio con le note distillate dal piano di Copland che zampillano come onde seguite nelle loro accavallanti movenze dal metronomico incedere di Bertone.

Lo scandaglio in profondità e fil d’acqua continua con «501 G», riproposta in una versione alternativa sul finale. Trattasi di una struttura sonora imbevuta di blues, nella quale Cosentino sembra accarezzare le corde della chitarra con fare meditativo ed indagatore, soprattutto puntando l’obiettivo verso i misteri dell’universo mentre le note sembrano disperdersi gioiosamente in un abisso di emozioni, in cui tutto appare calmo e disteso e dove gli eccessi e le incomprensioni sembrerebbero dileguarsi man mano che si procede in avanti. «L’astronauta» è una ballata lenta e brunita, in cui emerge qualche stilla di laconica sofferenza, mentre la ritmica quasi accennata ne intensifica il lirismo narrativo ed il forte imprinting emozionale, sottolineato dal pianismo adattivo e solidale di Copland. «Mermaid» dispone di un impianto tematico incentrato su una melodia estremamente seduttiva e dai contrafforti lirici, proprio come la colonna sonora di un film, in cui vengono descritte con garbo e fuori da ogni eccesso virtuosistico le mutevoli capacità emotive della natura umana, mentre il fruitore rimane piacevolmente sedotto ed intrappolato nelle labirintiche spire sonore di Cosentino e Copland accompagnati a tratti, specie sul finale, da un andamento percussivo moderatamente latineggiante. In chiusura «Fallout», dove si allarga lo scenario espositivo del pianista che aggiunge piacevoli intarsi sulla tessitura melodica del componimento, imbastendo insieme sonorità soulful e cadenze metropolitane, tanto che il chitarrista leader ne rimane sedotto facendo suo questo gioco ad incastri durante la progressione improvvisativa. Nella parte conclusiva, da perfetto padrone di casa Cosentino, cede il passo a Copland, servendogli un comping da manuale attraverso un utilizzo della chitarra che ricorda idealmente un basso. «Ask» di Filippo Cosentino, pubblicato dalla Ipogeo Records, è un capo musicale in stoffa pregiata, mai ridondante, ma soprattutto lontano dai fragori di quella contemporaneità affogata nel caos esibizionistico della liquidità mediatica.

Filippo Cosentino

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