«Different Moods, omaggio a Yusef Lateef» di Stefano Conforti Quartet, un album multistrato dal forte impatto emotivo
// di Francesco Cataldo Verrina //
Yusef Lateef, polistrumentista e compositore attivo per oltre quattro decenni, dagli anni 50 agli anni 2000, ha dettato le regole di un particolare stile jazzistico, ancorato alla tradizione, ma sempre in stretta connessione con la modernità e le ricerca di sonorità provenienti dai quattro punti cardinali del pianeta musica, inserendo nelle proprie performance strumenti etnici africani e di altre aree del Sud del mondo come lo Shofar, il Koto, il Flauto Bamboo ed altri. Lateef darà il meglio di sé caratterizzandosi essenzialmente sul sax tenore, flauto e oboe. Dopo gli esordi in piena deflagrazione be-bop, specie a seguito della conversione all’Islam, il musicista di Detroit si avvierà su un percorso sonoro e spirituale che lo condurrà ad una ricerca sonora personale ed a coniare il termine «Audiophysiopsychic» per descrivere la propria musica.
Non era di certo impresa agevole interfacciarsi con humus sonoro di Leteef, ma Stefano Conforti, musicista esperto e di lunga militanza negli ambienti jazz-blues, l’ha fatto con estrema disinvoltura alla testa di un quartetto, che pur rispettando le partiture dello ieratico Yousef, apporta alle tematiche sonore un contributo del tutto personale, riportandole a nuova vita. Il fatto che Stefano conforti sapesse districarsi abilmente sui tre strumenti di elezione di Lateef, sax tenore, flauto e oboe, gli ha consentito di trovare rapidamente il grimaldello per accedere ai misteri eleusini del musicista di Detroit, mentre i suoi sodali, Doriano Narcucci (Trombone, Chitarra Acustica, Percussioni e Didgeridoo), Tonino Monachesi (Chitarra Elettrica), David Padella (Contrabbasso e Basso Elettrico) e Roberto Bisello ( Batteria) gli hanno retto perfettamente al gioco, condividendone l’excursus sonoro con attenta e calibrata devozione alle musiche di un mito del jazz moderno.
Il segreto consiste nel non aver inseguito pedissequamente ed in maniera calligrafica il costrutto sonoro di Lateef, ma di averlo proposto attraverso serie di «Different Moods», sicuramente più contemporanei e scevri da ogni nostalgismo. Il titolo dell’album, in tal senso, appare emblematico. Tutto ciò non significa che l’impianto stilistico ed il mood del polistrumentista afro-americano siano stati alterati o presi a pretesto per il solito tributo, sfruttando un nome preso a caso dall’albo d’oro del jazz moderno. In ogni traccia dell’album i musicisti agiscono con una compostezza esecutiva da manuale, apportando alle singole partiture nuove vibrazioni e rendendo gli otto brani di Lateef ancora attuali e fruibili a circa vent’anni dalla sua dipartita.
L’itinerario sonoro si snoda su un percorso alquanto dilatato, segnato da alcune pietre miliari della carriera del polistrumentista di colore, mettendo in risalto le varie peculiarità e le specificità di un linguaggio multiforme ed ultra-quarantennale. Scorrendo le tracce del disco ci si accorge di quanta varietà e magnificenza ci fosse nell’arte compositiva di questo musicista outsider, diverso per ideologia e stile di vita, rispetto al flusso della corrente mainstream, specie negli anni 60′ e 70′. Si va da un estremo all’altro del continente jazz: «Methaphor» è un distillato di swing che rimanda all’epoca gillespiana, per contro «Belle Isle», del periodo Atlantic, si sostanzia come una fusion funkified dai contrafforti metropolitani.
L’opener «The Golden Flute», uno dei capolavori tardivi della produzione Lateef, è una piccola gemma soulful dal sapore esotico che Conforti e compagni restituiscono al mondo degli uomini in maniera toccante e con un notevole apporto di pathos. Siamo all’incrocio tra jazz e world-music. Del resto tutta la musica di Lateef è una terra di confine. Il passaggio dal bop classico di alta scuola rappresentato da «Yusef’s Mood» a «Spartacus», tema immaginifico e cinematografico, segna un altro iatus tra i vari linguaggi espressivi del polistrumentista afro-americano, di cui gli uomini di Conforti elaborano una riuscita rappresentazione estetica: sublime l’interplay tra flauto e chitarra. «Road Runner è una ballata abissale ed esplorativa che entra in rotta i collisione con il tribalismo flessuoso ed esotico di «Snafu». «Don’t Blame Me» è un fiume carsico di emozioni dai contorni bruniti e crepuscolari, certamente uno dei momenti più toccanti dell’intero progetto.
Prodotto dalla Notami Jazz e registrato in due sessioni, a novembre 2021 ed aprile 2022 in quel di Macerata, rispettivamente presso gli studi Morrovalle e Potekin, «Different Moods, Omaggio a Yusuf Lateef» è un album multistrato dal forte impatto emotivo, dove lo Stefano Conforti Quartet dimostra capacità interpretative e relazionali non comuni ed un’abilità nell’adattamento alle tante facce di una artista complesso e non facilmente contenibile in una specifica casella jazzistica.