Caravan Trio: gipsy jazz vicino alla musica popolare

Caravan Trio
// di Guido Michelone //
Caravan Trio è un ensemble piemontese formato da Vittorio Ostorero e Lorenzo Panero alle chitarre e da Federico ‘Chicco’ Tosi al contrabbasso; per tutti loro il riferimento principale, a livello stilistico-musicale, è il Quintette du Hot Club de France, la mitica formazione parigina con tre chitarre, un violino, un contrabbasso, guidata dallo zingaro Django Reinhardt e dall’italofrancese Stéphane Grappelli che tra il 1934 e il 1940 impose un jazz unico al mondo, il primo genuinamente europeo, a cui tutti all’epoca fecereno riferimento. Abbandonato però nel dopoguerra, quando i giovani jazzmen europei si rivolgono al moderno (bebop e cool), il chitarrismo reinhardtiano in particolare torna in auge una quarantina d’anni fa con un énfant prodige, Birèli Lagrène che a soli 12 anni con l’album Routes To Django spalanca le porte a un vero e proprio revival creativo che continua a fiorire e rifiorire come avviene anche per il Caravan Trio che in quest’intervista inedita, in maniera concisa ma efficiente, esprime le proprie idee sul jazz e sulla musica.
D In tre parole chi è o cos’è Caravan Trio?
R Un viaggio musicale
D Perché questo nome?
R Un omaggio al nostro incontro in viaggio e alla carovana, simbolo della musica gipsy.
D Come vi siete conosciuti e come nasce il vostro sodalizio?
R Ci siamo incontrati a Perinaldo durante un seminario estivo. Il sodalizio si basa sulla passione comune per la musica che ci fa stare bene e divertirci.
D Come definireste la vostra musica?
R Il jazz è indefinibile, come nel film Novecento di Tornatore si dice, “se non sai cos’è, allora vuol dire che è jazz”.
D Possiamo parlare di voi come jazz? Ha ancora un senso oggi la parola jazz?
R Il gipsy jazz è vicino alla musica popolare, basato sull’improvvisazione ma con radici nella tradizione europea. La parola jazz è ancora significativa, ma il nostro stile si avvicina molto alla musica popolare e alle nostre radici italiane ed europee.
D E si può parlare di ‘swing gitan italiano’? Esiste qualcosa di definibile come ‘ manouche italiano’?
R Il manouche è uno solo ed è sufficiente andare l’ultima settimana di giugno a Samois sur Seine per capirlo in modo chiaro. Per l’etnia zingara manouche visitare il luogo dove Django Reinhard ha passato i suoi ultimi anni di vita e tramandare la sua musica suonando e improvvisando per una settimana per 24 ore al giorno è quasi una religione. E’ vero altresì che esiste una scuola italiana di talenti che ha preso ispirazione da Django Reinhardt. Abbiamo la fortuna di conoscere molti di loro.
D Parlateci dei due dischi a vostro nome. Iniziamo ovviamente dal primo.
R Il primo EP Note di mezza estate del 2013 è figlio della necessità di registrare su un supporto fisico la nostra musica per proporci ai locali. Dieci anni fa la musica liquida non la faceva ancora da padrone ed è stato molto naturale chiuderci in una stanza e produrci in modo autonomo un EP che ci raccontasse.
D Ora, il secondo album.
R Negli anni successivi abbiamo invece progettato un vero disco, Caravan (2017), registrato come un disco pop, registrando uno strumento per volta, suonando su un click e usando i riverberi della stanza dove registravamo e mixando il tutto su un bel Neve analogico, allora in dotazione presso il Punto Rec di Torino. È stato un esperimento ed in quell’esperimento abbiamo coinvolto un giovane chitarrista talentuoso Oliver Crini, che ha scritto per il disco un bellissimo valzer. Al violino abbiamo la fortuna di ospitare Anais Drago, ora probabilmente la violinista jazz più affermata in Italia. Alla voce, per una serie di circostanze piuttosto fortunose, abbiamo ospitato Yendry, cantante originaria di Santo Domingo ed ora star mondiale nel mondo della musica latina. Dall’esperimento è nato un disco con un gran bel sound che ci rende molto orgogliosi del lavoro fatto e dell’impegno profuso.
D Il jazz è solo divertimento o deve parlare, attraverso i suoni, di temi sociali, politici, ambientali, filosofici?
R Il jazz è libero, non crediamo ci siano obblighi tematici. Una nota bella è semplicemente una nota bella.
D Come vivete il jazz in Italia anche in rapporto alle vostre esperienze sul territorio?
R Il jazz è ben accolto, il gipsy jazz arriva direttamente al cuore delle persone, portando emozioni e sorprese.
D Cosa ne pensate dell’attuale situazione in cui versa la cultura italiana (di cui il jazz ovviamente fa parte da anni)?
R Il livello culturale medio è in declino, ma speriamo che la nuova generazione riscopra vere passioni, come il jazz, al di là dell’assuefazione da social network.
