«Errantes» di Stefano Maria Ricatti: spazi acustici e visioni interdisciplinari (Caligola Records, 2025)
L’album si segnala per la capacità di tradurre l’idea musicale in carotaggio interiore che scava tra le pieghe dell’anima, dove la disciplina armonica convive con l’impeto espressivo, e dove la musica diventa linguaggio critico, finalizzato a dialogare con le arti visive e con la letteratura senza ricorrere a citazioni scontate.
// di Francesco Cataldo Verrina //
La traiettoria di Stefano Maria Ricatti conduce con naturalezza verso «Errantes», ordito sonoro che raccoglie e rilancia decenni di esperienze tra canzone d’autore, teatro, danza e scrittura strumentale. La sua formazione, nutrita da un’attenzione costante al rapporto tra suono ed immagine, trova in questo lavoro una sintesi che oltrepassa le atmosfere cinematografiche, costruendo dei veri e propri spazi acustici, nei quali il Ricatti Ensemble agisce come laboratorio di forme e colori.
La chitarra di Ricatti, ora meditativa ora incisiva, si colloca al centro di un tessuto sonoro che il sax di Roberto Favaro amplia con una fisionomia acustica sempre mutevole, mentre il basso di Enrico Pini e la batteria di Ivan Trevisan sostengono con equilibrio modulare la dinamica complessiva. Ogni episodio sonoro si presenta come un frammento narrativo con un andamento che suggerisce il cammino, piuttosto che l’implementazione di un clima rarefatto, diversamente estrinsecando un profilo compositivo che allude alla libertà formale del jazz contemporaneo. La scrittura di Ricatti non indulge in formule scolastiche, ma fa germinare strutture tematiche che si nutrono di contrappunti interni e di velature acustiche tra impalcature accordali di grande finezza, evidenziando l’attitudine a far dialogare ritmo e colore sonoro o alludendo con discrezione ad un passato filtrato dalla sensibilità presente
Il concept sancisce un excursus sonoro che non procede per frammenti isolati, bensì per continuità propedeutica, in cui ogni tassello s’incastra nel successivo, generando un flusso coerente e dinamico. La chitarra del compositore, ora discreta ora incisiva, guida l’ensemble con un tratto che non si placa nel delineare linee melodiche, ma pennella veri e propri habitat acustici. L’opener, «Errantes», fa pensare al movimento erratico di figure che attraversano paesaggi molteplici, mentre la trama accordale suggerisce un cammino che non trova un approdo definitivo. «Un’altra notte» si staglia in un ambiente sonoro rarefatto, con sfumature che rimandano ad un tempo sospeso tra veglia e sogno, mentre «Carla» rende omaggio a Carla Bley con un’imbastitura compositiva che fa appello alla libertà formale ed alla capacità di tessere relazioni tra partitura e libertà esecutiva. «Meditazione» si dipana come momento introspettivo, in equilibrio instabile tra silenzio e colore sonoro, mentre «Tracce» fa appello a memorie stratificate, con linee che si sovrappongono creando un tessuto contrappuntistico. «Foglie di tè» apporta una delicatezza quasi calligrafica, con intarsi ritmici che si dissolvono in una magnetica aura fonica, mentre «Tatì» azzarda un gioco vivace di incastri metrici, in cui la fisionomia sonora si fa più ludica ed inventiva.
«Barenera» porta con sé un tono più scuro, con sovrapposizioni timbriche che generano un ambiente ricco di tensioni interne, mentre «Memorie» si segnala per la versatilità nel riportare alla mente suggestioni interiori senza indulgere nella nostalgia, ma traslando il ricordo in materia viva. La chiusura con «Guaiamariaunmal» fa emergere la voce del compositore, integrata con l’ensemble in un gesto teatrale che suggella l’intero percorso, fondendo linguaggi finitimi ed aprendo l’intreccio tematico ad uno storytelling più ampio. La registrazione al Sonicbox Recording Studio, curata insieme a Giorgio Brussato, restituisce con precisione la trama espressiva dell’ensemble, valorizzando la dimensione collettiva e la chiarezza delle linee. «Errantes» si segnala per la capacità di tradurre l’idea musicale in carotaggio interiore che scava tra le pieghe dell’anima, dove la disciplina armonica convive con l’impeto espressivo, e dove la musica diventa linguaggio critico, finalizzato a dialogare con le arti visive e con la letteratura senza ricorrere a citazioni scontate.

