«Minimal Duo» di Falzone / Dalla Porta, due sorgenti che modulano il tempo (Abeat Records, 2025)

Un laboratorio a due, dove la musica si dirama nel tempo senza fretta, senza formule e senza ripetizioni. Il costrutto sonoro appare simile ad una pagina che si scrive mentre si suona, in cui ciascuna nota rappresenta una parola che prolunga il discorso e dove qualsiasi pausa sancisce una soglia che invita a restare.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Giovanni Falzone e Paolino Dalla Porta si avvicinano come due traiettorie autonome che convergono senza fondersi. Il loro incontro genera una vibrazione che attraversa il campo sonoro con intensità crescente. La tromba di Falzone incide come punta sottile che disegna, avulsa da ogni tentativo di decorazione fine a sé stessa. Ogni emissione apre una fenditura, ciascuna pausa prolunga il gesto esecutivo. Il contrabbasso di Dalla Porta risponde come una membrana che riceve, assorbe e rilancia. Le corde pizzicate, o solcate dall’arco, innervano la struttura, modulano la pulsazione e sondano la profondità.
«Minimal Duo» il loro recente progetto a quattro mani, edito dalla Abeat records, si solidifica come una sequenza di miniature sonore, ciascuna concepita come nucleo generativo. Ogni passaggio si attesta come ambiente timbrico, spazio che si apre e si richiude secondo una relazione duale. La scrittura musicale si fonda su una grammatica che predilige la stratificazione e la costruzione modulare, in cui il duo agisce come organismo flessibile, capace di tramutare qualsiasi deviazione in struttura ed ogni silenzio in soglia. Il jazz si manifesta come metodo e pratica, ma soprattutto come tensione interrelazionale. Falzone e Dalla Porta si confrontano ad armi apri, mentre ogni suono si colloca in un campo di forze, laddove ciascuna frase si dipana come il segmento di un discorso che si articola nel tempo. L’incontro tra generazioni produce rilancio ed il pensiero si dilata. Il primo episodio, «Kairos 1», apre una fenditura nel tempo. La tromba di Falzone s’insinua come una linea obliqua che orienta lo spazio, mentre il contrabbasso di Dalla Porta genera una vibrazione che modella la profondità. Il suono si diffonde con misura, consentendo al duo di costruire una tensione che si accumula ed una dimensione che accoglie il fruitore Nel secondo movimento, «G-Groove», la pulsazione prende corpo come un tessuto ritmico che si piega e si rialza. Falzone sia apre al free form e traccia traiettorie oblique che indicano una direzione ed un approdo non convenzionale, mentre Dalla Porta intreccia una trama che sembra moltiplicare le possibilità espressive di un duo. Il flusso sonoro agisce alla stregua di una danza che cerca il proprio asse, come una sagoma che si costruisce nel movimento.
«Kairos 2» riprende il tema del tempo vissuto, trasformandolo in variazione. La tromba si fa più rarefatta ed il contrabbasso più percussivo. «White Light» affiora similmente ad una superficie riflettente, tanto che l’aura fonica di Falzone sprigiona una luce che l’attraversa perforandola, mentre il contrabbasso diventa una massa che assorbe. L’intreccio motivico si sviluppa come un paesaggio acustico, dove ogni suono si dispone come elemento visivo. L’ascolto diventa visione e la visione diventa spazio, producendo una dimensione più ambientale che camerale. «Minimal Song» concentra l’essenza del progetto, dove qualunque elemento si manifesta alla stregua di una cellula autosufficiente, dotata di una nucleo autorigenerante. La melodia si lascia intravedere, il ritmo si insinua fra le pieghe del parenchima sonoro. Adesso, il duo agisce come un drago a due teste che si contrae e si espande in maniera ellittica, tra tensione e rilascio, mentre il minimalismo si parcellizza al fine di tracciare un metodo in grado di generare incongrue sensazioni o piacevoli allucinazioni. «Rubato» piega il tempo, dissolvendolo. La tromba si staglia come una voce che cerca il proprio respiro, mentre il contrabbasso diviene il corpo che l’accoglie. Insieme, i due sodali alimentano una danza interiore tesa alla perlustrazione ed al carotaggio emozionale. «Kairos 3» chiude il cerchio lasciando un fenditura, che evoca un’eco, una memoria, ed una variazione sul tema. La tromba diventa più lirica ed il contrabbasso più vaporoso e meno marcante, facendo in modo che dialogo a due si converta in una riflessione plurale e contagiosa. «Kappaottantasette» suggerisce una cifra, una sigla o un codice, dipanandosi come una sequenza, mentre il basso ad arco consente alla melodia di frammentarsi in un turbine di suoni abrasivi e di mimetizzarsi. «Duplicity» si dipana in più direzioni alla medesima stregua di uno specchio che distorce, su cui Falzone e Dalla Porta si rincorrono, si sovrappongono e si sfiorano. Qualsiasi frase si sdoppia, mentre il flusso tematico sembra moltiplicarsi per riflesso.
Giovanni Falzone orienta il suono con la precisione di chi ascolta prima di intervenire. La tromba si dispone come sorgente mobile, in cui ogni emissione si colloca nel flusso acustico con misura, lasciando affiorare sfumature tese a modulare l’equilibrio timbrico. Le strutture tematiche si presentano come tessiture mobili, in cui la grammatica jazzistica si fonde con reminiscenze orchestrali che rimandano ad una tradizione colta, filtrata attraverso una sensibilità timbrica, la quale non disegna ambienti sonori e geometrie acustiche dal sapore dissonante ed in forma libera. Paolino Dalla Porta affida al contrabbasso una funzione generativa. Il suo approccio compositivo intreccia vari idiomi senza fonderli. La matrice jazzistica convive con elementi modali, echi mediterranei ed impalcature armoniche che richiamano la scrittura contemporanea, dove ciascun elemento si dispone secondo un ordine che non cerca simmetria, ma tensione. Il frutto delle collaborazioni con Wheeler, Liebman, Metheny e Petrucciani non definisce un percorso imitativo, ma un campo di risonanza. Il contrabbasso diventa architrave mobile ed asse che ruota, dove l’improvvisazione s’interseziona quale atto generativo e prolusione narrativa, sia pur priva di una metrica convenzionale. A conti fatti, «Minimal Duo» sintetizza una grammatica fatta di due voci che si ascoltano, si sfiorano e si spingono oltre la regola. Un laboratorio a due, dove la musica si dirama nel tempo senza fretta, senza formule e senza ripetizioni. Il costrutto sonoro appare simile ad una pagina che si scrive mentre si suona, in cui ciascuna nota rappresenta una parola che prolunga il discorso e dove qualsiasi pausa sancisce una soglia che invita a restare.
