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Dado Moroni

Dado Moroni si posiziona come un pianista capace di assorbire e rielaborare le diverse influenze del pianismo europeo contemporaneo, mantenendo al contempo un forte legame con la tradizione afro-americana. Le sue affinità si manifestano nella ricerca di profondità armonica, nella fluidità esecutiva e nella capacità di creare un discorso musicale autonomo. Le differenze risiedono nelle specifiche sfumature stilistiche, nell’approccio alla forma e nell’intensità espressiva, elementi che contribuiscono a definire un’impronta univoca nel panorama jazzistico internazionale.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Edgardo «Dado» Moroni, nato a Genova il 20 ottobre 1962, si avvicina alla musica fin dalla più tenera età, mostrando una predisposizione precoce per il pianoforte. La formazione, iniziata sotto la guida della madre fisarmonicista, lo conduce in direzione dell’universo jazzistico. La carriera professionale subisce un’accelerazione significativa già all’età di quattordici anni, tanto che il talento precoce lo proietta rapidamente sulla scena, portandolo a collaborare con personaggi di spicco del jazz italiano e mondiale.

Moroni emerge nel panorama jazzistico internazionale quale figura di rilievo, un pianista la cui carriera risulta stata segnata da una costante ricerca espressiva. La profonda affinità con l’eredità di Bill Evans è testimoniata da «Kind Of Bill», un progetto condiviso con due figure storiche come Pat La Barbera ed Eddie Gomez, entrambi collaboratori di lunga data dello stesso Evans. Tale scelta non risulta casuale, ma denota una comprensione quasi simbiotica delle sfumature armoniche e delle architetture emotive che caratterizzavano il linguaggio evansiano. La traiettoria artistica di Moroni appare significativamente influenzata da un’esperienza formativa negli Stati Uniti, che ha certamente contribuito a forgiarne la maturità artistica ed a consolidarne la reputazione a livello globale. Un attestato di benemerenza emblematico della sua statura musicale nasce dall’inclusione in «Some of My Best Friends Are…The Piano Players», un collage sonoro finalizzato a celebrare i virtuosi della tastiera. In questa prestigiosa compagnia, accanto a giganti come Oscar Peterson e Ahmad Jamal, Moroni ha avuto occasione di distinguersi come l’unico pianista non americano. Fin dagli esordi, definito un «enfant prodige» per la sua precoce abilità, Moroni ha edificato una carriera costellata di collaborazioni di altissimo profilo, mentre il suo percorso si profila quale vero e proprio catalogo di incontri significativi con alcuni dei nomi più illustri della storia del jazz. Tra le collaborazioni più rilevanti si annoverano quelle con Ron Carter, Chet Baker, Dizzy Gillespie e Freddie Hubbard. Particolarmente degna di nota risulta la fruttuosa collaborazione con Tom Harrell, dalla quale sono scaturiti due lavori discografici di notevole spessore: il duo intimo «Humanity» e l’ambizioso quintetto di «The Cube», un esempio di come Moroni sappia confrontarsi con strutture compositive complesse e audaci. Negli anni più recenti, il suo estro ha visto l’apprezzato in contesti diversificati, esibendosi al fianco di Alvin Queen e dello stesso Harrell. Il pianista genovese ha inoltre esplorato il trio in diverse formazioni, affiancando la voce di Karima, partecipando ad un singolare progetto collettivo dedicato alla musica di Thelonious Monk che riuniva cinque pianisti, e formando un duo con il chitarrista Luigi Tessarollo. Altre collaborazioni significative riguardano quelle con Kenny Barron, Rita Marcotulli e Max Ionata, ed ancora in formazioni a tre, con Eddie Gomez e Peter Erskine o con Rosario Bonaccorso e Roberto Gatto, dimostrando una versatilità, una attitudine e un adattamento ammirevoli nel dialogo con differenti sensibilità musicali.

L’arte pianistica di Dado Moroni si nutre di un reiterato rapporto con le tradizioni incarnate da figure seminali del jazz americano, in particolare quelle afro-americane, che hanno plasmato il linguaggio dello strumento. Se consideriamo la lezione di Bill Evans, l’influenza appare palese, soprattutto nell’approccio alla tessitura armonica e alla fluidità del fraseggio. Moroni, così come Evans, predilige un linguaggio orchestrale, creando fitte sovrapposizioni di accordi che richiamano un suono ricco e avvolgente. Le armonie, spesso caratterizzate da voicing estesi e alterazioni cromatiche, rimandano alla ricerca di Evans sulla progressione accordale e sull’uso del pedale per creare un continuum sonoro. Esecutivamente, si riscontra una similitudine nella delicatezza del tocco e nella destrezza nell’implementare linee melodiche liriche ed introspettive, sovente con un fraseggio che si sposta con agilità tra le voci dell’accordo. Parallelamente, emergono connessioni con l’eleganza e la chiarezza espositiva di Oscar Peterson, pur con approcci differenti. Mentre Peterson si distingue per una virtuosità scintillante ed una solidità ritmica quasi percussiva, Moroni tende ad una maggiore raffinata levità. Tuttavia, entrambi condividono una solida formazione classica che si riverbera nella precisione dell’esecuzione e nella tendenza ad articolare passaggi variegati con apparente facilità. Sul piano armonico, si possono ravvisare similitudini nell’uso di accordi estesi e sostituzioni armoniche non convenzionali, sebbene Peterson tenda a un metodo più ancorato alla tradizione blues e swing, mentre Moroni esplora più liberamente le derive modali e contemporanee. L’eredità di Thelonious Monk, con la sua espressività angolare e le sue dissonanze caratteristiche, trova eco nell’audacia di Moroni nell’esplorare intervalli meno convenzionali e ritmi spezzati. Sebbene Monk operasse con una economia di note e un’asprezza timbrica distintiva, Moroni ne riprende la libertà armonica e l’attitudine nel generare tensione attraverso scelte non scontate. L’intersezione risiede nella volontà di sovvertire le aspettative, di utilizzare le dissonanze non come errori, ma come elementi costitutivi fondamentali, al fine di delineare un discorso personale. Considerando la profondità bluesy e la swingante eleganza di Ahmad Jamal, si possono notare affinità nella costruzione di un dialogo tra melodia e ritmo, nella gestualità della mano sinistra che spesso delinea un contrappunto rispetto alla linea melodica principale. Jamal, con la sua volontà di tracciare spazi e silenzi significativi, condivide con Moroni un’attenzione alla dinamica e alla coloritura del suono, pur con approcci esecutivi differenti. La ricerca di Moroni, tuttavia, si spinge verso una maggiore complessità armonica, integrando elementi post-bop e contemporanei che ampliano il vocabolario rispetto alle radici più strettamente blues e swing di Jamal. In sintesi, Moroni non si limita ad emulare, bensì dialoga con queste eredità, assorbendone gli elementi più significativi per poi rielaborarli in un linguaggio autonomo e sincretico. Le similitudini armoniche si manifestano nella predilezione per voicing complessi e nell’uso della dissonanza come aura fonica, mentre le differenze esecutive emergono nella diversa intensità virtuosistica e nella differente enfasi ritmica. L’intersezione di base risiede nella capacità di tratteggiare un disegno jazzistico coerente ed autarchico, che crogiola la tradizione con una nitida visione dell’hic et nunc, dimostrando un’abissale comprensione del linguaggio jazzistico.

L’indagine sulle coordinate armoniche di Dado Moroni rivela un approccio che coniuga una solida conoscenza della tradizione jazzistica con una spiccata propensione alla sperimentazione ed all’innovazione. Dal punto di vista accordale, Moroni dimostra una maestria nell’utilizzo di voicing estesi, che vanno oltre le triadi e le settime fondamentali. Si avvale frequentemente di none, undici e tredicesime, spesso arricchite da alterazioni cromatiche come bemolli e diesis sulle quinte e sulle none, creando così sonorità opulente e pluriverse. Un esempio lampante viene dato dall’uso di accordi di dominante con la nona bemolle e la tredicesima diesis, o accordi minori con la sesta maggiore e la nona aumentata, che conferiscono una fisionomia acustica particolare ed una tensione sofisticata alle sue progressioni. Le circonvoluzioni accordali che predilige spesso si discostano dal semplice schema ii-V-I, pur utilizzandolo come solida base. Moroni eccelle nell’introdurre alterazioni armoniche, come la sostituzione tritono, o nell’utilizzare accordi di passaggio cromatici per creare transizioni più fluide ed inaspettate. L’influenza del modalismo risulta altresì evidente: Moroni non esita a soggiornare su determinate scale modali (Dorica, Frigia e Lidia) per periodi prolungati, costruendo attorno ad esse le sue improvvisazioni e le sue elaborazioni tematiche. L’approccio modale gli permette di esplorare sonorità più aperte e meno legate alla funzionalismo tonale tradizionale. L’integrazione di queste scelte armoniche nel fraseggio esecutivo costituisce uno degli aspetti più distintivi del suo stile. Moroni non si limita ad appoggiare le note sugli accordi, ma plasma le sue linee melodiche in modo tale da farle dialogare intimamente con la struttura armonica sottostante. Le fasi improvvisative sono sovente segnate da un flusso continuo, dove le alterazioni cromatiche e le estensioni accordali vengono utilizzate non solo come colore, ma come elementi melodici attivi, dando vita ad un discorso organico ed avvincente. Si osserva una notevole abilità nel collegare diversi centri tonali attraverso passaggi cromatici o accordi pivot, mantenendo al contempo una coerenza esecutiva. L’attitudine a variare la grumosità armonica, passando da momenti di maggiore rarefazione a sezioni più stratificate e complesse, contribuisce a magnificare un’esperienza d’ascolto dinamica e ricca di sfumature. In definitiva, le coordinate armoniche di Dado Moroni sanciscono un amalgama di sapienza tradizionale e audacia innovativa, dove la scelta degli accordi e la loro progressione sono intrinsecamente legate alla sua personale visione esecutiva, creando un linguaggio jazzistico distintivo e convincente.

Il pianismo jazz europeo, sia moderno che contemporaneo, presenta un panorama stilisticamente variegato, nel quale Dado Moroni s’innesta con una personalità ben definita, pur dialogando con diverse correnti e figure di spicco. Nel solco del pianismo moderno europeo, si possono rintracciare affinità con approcci che, pur radicati nella tradizione americana, hanno sviluppato una sensibilità peculiare. Pensiamo a pianisti come Michel Petrucciani, la cui energia ed il cui lirismo impetuoso trovano un parallelo nella vitalità esecutiva di Moroni. Entrambi condividono una capacità di creare linee melodiche avvincenti ed una certa predilezione per un fraseggio effervescente. Tuttavia, mentre Petrucciani spesso enfatizzava una certa drammaticità ed un virtuosismo quasi fisico, Moroni tende ad una maggiore raffinatezza armonica e ad un controllo più sottile delle dinamiche, pur non mancando di slancio. Un altro riferimento significativo potrebbe essere Fred Hersch, pianista americano la cui influenza ha trovato un terreno fertile anche in Europa. Hersch, noto per la sua introspezione, l’attenzione alle sfumature timbriche e ad una certa malinconia intrinseca, condivide con Moroni, il tentativo di un carotaggio emozionale e una conversazione privilegiata con l’eredità di Bill Evans. Le differenze emergono forse nell’approccio alla forma: Hersch tende a strutture più narrative e ad un lirismo più rarefatto, mentre Moroni, pur versato nell’introspezione, dimostra anche una propensione alla perlustrazione di linguaggi più contemporanei e ad una ricchezza armonica, talvolta, con il baricentro proteso in avanti. Guardando al pianismo europeo contemporaneo, emergono figure che indagano territori più avanguardistici. Pianisti come Bohdan Sawczuk o Nik Bärtsch, pur operando in contesti stilistici differenti, hanno in comune con Moroni una desiderio di scoperta di inedite direzioni armoniche e ritmiche. Sawczuk, con il suo metodo che annoda jazz ed influenze classiche contemporanee, estrinseca una complessità strutturale che può trovare un punto di contatto con l’ambizione compositiva di Moroni in progetti come «The Cube». Bärtsch, con il suo minimalismo ritmico e le suoi costrutti ipnotici, segue una direzione stilistica diversa, ma la sua analisi di un ordine sonoro interno e di una progressione razionale della composizione può essere vista come un parallelo alla coerenza che Moroni persegue nel suo lavoro. Un altro pianista europeo di rilievo, con cui Moroni potrebbe condividere affinità sul piano dell’esplorazione armonica, è Django Bates. Bates, noto per l’ironia, l’ecletticità e la capacità di fondere generi diversi, presenta un attenzione alla composizione che, pur più eclettico e talvolta giocoso, condivide con Moroni una certa libertà nell’uso delle forme e delle armonie, evitando schematismi e privilegiando l’invenzione. La differenza risiede forse nell’approccio più intellettuale e talvolta cerebrale di Bates, contrapposto a una maggiore immediatezza espressiva di Moroni, pur nella comune ricerca di un linguaggio personale ed innovativo. Dado Moroni si posiziona come un pianista capace di assorbire e rielaborare le diverse influenze del pianismo europeo moderno e contemporaneo, mantenendo al contempo un forte legame con la tradizione afro-americana. Le sue affinità si manifestano nella ricerca di profondità armonica, nella fluidità esecutiva e nella capacità di creare un discorso musicale autonomo. Le differenze risiedono nelle specifiche sfumature stilistiche, nell’approccio alla forma e nell’intensità espressiva, elementi che contribuiscono a definire la sua unica impronta nel panorama jazzistico internazionale.

L’esplorazione del corpus discografico di Dado Moroni rivela un percorso artistico costellato di lavori seminali, ognuno dei quali offre una finestra privilegiata sulle sue evoluzioni armoniche, sulle dinamiche delle collaborazioni e sulle risonanze emotive e culturali. «Kind of Bill» (1995) rappresenta un omaggio commosso a Bill Evans. Dal punto di vista armonico, l’album si sostanzia come un vero e proprio compendio dello stile evansiano, con voicing ricchi e stratificati, progressioni cromatiche eleganti ed un’attenzione quasi pittorica alle sfumature timbriche. La collaborazione con Pat La Barbera e Eddie Gomez, sodali storici di Evans, non costituisce una mera riproposizione, bensì un dialogo intimo e rispettoso, dove Dado dimostra una sostanziale comprensione del linguaggio del maestro. L’emotività appare intrisa di malinconia, escavazione emotiva ed una sorta di nostalgia elegiaca, quasi un noir jazzistico che rimanda alle atmosfere fumettistiche di Frank Miller, dove la luce e l’ombra si alternano in un gioco di contrasti. «Humanity» (2004), in duo con Tom Harrell, si staglia per una diversa fluidità armonica ed un modus agendi più rarefatto. Le armonie si mostrano più eteree, quasi sospese, con un scambio serrato tra il pianoforte e la tromba di Harrell. Le sfaccettature emotive virano verso una contemplazione più serena, una sorta di zen jazzistico che richiama la filosofia minimalista di John Cage, dove il silenzio e lo spazio assumono un ruolo compositivo fondamentale. L’esecuzione risulta segnata da un’estrema delicatezza, quasi una calligrafia sonora che ricorda l’essenzialità di certi disegni a china. «The Cube» (2007), sempre con Tom Harrell, attiene ad un’ambizione compositiva più evoluta. Il pianista genovese sperimenta con trame più complesse, quasi architettoniche, dove le sezioni strumentali si intersecano in un intricato disegno sonoro. Armonicamente, si avverte un’evidente audacia, con incursioni in territori modali ed un uso più marcato delle dissonanze come elementi strutturali. L’emotività appare più articolata, passando da momenti di tensione ad lirismo più disteso, evocando la variabilità narrativa di un film di Christopher Nolan, dove diverse linee temporali e prospettive s’intersecano per generare un effetto di profonda immersione. L’interplay con Harrell è più di un botta e risposta dialogico, dove ogni frase diventa una risposta all’altra. «Some of My Best Friends Are…The Piano Players» (2008), pur essendo un album corale, offre uno spaccato significativo del talento di Moroni. La sua partecipazione accanto a giganti come Oscar Peterson e Ahmad Jamal, in particolare nel suo contributo, evidenzia una versatilità di adattamento stilistico e un dialogo con diverse scuole pianistiche. Armonicamente, si confronta con linguaggi differenti. La performance si distingue per una precisione ed una chiarezza che richiamano la pulizia formale di certi capolavori del cinema d’animazione giapponese, come quelli dello Studio Ghibli, dove ogni dettaglio risulta curato con meticolosa attenzione. «Live at Capolinea» (2013), in trio con Eddie Gomez e Peter Erskine, rappresenta un ritorno a un’energia più roots del jazz. L’approccio armonico risulta solido, ancorato a una mercuriale conoscenza del blues e dello swing, ma arricchito dalla maturità acquisita. La relazione con Gomez ed Erskine si estrinseca alla medesima stregua di quella di un trio affiatato, dove l’interplay appare immediato e la comunicazione quasi telepatica. L’emotività è diretta, vibrante, con momenti di brunito lirismo alternati ad impennate ritmiche potenti. Si potrebbe accostare questo lavoro alla forza espressiva di certi fumetti slice of life, che catturano la bellezza e la complessità delle interazioni umane quotidiane con una sincerità disarmante. Questi cinque album rappresentano tappe fondamentali nel percorso artistico di Dado Moroni, ciascuno con le proprie specificità armoniche, emotive e culturali.

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