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Herbie Hancock

Hancock, padrone indiscusso del piano e delle tastiere, non si limita a essere il centro dell’attenzione, ma si fa anche architetto di un dialogo sonoro con i membri della sua band, offrendo ampi spazi per improvvisazioni collettive.

// di Antonello Lamanna //

(Perugia) Con una camicia bianca attraversata da pennellate rosse, simili a tracce di sangue, Herbie Hancock è salito sul palco dell’Arena Santa Giuliana come si entra in scena in un teatro del mondo. Nessuna parola, nessuna spiegazione, solo il corpo, il gesto, la musica. In tempi in cui la storia sembra muoversi in cerchio e le ferite collettive restano aperte, Hancock non offre proclami. Sceglie invece la via più difficile e più essenziale, lasciare che siano i suoni a parlare, che sia l’ascolto — e non il clamore — a occupare lo spazio. L’Arena si fa così luogo di riflessione sonora, dove la memoria incontra l’invenzione e ogni nota può ancora dire qualcosa che altrove non si riesce più a dire.

Herbie Hancock, figura emblematica e sempre innovativa della musica moderna, continua a sfidare il tempo con un’intensità artistica che a 85 anni non sembra conoscere limiti. Il concerto all’Arena Santa Giuliana non è stata solo un’esibizione, ma un viaggio sonoro che mescola il passato e il futuro in un gioco di suggestioni musicali. La performance di Hancock è una testimonianza della sua capacità di spaziare tra jazz tradizionale, fusion ed elettronica, creando un legame inaspettato tra generazioni e stili musicali.

Hancock, padrone indiscusso del piano e delle tastiere, non si limita a essere il centro dell’attenzione, ma si fa anche architetto di un dialogo sonoro con i membri della sua band, offrendo ampi spazi per improvvisazioni collettive. Il fraseggio di Lionel Loueke, chitarrista dalle radici africane, dona al gruppo una dimensione inedita, arricchendo ogni brano con sfumature tribali che mescolano armonie moderne e ancestrali. In questo contesto, l’abilità di Terence Blanchard alla tromba aggiunge una profondità melodica che non fa che esaltare la grandezza dell’ensemble.

La presenza di Jaylen Pentinaud alla batteria, giovane promessa su cui Hancock ha deciso di scommettere, dimostra il continuo aggiornamento della sua visione musicale. Pentinaud non solo mantiene il ritmo, ma con il suo approccio vivace riesce a tenere in equilibrio l’intera performance, rispondendo con creatività alle evoluzioni della band. Il basso di James Genus, solido e pulsante, si fa sentire come una base potente che sostiene l’intero tessuto sonoro.Uno dei momenti più emozionanti del concerto è stato l’omaggio a Wayne Shorter, scomparso due anni fa, con la rivisitazione di “Footprints”. La reinterpretazione di questo classico ha reso omaggio non solo alla musica di Shorter, ma alla sua eredità, che continua a ispirare artisti come Hancock a percorrere strade nuove, pur rimanendo saldamente ancorati al patrimonio del jazz. L’esibizione di Hancock si conclude con un finale elettro-funk che infiamma il pubblico, dimostrando ancora una volta come sia in grado di farsi ponte tra tradizione e innovazione in un vortice di suoni elettronici e grooves coinvolgenti.

Nel frattempo, in centro, l’Egea Store ha ospitato la presentazione del nuovo libro di Francesco Cataldo Verrina, “Chick Corea. L’Anticonformista”. Il noto critico musicale e conduttore radiofonico ha offerto una riflessione appassionata sul genio del grande pianista, proponendo il suo saggio come una lettura ideale per gli amanti del jazz, un libro che sa intrattenere e stimolare anche nelle ore più silenziose della notte. Un saggio che, si legge volentieri come un livre de chevet, lasciando riflessioni che guidano l’ascolto.

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